I sogni nella tradizione ebraica

Nella Torah, il sogno era una delle principali fonti di intuizione profetica, ma i testi ebraici tradiscono anche una certa ansia al riguardo.

 rabbino Jill Hammer

Traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari

 

I sogni hanno sempre svolto un ruolo importante nella tradizione ebraica. Nella Bibbia, i sogni sono descritti come un mezzo per comunicare messaggi da D.o e come una fonte di verità sul presente e sul futuro. Il Talmud immagina che il sogno possa attingere ai poteri della profezia, mentre i cabalisti hanno inteso i sogni come viaggi dell'anima che possono evocare messaggeri o allontanare spaventose visioni notturne. Nel loro insieme, queste varie tradizioni descrivono non solo il sogno, ma il sonno stesso come un'attività sacra.

I sogni svolgono un ruolo centrale in alcune delle principali narrazioni della Bibbia. Il patriarca Giacobbe sogna una scala per il cielo con angeli che salgono e scendono. Giuseppe sogna un covone di grano, con altri dodici covoni di grano che si inchinano ad esso. Nel Libro dei Re, D.o viene da re Salomone in sogno per concedere il dono della saggezza. Alcuni sognatori biblici, come il re babilonese Nabucodonosor , vengono avvertiti del disastro, mentre altri, come il coppiere del faraone, sognano la liberazione. Tutti questi sogni sono visti come contenenti messaggi importanti che possono essere intuiti da interpreti di sogni come Giuseppe e Daniele, entrambi i quali sembrano derivare le loro interpretazioni da una fonte divina.

Tuttavia, una controtendenza nella Bibbia suggerisce una certa ansia intorno ai sogni e alla loro interpretazione. Deuteronomio 13:2-4 proibisce al popolo di ascoltare un indovino di sogni che contraddice le parole della Torah. Il profeta Geremia esprime disprezzo per i profeti che ottengono le loro profezie dai sogni. La preoccupazione sembra essere che un profeta sognatore possa offrire una saggezza non normativa che va contro il testo sacro. Questa preoccupazione si riflette nell'avvertimento di Dio a Mosè in Numeri 12:6, che afferma che mentre i profeti futuri possono ricevere comunicazioni tramite visioni o sogni, questo non è il caso di Mosè stesso, che comunicava direttamente con D.o “bocca a bocca”. Un'altra preoccupazione potrebbe essere che la profezia dei sogni dia potere a chi è più lontano dalle sale del potere e dell'istruzione, come le donne e/o i praticanti spirituali non sanzionati. 

Anche il Talmud si occupa della stranezza dei sogni. Nel Trattato Berakhot, il Talmud considera il sogno come un sessantesimo della profezia; il resto lo chiama devarim b'teilim, assurdità o cose oziose. Come si fa a separare il grano profetico dalla pula dell'assurdità?

Il Talmud raccomanda di consultare un interprete dei sogni, ma gli interpreti dei sogni, come gli interpreti della Torah, possono avere opinioni diverse. Il Talmud riporta la storia di un saggio che andò da 24 interpreti dei sogni, ognuno dei quali offrì un'interpretazione diversa, e vera. Come la Torah stessa, i sogni possono avere significati multipli.  

Il Talmud offre diversi rituali per “guarire” un sogno, ovvero spostarne il significato in una direzione più positiva. Un rituale consiste nel recitare una preghiera speciale che chiede che un sogno riceva guarigione. Un altro è la convocazione di una “corte dei sogni” di tre persone per riparare il sogno recitando versetti biblici come incantesimi. Il Talmud nota anche l'uso di giochi di parole nei sogni, dicendo, ad esempio, che chiunque veda un elefante (pil) in un sogno riceverà un miracolo (pele). Il Talmud contiene l'affermazione criptica che “un sogno che non è stato interpretato è come una lettera che non è stata letta”.

 

Un modo per capirlo è che i sogni sono comunicazioni dall'aldilà e se vogliamo trarne beneficio, dobbiamo prestare attenzione alla nostra posta notturna.

I mistici medioevali hanno ulteriormente sviluppato le tradizioni ebraiche sui sogni, considerando il sogno come una forma di viaggio dell'anima. Lo Zohar, il principale testo cabalistico, afferma: “Quando una persona giace a letto, l'anima esce e vaga per il mondo superiore”. Nelle fonti cabalistiche, si dice che i sognatori visitino il mondo delle anime, apprendano verità dagli angeli o vengano aggrediti dai demoni. Lo scopo dei sogni, secondo lo Zohar, non è solo la profezia ma affrontare le preoccupazioni del sognatore o ispirare le persone a trasformare le loro vite. 

 

Hayyim Vital, un cabalista del XVI secolo che visse a Safed, nel nord di Israele, registrò sogni e interpretazioni di sogni di donne sagge e rabbini. Vital immaginava che i sogni mostrassero ai sognatori la loro “radice dell'anima”, la vera natura della loro identità. Quasi due secoli dopo, il Baal Shem Tov, il padre del movimento chassidico, insegnò che quando sogniamo, incontriamo le anime delle cose che vediamo e sperimentiamo durante il giorno. Gluckel di Hameln, un diarista ebreo tedesco, credeva anche che i sogni fossero una fonte di conoscenza ultraterrena. 

In alcune tradizioni ebraiche, questi messaggi non erano semplicemente eventi notturni spontanei, ma potevano essere evocati tramite la magia. Rituali elaborati, tra cui il digiuno, il rovesciamento degli abiti, preghiere e incantesimi ebraici, iscrizioni magiche, dormire in un cimitero e altro ancora, venivano usati per evocare messaggeri dei sogni. Rituali e amuleti venivano usati anche come protezione contro gli incubi, che alcuni credevano provenissero dai demoni. Queste tradizioni presumono che i sogni siano un luogo di connessione sacra ma anche di potenziale pericolo, poiché il sonno rende l'anima vulnerabile.

Nei tempi moderni, la maggior parte di queste tradizioni non è più ampiamente praticata. Ma alcuni praticanti spirituali ebrei le stanno rivisitando e trovano un significato profondo nei loro sogni e in quelli degli altri. Proprio come varie tradizioni indigene intendono il sogno come una fonte di saggezza e guida spirituale cruciali, le tradizioni ebraiche del sogno dall'antichità a oggi continuano a vedere i sogni come, come minimo, un sessantesimo della profezia.  

[Da: Community My Jewish Learning]

 

 

 

 

 

La Storia degli ebrei della Russia

I territori dell'ex Impero russo furono la culla della modernità ebraica, il luogo di nascita del sionismo e del socialismo ebraico e uno dei principali centri del movimento chassidico.

 Samuel Finkelman (traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari)

 

 

La narrazione dominante della storia ebraico-russa è quella della repressione, dei pogrom, dell'antisemitismo di stato e dell'emigrazione di massa. Ma questo resoconto oscura non solo la centralità della Russia nella storia ebraica, ma anche i profondi contributi degli ebrei alla cultura e alla storia russa. L'Impero russo è stato la culla della modernità ebraica. È stato il luogo di nascita del sionismo, del socialismo ebraico, dell'ebraico moderno, della letteratura yiddish e un importante centro dell'hasidismo. All'alba del XX secolo, i circa 5 milioni di ebrei che vivevano nell'Impero russo costituivano la più grande comunità ebraica del mondo. Un secolo dopo, solo una frazione di quel numero di ebrei viveva nella Federazione Russa, ma le eredità del passato zarista e sovietico continuano a farsi sentire in tutto il mondo ebraico. 

 

 

Gli ebrei nell'impero russo

Definire i confini dell'ebraismo russo è tutt'altro che semplice. Il paese oggi noto come Russia era in precedenza la repubblica più popolosa dell'Unione Sovietica e prima ancora l'epicentro di un vasto impero eurasiatico. Molti di coloro che si identificano come ebrei russi fanno risalire la loro discendenza a terre che oggi si trovano oltre i confini dello stato russo. In effetti, agli ebrei fu proibito di vivere nel Principato di Moscovia, il precursore medievale della Russia moderna, durante il regno di Ivan il Terribile nel XVI secolo. 

Ma 200 anni dopo, un impero russo in rapida espansione acquisì una popolazione enorme di ebrei mentre faceva la parte del leone nel Commonwealth polacco-lituano e conquistava l'attuale Ucraina meridionale dall'Impero ottomano. Invece di esiliare questi ebrei, Caterina la Grande limitò la loro residenza a queste terre di confine occidentali appena acquisite, che comprendevano le odierne Bielorussia e Moldavia, gran parte dell'Ucraina e della Lituania e parti della Polonia e della Lettonia. Questa zona divenne nota come Pale of Settlement e, fino alla caduta della dinastia Romanov nel 1917, ospitò la stragrande maggioranza degli ebrei dell'impero. 

Per tutta la prima metà del XIX secolo, lo stato zarista modernizzatore tentò di riformare i suoi sudditi ebrei. Ciò spesso significò politiche repressive volte all'assimilazione, come l'arruolamento di ragazzi ebrei nell'esercito imperiale per periodi di 25 anni. Allo stesso tempo, funzionari di mentalità occidentale promossero l'istituzione di scuole ebraiche gestite dallo stato e seminari rabbinici. Sia la carota sia il bastone provocarono l'erosione dell'autonomia comunitaria ebraica e il declino dell'autorità religiosa tradizionale. 

La maggior parte degli ebrei nel Pale si aggrappava alla religione. Molti divennero seguaci dell'approccio gioioso alla pratica ebraica celebrato dall'Hassidismo , un movimento emerso nel 1700 in quella che oggi è l'Ucraina occidentale e che si diffuse rapidamente in tutto il Pale. Per più di un secolo, la città russa di Lyubavichi fu la sede del movimento Chabad , oggi il gruppo Hasidico più noto al mondo. Ma altri ebrei russi accolsero la modernità a braccia aperte. I liberali e i ricchi mercanti che speravano di integrarsi nella società russa furono temporaneamente riconosciuti durante il governo relativamente progressista di Alessandro II (1855-1881). Le sue riforme permisero a un numero crescente di ebrei di trasferirsi nelle città russe, acquisire competenza nella lingua russa e integrarsi nell'economia russa. Mentre decine di migliaia di ebrei lasciavano il Pale, San Pietroburgo divenne un importante centro della vita ebraico-russa. Con un numero maggiore di uomini e donne ebrei che ricevevano un'istruzione laica, alcuni iniziarono ad abbracciare la politica radicale di sinistra sostenuta dall'intellighenzia russa. 

Nel 1881, i rivoluzionari populisti assassinarono Alessandro II. Una successiva campagna stampa antisemita accese una violenza di massa, innescando la prima di tre grandi ondate di quelli che sono diventati noti come pogrom. Lo stato non orchestrò questi incidenti, ma ne diede la colpa agli ebrei. In risposta, il nuovo zar, Alessandro III, annullò molti dei progressi che gli ebrei avevano ottenuto durante il governo di suo padre. 

La violenza ebbe profonde conseguenze per la storia ebraica. Gli ex sostenitori dell'integrazione ora esortavano gli ebrei a prendere in mano il loro futuro trasferendosi in Palestina, iniziative che diedero origine all'atto di apertura del sionismo moderno, la Prima Aliyah. Questo movimento inaugurale di ebrei russi in Palestina includeva radicali di sinistra come il gruppo Bilu, insieme a intellettuali d'élite come Eliezer Ben Yehuda , il padre dell'ebraico moderno. Molti più ebrei partirono per gli Stati Uniti e l'Europa. Tra il 1881 e il 1917, circa due milioni di ebrei si riversarono fuori dalla Russia, circa la metà dei quali finì a New York City.

Ma la maggioranza rimase indietro. Gli anni di punta dell'emigrazione nei primi anni del 1890 videro anche la costruzione delle prime sinagoghe a Mosca e a San Pietroburgo. Molti ebrei continuarono a lottare per una visione o per un'altra di integrazione. I liberali ebrei si mobilitarono per la fine delle restrizioni civili che impedivano agli ebrei di accedere a molte professioni e li confinavano nel sovraffollato Pale, mentre gli autonomisti chiedevano i diritti nazionali degli ebrei e la rappresentanza all'interno dell'ordine politico russo. I marxisti ebrei si agitarono per il rovesciamento dello zar e, nel 1897, fondarono il primo partito politico marxista dell'impero, il General Jewish Labor Bund. I socialisti ebrei più radicali, come Leon Trotsky, schernirono l'affermazione del Bund secondo cui gli ebrei avrebbero dovuto ricevere un trattamento speciale e credevano che non sarebbe passato molto tempo prima che l'ebraismo scomparisse. 

Nel 1939, l'URSS firmò un patto di non aggressione con la Germania nazista, scatenando un profondo senso di insicurezza tra gli ebrei sovietici. Ma dopo che Hitler invase l'Unione Sovietica nel 1941, il potere sovietico fu l'unica forza a proteggere gli ebrei russi dalla distruzione. La maggior parte del vasto territorio della Repubblica Sovietica Russa non subì l'occupazione nazista e molti ebrei che vivevano nei territori occupati erano stati evacuati verso est, nell'entroterra sovietico, prima dell'arrivo dei nazisti. Di conseguenza, la maggior parte degli ebrei che vivevano in Russia evitò la sorte toccata a quelli dell'ex Pale, l'epicentro del genocidio nazista. 

Anche gli ebrei russi hanno avuto un ruolo importante nella resistenza ai nazisti. Circa mezzo milione di ebrei ha combattuto nell'Armata Rossa e un numero sproporzionatamente alto è stato decorato per il suo coraggio. Quasi 200.000 di loro non sono sopravvissuti alla guerra. A Mosca, intellettuali e personaggi politici hanno formato il Comitato antifascista ebraico per raccogliere il sostegno internazionale allo sforzo bellico sovietico. Tra i suoi membri figuravano Ilya Ehrenburg e Vasily Grossman, due importanti scrittori che sono stati tra i primi al mondo a raccogliere testimonianze di sopravvissuti all'Olocausto. 

Ma nonostante questi eroici contributi alla vittoria sovietica, gli atteggiamenti ufficiali verso gli ebrei divennero nettamente negativi nel periodo postbellico. Stalin aveva inizialmente sostenuto la fondazione di Israele, ma presto divenne paranoico sulla potenziale lealtà degli ebrei sovietici allo stato ebraico. Gli ultimi anni del suo governo furono segnati dal crescente antisemitismo di stato, che si mascherava sotto le mentite spoglie di "anti-cosmopolitismo". Gli ebrei furono costretti a lasciare posizioni di potere politico, furono implementate quote universitarie silenziose e i principali intellettuali yiddish furono arrestati e assassinati. La frenesia culminò quando un gruppo di medici ebrei d'élite fu accusato di false accuse di avvelenamento di funzionari sovietici. Se Stalin non fosse morto nel mezzo di questo scandalo, le cose avrebbero potuto peggiorare notevolmente per gli ebrei sovietici. 

Dopo Stalin, gli ebrei non hanno mai riacquistato l'ascendente di cui godevano prima della guerra. La discriminazione li ha tenuti lontani da molte professioni e l'antisionismo è diventato un pilastro centrale dell'ideologia sovietica. Tuttavia, gli ebrei sono rimasti parte dell'élite russa. Erano ben rappresentati nel mondo accademico e nella comunità scientifica ed erano molto visibili in sfere vitali della cultura sovietica, tra cui musica, scacchi e balletto. Il grande maestro di scacchi Mikhail Botvinnik ha parlato in nome di molti quando ha detto: "Sono ebreo di sangue, russo di cultura, sovietico di educazione".

Il tardo periodo sovietico e oltre

Negli anni '60, un numero crescente di ebrei sovietici si ribellò apertamente a questa educazione sovietica, e alcuni divennero attori chiave del movimento per i diritti umani. Più avanti nel decennio, mentre i movimenti nazionali proliferavano in tutta l'Unione Sovietica, un numero maggiore di ebrei iniziò ad abbracciare il sionismo e a chiedere sia il diritto di emigrare in Israele sia la rivitalizzazione della cultura ebraica all'interno dell'URSS. La pressione dall'estero contribuì a costringere lo stato sovietico a soddisfare parzialmente queste richieste. Tra il 1970 e il 1989, 300.000 ebrei, più del 10 per cento della popolazione ebraica, lasciarono il paese, principalmente per Israele e gli Stati Uniti. 

Coloro cui fu negato il visto di uscita, divennero noti come rejectnik. Formando comunità molto unite a Mosca e Leningrado, guidarono la lotta nazionale ebraica nel tardo periodo sovietico. Molti, come il famoso dissidente Natan Sharansky, scontarono lunghi periodi nei campi di lavoro forzato.  

Con la caduta dell'Unione Sovietica nel 1991, gli ebrei russi furono finalmente liberi di andarsene. Centinaia di migliaia lo avrebbero fatto, principalmente per Israele, dove la loro presenza trasformò lo stato ebraico demograficamente, politicamente e culturalmente. Una grande comunità ebraica russa mise radici anche in Germania. Ma coloro che rimasero indietro assistettero a una rinascita della vita religiosa ebraica organizzata e della società civile. Movimenti religiosi come Chabad e organizzazioni sioniste stabilirono un punto d'appoggio. Gli studi ebraici divennero una seria disciplina accademica. E nel 2012, un Museo ebraico e un Centro di accoglienza aprirono a Mosca. Nel 2020, circa 150.000-600.000 ebrei vivevano nella Federazione Russa, con stime che variano notevolmente secondo come viene definito l'ebraismo.

Ma l'invasione su vasta scala dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 e l'atmosfera di repressione interna che ne è seguita hanno generato nuove ansie e spinto migliaia di ebrei ad andarsene. Molti ebrei culturalmente importanti sono stati dichiarati agenti stranieri e lo Stato si è mosso per vietare alcune organizzazioni sioniste.

Il prolungato prosciugamento della fonte della modernità ebraica continua. 

 

 

L’AMORE di Giuseppe Kalowski, Tel Aviv, 04 gennaio 2025

 

La Parashà di Vayshev (Genesi) offre ottimi spunti di riflessione sulla complessità dell'Amore nella tradizione ebraica: questo importante capitolo della Torah affronta direttamente e indirettamente tutte le sfumature e le accezioni di questo sentimento che spesso non riusciamo a definire e a spiegare.

L'amore preferenziale di Giacobbe per Giuseppe genera l'odio nei suoi fratelli; se non è saggio e bilanciato l'affetto e l'amore possono creare gelosie e rancore fino alle estreme conseguenze.

In Vayshev la gelosia dei fratelli di Giuseppe arriva fino al punto di venderlo come schiavo. Da qui l'insegnamento che l'amore all'interno della famiglia deve essere all'insegna dell'unità e del rispetto.

In questa Parashà troviamo anche l'Amore come desiderio, personificato da Potifar che tenta di sedurre Giuseppe, ma inutilmente, perché l'Amore morale di Hashem deve essere giusto e non mero desiderio sessuale. Il comportamento irreprensibile di Giuseppe fa sì che il Signore rimanga sempre con lui con un amore incondizionato che rappresenterà il punto di forza nei suoi comportamenti futuri.

L'Amore, se non è un sentimento equilibrato e rispettoso, può tramutarsi in un fattore distruttivo della nostra vita.

Da queste premesse bibliche si può affermare che l'Amore nella vita ebraica abbraccia tutti e tutto, è universale.

Il "Tikkun Olam" (la riparazione del mondo) incoraggia l'Amore e il bene comune per tutti, non solo agli ebrei.

L' Ahavà (Amore) non è un concetto astratto, ma un sentimento seguìto da comportamenti concreti, tangibili ; siamo lontani dal pensiero "romantico" dell'amore, un po' fine a se stesso.

Nell'ebraismo ha la forza di collegare l'uomo a D.o, non solo ad altri esseri umani : è una interazione tra l’uomo e Hashem.

Tra persone appartenenti alla stessa identità ebraica l'amore si manifesta con le proprie esperienze individuali ; il matrimonio ebraico è "solo" la straordinaria e inevitabile conclusione del processo di innamoramento nei confronti di un individuo della propria comunità, ma è anche il momento iniziale per esplicitare in modo concreto il proprio Amore.

Come sempre nell'ebraismo, dalla spiritualità bisogna passare all'azione pratica, reale, con un comportamento che sia coerente e concreto allo stesso tempo.

Il Comandamento "Ama il tuo prossimo come te stesso" è la base, il principio fondante dell'Amore in tutte le sue espressioni, in tutti i suoi significati. Nel matrimonio si mostra con il rispetto reciproco; non a caso nel Talmud è scritto che l'uomo deve amare e rispettare la moglie più di se stesso : il matrimonio rappresenta l'unione tra il popolo ebraico e D.o.

L'Amore è una rappresentazione multidimensionale nella tradizione ebraica e Hashem è l'aspetto fondante, iniziale per essere esplicato nella sua forma.

La preghiera dello Shemà (Amerai il Signore...) è l'esempio più forte, emblematico, di come si evolve l'Amore nell'ebraismo; attraverso l'avvicinamento di Hashem "costruiamo" l'Amore in tutte le sue espressioni : l'amore e il rispetto per il prossimo, quello coniugale e quello per la propria comunità.

La passione e l'attrazione nei confronti di una persona è sempre vista tramite l' intercessione di D.o : l'amore e la passione verso il Signore si riflettono  poi in un amore e desiderio genuino, puro, che trascina il mondo verso un comportamento moralmente accettabile. C'è una interazione tra l'Amore spirituale e l'Amore terreno.

Anche il Talmud lega la passione individuale per un'altra persona con l'Amore per il prossimo, per il bene comune, mai egoistico. È un amore che necessita di equilibrio...

Ogni individuo deve incanalare la propria passione come una forza che avvicina l'individuo a D.o e viceversa.

La passione è un’emozione profonda, che si rivolge ad Hashem ma anche verso i nostri simili : è una forza che, se bene  orientata, è positiva, costruttiva.

Lo studio della Torah è la conseguenza della passione umana: è il mezzo per avvicinarsi ad Hashem ; non è un valore a se stante ma sempre legato a D.o.

L'intimità, il sesso, sono una parte importante della vita ebraica, sempre regolata da leggi che riportano a una connessione spirituale con D.o.

Tramite l'amore terreno, umano, comprendiamo l'amore di Hashem che nutre per noi (Rav Jonathan Sacks).

L'Amore avvolge ogni aspetto vitale creando un collegamento unico, speciale, tra l'uomo e D.o.

Ecco come si spiega l'amore del nostro popolo per la vita: nelle sue espressioni più disparate rappresenta l'energia che manda avanti il mondo. Soprattutto per noi ebrei l'amore rappresenta uno stimolo ineludibile per affrontare le millenarie difficoltà nella Diaspora e fuori.

E in Israele le persone, i giovani si amano, e si sposano a dispetto della guerra più lunga dalla creazione dello Stato d'Israele.

IL DIFFICILE MERITO DI ESSERE EBREI, di Giuseppe Kalowski, Tel Aviv, 15 febbraio 2025

 

Da 498 giorni viviamo questo incubo che sembra non finire più.

La tregua a Gaza sembra barcollare e la prosecuzione della liberazione degli ostaggi è in grande pericolo.

Ma di fronte a questo infinito sgomento si fa strada la notizia dell'imminente incontro tra Putin e Trump e la dichiarazione di volere iniziare le trattative per interrompere la guerra con l 'Ucraina e un immediato scambio dei prigionieri.

Qualcosa si sta muovendo?

Tutti noi, e non solo il papa, speriamo che il buon senso prevalga sulla follia selvaggia del terrorismo palestinese e sulla irrefrenabile voglia di imperialismo russo, e che le armi tacciano una volta per tutte; ma affinché non risulti un mero e inutile slogan per la pace non si possono accomunare tutti i protagonisti sullo stesso piano, al di là delle facili speranze e delle parole. 

Siamo forse a un punto di svolta che non sappiamo dove ci porterà: soprattutto a Gaza, Hamas, galvanizzata dai cinici show mediatici durante il rilascio degli ostaggi, minaccia di interrompere la prosecuzione della prima fase della tregua con il relativo rilascio graduale e parziale degli ostaggi accusando Israele di violazioni della tregua. 

L'opinione pubblica mondiale, e l'Italia non fa eccezione, non si è indignata, non ha protestato come avrebbe potuto e dovuto di fronte allo scempio delle torture inflitte agli ostaggi in mano a Hamas. Silenzio totale e di massa. 

È una indifferenza atavica sempre più sfacciata e senza freni inibitori. 

A nessuno, o a troppo pochi, è mai interessato che da oltre un decennio piovano missili sulle città israeliane, come fosse la cosa più normale del mondo. 

L'unica cosa che si sente, in qualsiasi palco politico o istituzionale, è la soluzione "due popoli due stati" oramai diventata una parola d'ordine senza senso perché fuori tempo: concetto nobile espresso però comunemente da coloro che non conoscono fino in fondo la reale situazione e le dinamiche effettive di quei territori. 

Ma d'altra parte noi non possiamo eludere questa situazione, abbiamo il dovere di esprimere in ogni caso il meglio di noi stessi. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato per fare capire che la nostra ferrea volontà è quella di volere vivere in pace, anche con la moltitudine che ha pregiudizi nei nostri valori e con chi osteggia Israele da vicino.

Questo deve essere il nostro grande merito: essere ebrei è responsabilità non solo nei confronti dei nostri figli e delle generazioni future, ma anche un esempio per il resto dell'umanità. L'impegno quotidiano nell'osservare i precetti deve stimolare gli ebrei a un comportamento morale ed etico travolgente, cosmico.

Il periodo difficilissimo che stiamo vivendo non deve farci perdere di vista la traccia di umanità che l'ebraismo ha sempre lasciato al resto della collettività.

A noi ebrei va sempre ricordato che la nostra identità e l'appartenenza al popolo ebraico non è un peso, una zavorra, ma è un merito dovuto alla possibilità di poter contribuire allo sviluppo virtuoso, morale e tecnologico del mondo.

Il maledetto 7 ottobre 2023, in una situazione disperata, quasi impossibile da affrontare, ha invece prodotto l'effetto di compattare Israele; la solidarietà della grande famiglia ebraica nel mondo nei confronti dello Stato ebraico ha risvegliato, riscoperto, non solo l'identità ma anche e soprattutto l'appartenenza a un grande popolo. Si è creata una grande coscienza collettiva.

L'antisemitismo a macchia d'olio, Hamas, l'Iran e Hezbollah hanno paradossalmente rafforzato questo senso di appartenenza che molti, troppi ebrei avevano smarrito: ci siamo ritrovati più vulnerabili ma più uniti.

La tregua, a nord con Hezbollah in Libano e a sud con Hamas, con il progressivo rilascio parziale degli ostaggi e la contemporanea liberazione di centinaia di terroristi anche ergastolani che si sono macchiati di atrocità nei confronti di civili, ha determinato non solo la gioia di avere riportato a casa qualcuno in vita, ma anche una sensazione di speranza per una situazione che sembrava inestricabile. Al sollievo però si sovrappone un dolore collettivo che si aggiunge a quello dei familiari.

Quello che è accaduto e che purtroppo non si è ancora concluso deve rappresentare un monito a non lasciarsi sopraffare dal dolore, ma a trasformare questa angoscia, questa ferita che non rimargina, in una capacità di ricostruzione interiore e mantenere viva la speranza di una società migliore.

Dal miracolo di Hanukkah al 7 ottobre, dalla guerra al rilascio parziale degli ostaggi il nostro merito deve essere quello di non spegnere mai la luce della speranza.

Il popolo ebraico ha sempre rispettato e onorato la sua Storia.

Lo farà anche questa volta.

 

GLI ANGELI

 

Traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari

 

Gli angeli sono esseri soprannaturali ampiamente presenti nella letteratura ebraica. 

La parola ebraica per angelo, mal'ach, significa messaggero, e gli angeli nelle prime fonti bibliche trasmettono informazioni specifiche o svolgono una funzione particolare. Nella Torah, un angelo impedisce ad Abramo di uccidere suo figlio Isacco, appare a Mosè nel roveto ardente e dà indicazioni agli Israeliti durante il soggiorno nel deserto dopo la liberazione dall'Egitto. Nei testi biblici successivi, gli angeli sono associati a visioni e profezie e ricevono nomi propri.

Fonti rabbiniche e cabalistiche successive ampliano ulteriormente il concetto di angeli, descrivendo un vasto universo di angeli con nomi e ruoli particolari nel regno spirituale.

Angeli nella Bibbia

Gli angeli compaiono in tutta la Bibbia. Nelle loro prime apparizioni, fungono da portatori di informazioni. Nella Genesi, un angelo appare ad Agar, la serva di Sara, e la informa che partorirà un figlio i cui discendenti saranno numerosi. Un incontro simile avviene più tardi con la stessa Sara, quando tre visitatori le portano la notizia che partorirà l'anno successivo. Quando Abramo si mette in viaggio per sacrificare quel bambino, suo figlio Isacco, è un "angelo di Dio" che grida a lui e gli ordina di non fare del male al ragazzo.

Tra le storie più famose di angeli nella Bibbia c'è l'incontro tra il patriarca Giacobbe e un angelo con cui lotta tutta la notte. Al mattino, quando Giacobbe chiede al suo avversario di identificarsi, l'angelo lo ammonisce di non chiederlo. In seguito, Giacobbe nomina il luogo P'niel, letteralmente "volto di Dio". Nello spiegare questa scelta, la Torah chiarisce che l'avversario che lottava era un emissario di Dio: "Ho visto un essere divino faccia a faccia, eppure la mia vita è stata preservata".

Nei libri dei profeti, gli angeli continuano a svolgere la loro funzione di messaggeri, ma sono anche associati a visioni e profezie. Un resoconto particolarmente dettagliato è registrato nel primo capitolo di Ezechiele. Il profeta incontra quattro creature (chayot in ebraico) che assomigliano a esseri umani, ma ognuna ha quattro facce (umano, leone, bue e aquila), quattro ali e le loro gambe sono fuse in una sola gamba. Una visione parallela è registrata nel 10° capitolo, solo che lì gli angeli sono descritti come cherubini.

Non tutte le figure angeliche nella Bibbia sono identificate come tali. I tre visitatori che andarono da Abramo e Sara sono descritti nel testo come anashim, o uomini, sebbene fonti rabbiniche indichino che fossero angeli. Allo stesso modo, l'angelo che apparve a Giacobbe è descritto semplicemente come ish, o uomo. Quando agli angeli biblici viene chiesto di identificarsi, rifiutano. Nel Libro dei Giudici, Manoah, il padre di Sansone, chiede il nome di un angelo che aveva profetizzato un figlio per la moglie sterile. L'angelo rifiuta, dicendo che il suo nome è sconosciuto. Nel Libro di Daniele per la prima volta nella Bibbia compaiono angeli con un nome: Gabriele e Michele.

Gli angeli nella letteratura rabbinica antica

La letteratura rabbinica espone in modo significativo la natura degli angeli e i loro ruoli nelle storie bibliche. Il Midrash identifica Michele, Gabriele, Uriele e Raffaele come i quattro angeli principali che circondano il trono divino, ognuno dei quali ha attributi particolari. Il Talmud identifica Michele, Gabriele e Raffaele come i tre angeli che visitarono Abramo per annunciargli che sua moglie avrebbe avuto un figlio. Sebbene la Bibbia registri che gli uomini mangiarono un pasto che Abramo aveva preparato per loro, i rabbini stabiliscono che il trio sembrò solo mangiare, poiché, essendo angeli, non sono esseri fisici, ma semplicemente gli assomigliano.

Il Midrash include molte fantasiose rappresentazioni di angeli. Secondo una fonte, Michele è fatto interamente di neve e Gabriele interamente di fuoco, ma nonostante la loro vicinanza non si danneggiano a vicenda, un simbolo del potere di Dio di fare pace nelle sue altezze elevate. Molteplici fonti midrashiche identificano Michele come il difensore celeste di Israele in contrasto con il demone Sama'el. E un altro Midrash descrive un dibattito tra gli angeli sulla creazione di esseri umani. In questo dibattito, l'angelo dell'amore è a favore della creazione di esseri umani, a causa della capacità umana di esprimere amore, ma l'angelo della verità non è d'accordo, temendo che gli esseri umani siano inclini alle falsità. A sostegno della creazione di esseri umani, Dio mostra agli angeli esempi di persone giuste dalla Bibbia, ma l'angelo della terra si ribella e nega all'angelo Gabriele la polvere di cui ha bisogno per la creazione di persone, temendo che gli esseri umani possano causare devastazione sulla terra. Anche l'angelo della Torah si oppone alla creazione umana, sostenendo che le persone non dovrebbero essere create perché soffriranno.

Il Talmud riporta un insegnamento secondo cui due angeli ministranti, uno buono e uno cattivo, accompagnano una persona a casa dalla sinagoga la sera dello Shabbat. Se trovano la casa della persona preparata per lo Shabbat, l'angelo buono dichiara: "Possa essere la Tua volontà che sia così per un altro Shabbat". E l'angelo cattivo risponde contro la sua volontà: "Amen". Se la casa non è preparata, accade il contrario: l'angelo cattivo esprime il desiderio che sia così per un'altra settimana e l'angelo buono risponde "Amen".  Shalom Aleichem , un canto liturgico che accoglie gli angeli in casa prima del pasto dello Shabbat, è ispirato da questo insegnamento.

Come nel Midrash, gli angeli nel Talmud occasionalmente discutono con Dio, il che conferisce loro un grado di autonomia che complica la nozione di angeli come semplici messaggeri che realizzano obiettivi divini. I rabbini del Talmud potrebbero essere stati preoccupati che gli angeli sarebbero diventati oggetti di adorazione in sé e per sé, una preoccupazione che alcuni ritengono essere alla base di vari testi talmudici che indicano che le persone giuste possono eguagliare o persino superare la santità degli angeli. Nel Trattato Sanhedrin, il Talmud afferma che le persone giuste sono più grandi degli angeli ministranti.

La gerarchia angelica di Maimonide

Maimonide, studioso del XII secolo, dedica una sezione del suo Mishneh Torah alla natura degli angeli. Sono esseri incorporei, scrive, dotati di forma ma non di sostanza. Le descrizioni degli angeli come alati o fatti di fuoco, dice Maimonide, sono semplicemente visioni profetiche "enigmatiche", ovvero tentativi inevitabilmente inadeguati di descrivere l'informe e lo spirituale entro i confini del linguaggio umano.

Maimonide descrive una gerarchia di angeli a 10 livelli, con diversi tipi come creature sacre (chayot hakodesh ), serpenti volanti e portatori di carri. Tutte queste forme sono vive e conoscono Dio intimamente, scrive Maimonide, ma mentre tutte conoscono Dio più profondamente degli esseri umani, persino il più elevato tra loro, sapendo più di tutti quelli sottostanti, non può conoscere la piena verità di Dio.

Angeli nella Cabala

La tradizione mistica ebraica si dilunga ulteriormente sulla natura degli angeli. Le fonti cabalistiche descrivono gli angeli come forze di energia spirituale. Il rabbino David Cooper, che ha scritto ampiamente su Cabala e meditazione ebraica, ha descritto gli angeli come “fasci di energia metafisica invisibili” che agiscono come magneti, causando cambiamenti fisici per mezzo di forze invisibili all’occhio.

Nella Cabala, gli angeli risiedono nei mondi di beriah (creazione) e yetzirah (formazione), i due mondi centrali dei quattro mondi della Cabala, che rappresentano gli stadi spirituali attraverso i quali l'energia divina viene condotta verso il basso nel mondo materiale. Nella sua opera classica sulla Cabala, The Thirteen Petalled Rose, il rabbino Adin Steinsaltz scrive che il comportamento umano può creare angeli. In una controparte del modo in cui gli angeli biblici portano messaggi dal regno divino verso l'umanità, gli angeli creati dalle azioni umane trasportano le energie dell'umanità verso l'alto nei regni spirituali superiori.

Gli angeli sono singolari e immutabili nelle loro essenze, scrive Steinsaltz, e possono essere buoni o cattivi (demoni), questi ultimi sono il prodotto di esseri umani che fanno l'opposto di una mitzvah, ovvero covano pensieri malvagi o commettono atti di malvagità. Come gli angeli buoni, anche gli angeli malvagi agiscono in un duplice modo, portando il male dal mondo spirituale a quello materiale ispirando il peccato o causando sofferenza e punizione, mentre ricevono anche energia dalle malefatte degli esseri umani. "Certo, se il mondo sradicasse completamente ogni male, allora, come una cosa naturale, gli angeli sovversivi scomparirebbero, poiché esistono come parassiti permanenti che vivono sull'uomo", scrive Steinsaltz.

"Ma finché l'uomo sceglie il male, sostiene e nutre interi mondi e dimore del male, tutti attingendo alla stessa malattia umana dell'anima".

[Fonte MJL]