UN ANNIVERSARIO DI GUERRA di Giuseppe Kalowski, Roma,

18 settembre 2024

 

 

Si avvicina repentinamente la possibilità della resa dei conti con il Libano di Hezbollah. Israele sta perdendo di fatto la sua sovranità nel nord: i continui attacchi con missili e droni  che hanno costretto gli oltre sessantamila abitanti Israeliani a lasciare le proprie case da quasi un anno, stanno per provocare un inevitabile allargamento del conflitto.

Qualche giorno fa un missile balistico lanciato dagli Houti dello Yemen, direzione aeroporto di Tel Aviv, è stato intercettato solo quando era entrato nel territorio israeliano e non prima dai paesi alleati: questo è un segnale allarmante perché sia gli USA che la Giordania non sono intervenuti.

L'audacia e la sfrontatezza degli Houti uniti alla loro capacità di produrre droni e missili a lunga gittata grazie all' Iran stanno per provocare una escalation senza probabilmente coinvolgere quest'ultimo che non vuole rischiare una brutale rappresaglia da parte d'Israele e che comunque aspetta il risultato delle elezioni americane sperando nella vittoria di Kamala Harris.

L'Iran e i suoi alleati hanno creato ad arte questa situazione suscitando un profondo allarme nella società israeliana per spingere il governo Netanyahu e scendere a patti con i terroristi di Hamas.

Ma questa dinamica si sta rovesciando: più aumenta purtroppo la sfiducia nella possibilità di salvare gli ostaggi più si evidenzia la necessità di risolvere militarmente la questione in modo risolutivo e definitivo con Hezbollah passando all'offensiva.

È in questa ottica che si deve decifrare la scelta decisionistica di Netanyahu : la volontà di sbarazzarsi del ministro della difesa Gallant con il quale è in polemica da più di un anno con Gideon Saar, ex dissidente del Likud, a capo di un piccolo partito di opposizione e fino a pochi mesi fa federato con il partito di Benny Gantz, soddisfa la necessità di una maggiore coesione all'interno del gabinetto di guerra visto che Saar ha sempre dichiarato che l'accordo con Hamas rappresenterebbe una resa a Sinwar,  ma eviterebbe anche la possibilità della formazione di un governo di unità nazionale caldeggiato fortemente dal presidente Herzog.

Ma al di là di queste facili deduzioni c'è un altro fattore, forse determinante, che spinge Israele verso un'opzione militare ampia in Libano : la data del 25 Agosto scorso.

Quel giorno l'aviazione con un attacco preventivo e simultaneo di oltre cento aerei ha quasi totalmente distrutto i missili e i droni che avrebbero dovuto colpire Israele come vendetta per l'uccisione del capo militare di Hezbollah.

Il 25 Agosto ha fotografo forse una nuova realtà a Israele : forse, in caso di guerra, il prezzo da pagare in vite umane è molto più basso di quello stimato in precedenza.

Non colpire nelle prossime settimane, in prossimità dell'inverno, condannerebbe sessantamila israeliani a un altro anno di esilio dalle proprie case.

È di eri pomeriggio 17  Settembre la clamorosa esplosione contemporanea dei cercapersone in dotazione ai terroristi di Hezbollah per evitare di farsi individuare con i cellulari. Il bilancio, pesante, è di migliaia di feriti e di almeno una ventina di morti; è da notare però che l'incredibile avvenimento non è stato rivendicato da Israele e che è stato accolto con festeggiamenti dai ribelli siriani..

Questo avvenimento come interpretarlo? Può significare una volontà di affrettare l'operazione militare su larga scala o provare a dissuadere Hezbollah per cercare di arrivare a un accordo?

Sinwar a Gaza continua con la politica dell'assassinio e dei video: questa macabra e criminale dinamica alimenta la spaccatura della società israeliana, cavalca abilmente la tragedia dei familiari dei rapiti, strumentalizzati dall'opposizione politica. Siamo quasi a un anno dal maledetto 7 ottobre 2023 e ci accingiamo ad accogliere il nuovo anno ebraico e le altre festività con gioia e alla ricerca del perdono, ognuno nel suo più profondo intimo ; ma anche con tristezza e con la consapevolezza del drammatico momento che noi tutti stiamo vivendo.

Ci sentiamo tutti in pericolo anche se il mondo circostante non lo capisce o fa finta di non capirlo;io credo però che siamo quasi arrivati all'atto conclusivo di questo orrore che Israele e noi ebrei abbiamo dovuto subire, ma che una volta ancora ce la faremo.

Am Israel Hai!!

 

 

 

ROSH HODESH ELUL 5784...LO SHOFAR CI UNISCA 

 

In quest'anno terrificante siamo arrivati al momento in cui ci prepariamo attoniti, sgomenti e arrabbiati alle scuse (Selichot) per i nostri comportamenti, per ricevere il perdono.

Tra un mese entreremo nel nuovo anno e quello che ci sta per lasciare è stato testimone di grande sofferenza per il popolo d'Israele.

Gerusalemme rispetto a Tel Aviv sembra più tranquilla, più equilibrata, più riflessiva e più consapevole del periodo che noi tutti stiamo vivendo: la consapevolezza interiore di chi è sicuro che ce la faremo, che supereremo anche questa…

Nella capitale d'Israele si respira un'unità d’intenti che Tel Aviv sembra avere smarrito a causa degli ultimi terribili avvenimenti.

Ognuno ha la dignità di esprimere il proprio pensiero ma sicuramente si sta eccedendo nel linguaggio e nei comportamenti e l'attuale classe politica non è da meno.

ELUL è un'occasione, un'opportunità per cercare e ritrovare l'unione e la coesione che sembra persa.

Al Kotel (muro del pianto) in questo mese che è cominciato il 3 settembre, non vanno per pregare solo i religiosi ma anche centinaia di migliaia di persone non religiose che sentono il bisogno di un avvicinamento interiore all'ebraismo.

ELUL è la scintilla che dà l’avvio al percorso di avvicinamento del perdono che Hashem concederà di fronte a un sincero ravvedimento.

Lo Shofar può rivelarsi uno strumento efficace nel tentativo di ricompattare il popolo d'Israele: i suoni emessi rappresentano unità e pacificazione, uguali per tutti, senza alcuna distinzione.

È un richiamo ad ascoltare la voce eterna e lì non può esserci divisione, competizione, vittoria o sconfitta.

Il mese di ELUL, con lo Shofar che lo rappresenta, deve farci prendere coscienza che un conflitto interno causerà una sconfitta per tutti noi, rischiando la disgregazione dello Stato ebraico.

L'auspicio e la speranza sono che un evento così importante faccia riflettere tutti noi affinché venga privilegiato il bene comune e non solo quello personale.

 

 

È L'ORA DELLA VERITÀ

 

di Giuseppe Kalowski, da Tel Aviv, 20 agosto 2024

 

 

Negli ultimi giorni, a seguito “dell'operazione chirurgica” a Teheran che ha eliminato il terrorista Hanye, gli avvenimenti si susseguono in modo molto rapido, quasi vertiginoso.

Qui a Tel Aviv il “mood” della gente lo si intuisce da quanto sono affollati o meno il centro della città o la spiaggia.

È un'altalena continua, inconfessata, di paura e sospiro di sollievo...

Ci si avvicina rapidamente alla maledetta ricorrenza del 7 ottobre ma nel frattempo quello che sta accadendo qui è un groviglio, quasi inestricabile, di polemiche politiche.

Ed è notizia di oggi che nella notte le nostre forze hanno recuperato i corpi di sei dei nostri ostaggi che erano prigionieri dell'organizzazione terroristica assassina di Hamas: Avraham Munder, Alex Dancyg, Chaim Peri, Yagev Buchshtav, Yoram Metzger e Nadav Popplewell.

“I nostri cuori sono addolorati per questa terribile perdita”, così ha dichiarato il premier israeliano Benyamin Netanyahu dopo che l'esercito (Idf) ha recuperato i cadaveri dei sei ostaggi .

I due ministri Ben Gvir e Smotrich, che ricattano il governo, pena la sua caduta, vengono ripresi non solo dall'opposizione,  ma anche da Netanyahu e dagli altri partiti religiosi che formano la coalizione di governo. L'ultima uscita dell'ormai famoso, direi famigerato, ministro per la Sicurezza interna Ben Gvir è stata sulla spianata delle Moschee in cui ha dichiarato in modo inequivocabile che non bisogna andare a Doha o al Cairo a trattare la liberazione degli ostaggi ma intensificare la guerra a Gaza fino alla totale eliminazione di Hamas.

La sua visita alla spianata e la relativa dichiarazione fatta sul posto hanno fatto inorridire Israele intera, anche il Rabbino Capo Sefardita Itzhak Iosef.

Un comitato di 5 saggi religiosi ha condannato l'avvenimento: agli Ebrei è vietato calpestare il luogo dei Santuari distrutti e allo stesso tempo è stato violato il famoso “status quo” del 1967 con la Giordania in cui agli Ebrei è vietato pregare sulla spianata.

Insomma in un periodo di già fortissime divisioni interne se ne è aggiunta un'altra tra le tre componenti religiose al governo; nel frattempo la guerra a Gaza continua con inevitabili perdite umane e il nord d'Israele è in fiamme con una guerra di attrito senza precedenti.

7 500 razzi e centinaia di bombe Rpg sono stati lanciati a oggi dal Libano: è una situazione di allarme e pericolo continuo che va dal Golan fino al Mediterraneo lungo tutto il confine, con obiettivi che lentamente ma inesorabilmente vanno sempre più in profondità nel territorio israeliano.

A infiammare ancora di più la situazione ci ha pensato il ministro delle finanze Smotrich, compagno di Ben Gvir, dichiarando pubblicamente di continuare a sovvenzionare i religiosi ultraortodossi renitenti alla leva nonostante l'ordine contrario della Corte Suprema.

A questo punto una riflessione è doverosa.

Mentre il governo tenta, con Blinken arrivato a Tel Aviv e un tentativo di attentato suicida sempre a Tel Aviv dopo 18 anni dall'ultimo, tra Doha e il Cairo, di sbloccare la situazione, la domanda che mi pongo è : ma chi comanda in Israele oggi? A me non è chiaro.

Mi sembra si “navighi a vista” e si prendano decisioni per mantenere un equilibrio sempre più traballante, sull'orlo del tracollo. Il governo prende decisioni in base alla sua possibilità di sopravvivenza e non in conformità a una visione strategica.

Si va avanti cercando di fare contenti tutti, provocando in realtà l'esatto contrario. Questo approccio politico ha provocato la profonda spaccatura all'interno dell'opinione pubblica israeliana,  dopo un'iniziale unità dovuta alla guerra il modus vivendi del governo ha ulteriormente acuito la divisione.

La si può pensare come si vuole, con opinioni legittimamente diverse, ma Bibi, per dimostrare di essere uno statista, deve prendere decisioni che potrebbero mettere a rischio il suo governo e la sua premiership.

Non ha alternative, se vuole il bene e la salvezza d' Israele.

 

ALBA MORTALE di Giuseppe Kalowski,

Tel Aviv,

1 settembre 2024

 

 

 

Triste, tristissimo risveglio qui in Israele, per noi tutti.

Forse meno per quelli che da quasi un anno non hanno fatto "una piega" di fronte allo scempio del 7 ottobre e al rapimento di 250 persone di 30 nazionalità diverse. L'Onu e la Croce Rossa sono la vergogna dei nostri tempi.

Ieri sera era già stato comunicato il ritrovamento di alcuni corpi senza vita ed io, probabilmente inconsciamente, mi sono svegliato tardi questa mattina, come se volessi evitare l'inevitabile notizia, come se non volessi scoprire la penosa realtà....

Israele è sotto shock, incredula: si teme un'ulteriore spaccatura tra chi vuole un accordo a qualsiasi costo, pur di salvare coloro che si spera siano ancora in vita, e gli altri, che invece non vogliono cedere di fronte a condizioni ritenute inaccettabili.

In questa situazione, la notizia dell'uccisione di tre poliziotti israeliani in Cisgiordania, vittime di un agguato mentre erano in macchina, è passata in sordina.

Hamas purtroppo "gioca" in modo molto abile su questa divisione: nonostante sia sull'orlo della catastrofe, riesce con un cinismo incredibile a penetrare le corde emotive della società israeliana.

Si prevedono nelle prossime ore grandi manifestazioni contro l'attuale governo, che a loro volta saranno usate dai media occidentali per cercare di dimostrare l'inadeguatezza di Netanyahu.

Non so quale possa essere la scelta giusta, ma serve una svolta, una decisione coraggiosa.

Quale?

Non lo so.

Ma condivido le parole di Netanyahu, parole con le quali ha concluso il suo breve discorso poco fa in tv:

«Chi uccide gli ostaggi non vuole un accordo»...

 

IN DIASPORA

 

 

Eccomi qui di nuovo, dopo quasi un mese di assenza, a commentare gli ultimi tragici avvenimenti in terra d'Israele; con una differenza sostanziale rispetto a tutti i miei articoli precedenti: da qualche settimana non mi trovo in Israele ma in Italia , a Roma.

Tutti i miei racconti precedenti sono stati scritti in Israele, con il corpo e l'anima lì.

Adesso che sono temporaneamente fuori da Israele vedo come stia continuando senza sosta il tentativo di colpirlo per realizzare il sogno mai nascosto di distruggere " l'entità sionista".

Tentativo che purtroppo trova terreno ideologico fertile anche nel mondo democratico occidentale, rovesciando totalmente il rapporto causa-effetto dell'attuale conflitto.

Questa premessa non è fine a se stessa: in queste settimane, in Italia, non ho avuto idee, ispirazione e voglia per scrivere nuovi racconti e testimonianze. È un caso? In realtà non credo che sia una semplice coincidenza. Le notizie da Israele le continuo a ricevere dalle stesse fonti: nulla è cambiato, tecnicamente.

La differenza sostanziale è il "mood", l'umore, lo stato d'animo, la disponibilità interiore di chi scrive.

Sono queste le variabili che creano la differenza, la divisione, tra lo scrivere in Israele o fuori da Israele.

Ho sempre pensato, e continuo a pensarlo, che non bisogna necessariamente vivere in Israele per esprimere opinioni sull'operato della sua classe politica, ma ho realizzato però che si possono capire fino in fondo  alcune dinamiche politiche e sociali solo “vivendo” la società israeliana.

" Vivere Israele" è una sensazione non facile da spiegare e può essere intercettata e capita solo da chi condivide la stessa esperienza. Da lì, da Israele, tutto appare in una prospettiva diversa, più critica e più veritiera: si esprimono opinioni senza doversi sentire in un bunker per difendersi da un antisemitismo ormai dilagante in Europa e non solo.

In Israele assumo posizioni in totale assenza di pressioni esterne, di solito strumentali nei confronti dello Stato Ebraico.

Per queste ragioni mi ero ripromesso di ricominciare a scrivere al mio ritorno in Israele, ma quanto accaduto a Tel Aviv con il drone yemenita caduto nel centro della città e la strage dei bambini drusi mentre giocavano a calcio per opera di un missile lanciato da Hezbollah dal Libano, mi ha spinto a riprendere subito" la penna in mano".

Ci sono voluti 12 bambini morti e decine di feriti per fare dichiarare finalmente al nostro ministro Tajani che Hezbollah deve rispettare la risoluzione 1701 dell' ONU e ritirarsi dal confine israeliano.

Nonostante che anche gli USA sostengano la paternità di Hezbollah riguardo al missile sulla città drusa Majdal Shams nel nord d'Israele, alcune testate giornalistiche prendono sul serio i tentativi libanesi di attribuire a Israele la responsabilità della strage dei fratelli drusi.

Scrivendo dalla diaspora prevale il senso di difesa e di rabbia, dovuti alla mistificazione e al rovesciamento della realtà dei fatti.

Continuiamo a scrivere, a fare sentire la nostra voce, a esporre le nostre idee e le nostre ragioni, a patto di rendersi conto che farlo da Israele è un "mestiere” diverso, alimentato da una sensibilità e da un approccio differente nei confronti della nostra amata Terra di Israele.

Il nostro sionismo, in Diaspora, fatica a ritrovarsi nei discorsi di quanti rivendicano questo stesso amore per Israele o per il sionismo e accade che risuonino voci apparentemente inconciliabili.

Conosco tutte le loro resistenze e i loro avvertimenti.

Conosco tutte le voci, comprese le più critiche.

E so cosa pensano: Israele è minacciato, e non può permettersi il lusso di essere indifeso, fallibile e vulnerabile, oppure… siamo tragicamente condannati a ripetere uno scenario catastrofico?

  Nel cuore dell'oscurità del mondo che ci circonda, facciamo dunque in modo, ovunque ci troviamo, di lasciare passare un po' di luce, attraverso di noi, attraverso i nostri dubbi e le nostre convinzioni.