IL DIFFICILE MERITO DI ESSERE EBREI, di Giuseppe Kalowski, Tel Aviv, 15 febbraio 2025
Da 498 giorni viviamo questo incubo che sembra non finire più.
La tregua a Gaza sembra barcollare e la prosecuzione della liberazione degli ostaggi è in grande pericolo.
Ma di fronte a questo infinito sgomento si fa strada la notizia dell'imminente incontro tra Putin e Trump e la dichiarazione di volere iniziare le trattative per interrompere la guerra con l 'Ucraina e un immediato scambio dei prigionieri.
Qualcosa si sta muovendo?
Tutti noi, e non solo il papa, speriamo che il buon senso prevalga sulla follia selvaggia del terrorismo palestinese e sulla irrefrenabile voglia di imperialismo russo, e che le armi tacciano una volta per tutte; ma affinché non risulti un mero e inutile slogan per la pace non si possono accomunare tutti i protagonisti sullo stesso piano, al di là delle facili speranze e delle parole.
Siamo forse a un punto di svolta che non sappiamo dove ci porterà: soprattutto a Gaza, Hamas, galvanizzata dai cinici show mediatici durante il rilascio degli ostaggi, minaccia di interrompere la prosecuzione della prima fase della tregua con il relativo rilascio graduale e parziale degli ostaggi accusando Israele di violazioni della tregua.
L'opinione pubblica mondiale, e l'Italia non fa eccezione, non si è indignata, non ha protestato come avrebbe potuto e dovuto di fronte allo scempio delle torture inflitte agli ostaggi in mano a Hamas. Silenzio totale e di massa.
È una indifferenza atavica sempre più sfacciata e senza freni inibitori.
A nessuno, o a troppo pochi, è mai interessato che da oltre un decennio piovano missili sulle città israeliane, come fosse la cosa più normale del mondo.
L'unica cosa che si sente, in qualsiasi palco politico o istituzionale, è la soluzione "due popoli due stati" oramai diventata una parola d'ordine senza senso perché fuori tempo: concetto nobile espresso però comunemente da coloro che non conoscono fino in fondo la reale situazione e le dinamiche effettive di quei territori.
Ma d'altra parte noi non possiamo eludere questa situazione, abbiamo il dovere di esprimere in ogni caso il meglio di noi stessi. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato per fare capire che la nostra ferrea volontà è quella di volere vivere in pace, anche con la moltitudine che ha pregiudizi nei nostri valori e con chi osteggia Israele da vicino.
Questo deve essere il nostro grande merito: essere ebrei è responsabilità non solo nei confronti dei nostri figli e delle generazioni future, ma anche un esempio per il resto dell'umanità. L'impegno quotidiano nell'osservare i precetti deve stimolare gli ebrei a un comportamento morale ed etico travolgente, cosmico.
Il periodo difficilissimo che stiamo vivendo non deve farci perdere di vista la traccia di umanità che l'ebraismo ha sempre lasciato al resto della collettività.
A noi ebrei va sempre ricordato che la nostra identità e l'appartenenza al popolo ebraico non è un peso, una zavorra, ma è un merito dovuto alla possibilità di poter contribuire allo sviluppo virtuoso, morale e tecnologico del mondo.
Il maledetto 7 ottobre 2023, in una situazione disperata, quasi impossibile da affrontare, ha invece prodotto l'effetto di compattare Israele; la solidarietà della grande famiglia ebraica nel mondo nei confronti dello Stato ebraico ha risvegliato, riscoperto, non solo l'identità ma anche e soprattutto l'appartenenza a un grande popolo. Si è creata una grande coscienza collettiva.
L'antisemitismo a macchia d'olio, Hamas, l'Iran e Hezbollah hanno paradossalmente rafforzato questo senso di appartenenza che molti, troppi ebrei avevano smarrito: ci siamo ritrovati più vulnerabili ma più uniti.
La tregua, a nord con Hezbollah in Libano e a sud con Hamas, con il progressivo rilascio parziale degli ostaggi e la contemporanea liberazione di centinaia di terroristi anche ergastolani che si sono macchiati di atrocità nei confronti di civili, ha determinato non solo la gioia di avere riportato a casa qualcuno in vita, ma anche una sensazione di speranza per una situazione che sembrava inestricabile. Al sollievo però si sovrappone un dolore collettivo che si aggiunge a quello dei familiari.
Quello che è accaduto e che purtroppo non si è ancora concluso deve rappresentare un monito a non lasciarsi sopraffare dal dolore, ma a trasformare questa angoscia, questa ferita che non rimargina, in una capacità di ricostruzione interiore e mantenere viva la speranza di una società migliore.
Dal miracolo di Hanukkah al 7 ottobre, dalla guerra al rilascio parziale degli ostaggi il nostro merito deve essere quello di non spegnere mai la luce della speranza.
Il popolo ebraico ha sempre rispettato e onorato la sua Storia.
Lo farà anche questa volta.