- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 1797
A |
lcuni libri che oggi riteniamo classici della letteratura italiana e mondiale, a loro tempo, erano stati rifiutati dagli editori a cui erano stati sottoposti i manoscritti.
Certo, non tutti gli editori possono essere lungimiranti allo stesso modo.
Famosa, in questo senso, è la risposta che Peter J. Bentley della casa editrice Bentley & Son diede a Herman Melville quando propose il suo Moby Dick:
"Per sapere: deve proprio essere una balena? [...] Noi suggeriremmo un antagonista dall’immagine più popolare tra i giovani lettori. Per esempio, il capitano non potrebbe essere in lotta con la propria depravazione verso giovani e, potenzialmente voluttuose, signorine?".
M |
a non si tratta solo di questo: per un editore rifiutare un libro non significa per forza non reputare valido il testo che ha tra le mani.
A volte, per esempio, le circostanze storiche e la censura possono imporre determinati rifiuti, mentre altre volte il no è dovuto al semplice fatto che non tutti i libri sono adatti a tutte le case editrici (o a tutte le collane).
Altre volte ancora, la colpa può essere del tempismo: una casa editrice potrebbe bocciare un volume anche semplicemente perché la sua pubblicazione si sovrapporrebbe a qualcosa di troppo simile già in programma nello stesso periodo.
E |
cco alcuni tra i più celebri rifiuti editoriali della storia.
Dalla parte di Swann, Marcel Proust
Il primo volume di Alla ricerca del tempo perduto fu pubblicato in pochissime copie e le spese per la stampa furono sostenute da Proust in persona. Il dattiloscritto era stato sottoposto a due editori, Fasquelle e NRF (fondata da Gaston Gallimard e André Gide, cui Proust non sta particolarmente simpatico: lo ritiene dilettante e snob): entrambe lo rifiutarono, con il sospetto da parte dell’autore che il plico non fosse nemmeno stato aperto.
Il rifiuto non sarà l’ultimo: anche Humblot, direttore della casa editrice Ollendorff, bocciò seccamente il romanzo, non riuscendo a capacitarsi di come:
“un tizio possa impiegare ben 30 pagine per descrivere come si giri e rigiri nel letto”.
Quando Proust pubblicherà a sue spese il romanzo (questa volta, con certezza, senza che l’editore nemmeno lo aprisse), Gide si rese conto dell’errore e implorò Proust di pubblicare con Gallimard i successivi volumi dell’opera.
Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Non tutti sanno che Il Gattopardo è stato rifiutato non una, ma ben due volte.
Serve inquadrare il rifiuto nel contesto storico e editoriale di riferimento: in pieno
boom economico, Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un principe siciliano, coltissimo, solitario e totalmente estraneo al panorama editoriale e intellettuale.
Il suo romanzo viene proposto prima a Mondadori e poi a Einaudi: in Mondadori viene rifiutato dai dirigenti editoriali (più che da Vittorini); in Einaudi a bocciarlo è Vittorini stesso, direttore della collana dei Gettoni. Sia chiaro, per Vittorini il giudizio sul romanzo non è un giudizio positivo (considera Il Gattopardo un’opera prolissa, squilibrata e prenovecentesca), ma il suo rifiuto non è dovuto a queste caratteristiche: il libro non ha niente a che fare con quella che è l’impostazione della collana per cui è stato proposto, che ha un impianto ben più sperimentale.
Gente di Dublino, James Joyce
Quando Joyce presentò la sua raccolta di racconti a svariati editori, il responso che ricevette fu unanime: serviva che l’autore apportasse alcuni ritocchi, per attenuare l’immagine complessiva di Dublino che emergeva dai testi, per eliminare un’offesa alla famiglia reale o riferimenti a luoghi e famiglie esistenti. L’eccesso di realismo e autenticità di personaggi umani e in fuga da una città paralizzante e squallida inquietava gli editori tanto che tra il 1905 e il 1914 James Joyce ricevette ben 18 rifiuti da 15 case editrici diverse.
Lolita, Nabokov
Un romanzo scabroso e scandaloso: l’unico modo per pubblicare Lolita, secondo gli editori, era quello di operare tagli e censure.
Nonostante alcuni rifiuti, il romanzo fu pubblicato nel 1955 a Parigi (in lingua inglese, da una casa editrice nota per la propria produzione erotica), ma fu presto messo al bando.
Pubblicato negli Stati Uniti a tre anni di distanza, Lolita vendette centomila copie in meno di un mese.
Fiesta, Hemingway
Prima di essere pubblicato a New York nel 1926 e a Londra l’anno successivo, nel 1925 Fiesta fu rifiutato da Moberley Luger della casa editrice Peacock & Peacock.
Secondo il giudizio di Luger, il libro era “noioso e offensivo al tempo stesso”.
Con la stessa schiettezza che riconosce nello stile dell’autore, la lettera di rifiuto continua:
"Lei sicuramente è un ‘vero uomo’, non è così? Non sarei sorpresa di scoprire che ha scritto tutta la storia chiuso dentro a un club, con il pennino in una mano e un bicchiere di brandy nell’altra".
Se questo è un uomo, Primo Levi
Altra storia piuttosto nota è quella del rifiuto di Se questo è un uomo di Primo Levi.
Nonostante il giudizio positivo di Natalia Ginzburg, nel 1947 il romanzo viene bocciato in casa Einaudi, in particolare per il parere avverso di Cesare Pavese.
A pubblicarlo sarà una piccola casa editrice torinese, la De Silva, che lo stamperà in 2500 copie.
Non contenta, Einaudi rifiuterà nuovamente il romanzo nel 1952. Solo nel 1958 Se questo è un uomo entrerà a far parte del catalogo einaudiano, diventando un vero e proprio classico.
Perché era stato rifiutato?
Probabilmente, perché confuso con la massa di materiale memorialistico sovrabbondante dopo le atrocità del conflitto e perché sottovalutato.
A questo si aggiunge la sua netta differenza rispetto alla produzione neorealista, dovuta in particolare allo stile aulico dell’opera.
La fattoria degli animali, George Orwell
La casa editrice Faber & Faber (rappresentata niente meno da T.S. Eliot) rifiutò il romanzo La fattoria degli animali, pur concordando sul fatto che fosse “un notevole scritto”, poiché non condivideva il punto di vista con cui Orwell criticava la situazione politica dell’epoca, e in particolare la sua posizione nei confronti dell’Unione Sovietica.
Ancora una volta, il contesto storico si rivela fondamentale: la Seconda guerra mondiale è ancora in corso e la situazione particolarmente delicata.
"Sono molto dispiaciuto, perché chiunque pubblicherà questo romanzo avrà naturalmente l’opportunità di pubblicare i suoi lavori futuri: e ho molta considerazione per i suoi lavori, perché lei è un esempio di scrittura di fondamentale integrità".
L’amante di Lady Chatterley, David Herbert Lawrence
“Per il tuo bene, non pubblicare questo libro”: il rifiuto del romanzo di D.H. Lawrence è stato lapidario, ma, se vogliamo, lungimirante.
Pubblicato per la prima volta a Firenze nel 1928 (in lingua inglese), il romanzo venne presto messo al bando per oscenità e processato.
Le sue descrizioni fin troppo esplicite (edulcorate nella prima traduzione italiana, nel 1945, tanto da tradurre “to fuck” con “baciare”) erano considerate “tali da tendere a depravare e corrompere le persone”.
Solo nel 1960 il romanzo poté tornare in circolazione: in soli due anni raggiunse 2 milioni di copie vendute.
Diario, Anna Frank
Non uno ma quindici furono gli editori che rifiutarono, per motivazioni diverse, le memorie che Anna Frank aveva affidato al suo diario.
Non solo: la prima casa editrice che finalmente accettò di pubblicare il Diario censurò ben 25 passaggi del manoscritto e ne ampliò altri a scopi didascalici.
Le modifiche furono approvate dal padre Otto, che era già intervenuto notevolmente sul testo, eliminando i passaggi contenenti le critiche di Anna a sua madre e le sue riflessioni riguardo alla sessualità e al ruolo della donna nella società.
L |
ibri rifiutati di scrittori contemporanei.
Anche la storia editoriale più recente offre una casistica di esempi curiosi legati alle opere di autori noti e amatissimi dal pubblico.
Qualche esempio:
Stephen King: tra i tanti rifiuti ricevuti da King, il più clamoroso è quello di "Carrie", dovuto al fatto che:
“i racconti di fantascienza con utopie negative non vendono”.
J.K. Rowling: i fan di "Harry Potter" ringraziano che la storia del libro non sia stata ostacolata dalle decine di rifiuti ricevuti dalla sua autrice. Fu la figlia del presidente della casa editrice Bloomsbury a convincerlo a pubblicare "Harry Potter e la pietra filosofale".
Mario Puzo: "Il padrino" è stato rifiutato da grandi editori italiani con le più svariate motivazioni: è volgare, crudo, violento, grossolano e “Puzo” è un cognome “impresentabile”.
Carlos Ruiz Zafòn: pare che secondo alcuni editori "L’ombra del vento" avrebbe potuto vendere solo tre copie.
Andrea Camilleri: "Il corso delle cose", primo romanzo di Andrea Camilleri, aspettò dieci anni di attese e rifiuti prima di essere pubblicato.
Susanna Tamaro: con le sue prime due opere ("Illimitz" e "Falco") Tamaro riceve ben 26 rifiuti in dieci anni.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 4646
Christian Boltanski, Parigi, 6 settembre 1944 - 14 luglio 2021: un’anima immortale, che trasformò la Memoria in Arte. Pittore, fotografo, scultore e filmaker raccontò ansie, emozioni e ricordi, trasformandoli in “specchi per chi guarda”. Nacque a Parigi, pochi giorni dopo la Liberazione. Il periodo dell’occupazione nazista divenne centrale per la sua formazione e, più tardi, per la sua arte, nonostante non l’avesse vissuto direttamente: il padre, medico ebreo, per sfuggire alla deportazione fu nascosto dalla madre, la scrittrice cattolica Marie-Elise Ilari-Guérin, in una botola sotto il pavimento di casa, dopo che lei stessa aveva chiesto il divorzio per simulare una separazione.
Memoria, sentimento, storia, ma anche speranza: sono queste le parole che hanno segnato Christian Boltanski, uno dei maggiori artisti francesi contemporanei, sicuramente uno dei più celebri. Padre di origine ucraina e madre corsa, fratello del sociologo Luc Boltanski, sposato con Annette Messager, artista anche lei con la quale saltuariamente collaborava, Boltansky dopo aver sperimentato, da autodidatta, la pittura, con il cortometraggio La vie impossible (1968) iniziò un percorso di ricerca che aveva come motivo centrale la memoria, personale e collettiva. Combinando frammenti di realtà e immaginazione, attraverso l’uso e l’accumulo di materiali e oggetti diversi e, soprattutto, di fotografie, elaborò assemblages e installazioni. La questione della memoria, del tempo e della testimonianza attraverso le immagini e gli oggetti furono centrali per la formazione di Boltanski e per la sua arte. Cominciò a dipingere da adolescente, poi abbandonò la pittura e si dedicò soprattutto alle grandi installazioni che lo resero famoso.
La domanda che mi faccio nel mio lavoro è legata al fatto che credo all’importanza di ogni essere umano perché ogni essere è unico, ed è molto importante. Ma allo stesso tempo siamo anche fragili: veniamo dimenticati subito. Ci ricordiamo del nostro nonno ma non del nostro bisnonno. C’è quindi una specie di contraddizione: ognuno è importante e unico, ma allo stesso tempo scompare in modo velocissimo. Quel che ci costituisce è prezioso perché siamo qualcuno, ma tutto questo sarà presto dimenticato. Tutta la mia vita, tutto il mio lavoro sono un fallimento perché sono stati una lotta contro la dimenticanza; ho cercato di salvare dall’oblio, ma questo non è possibile. All’inizio della mia vita volevo provare a conservare la piccola memoria. C’è la grande memoria e la piccola memoria: la piccola memoria è la conoscenza che ognuno ha della propria vita… è una storia, un sentimento. Ho provato a conservarla per ogni persona ma non è possibile: ho conservato i battiti del mio cuore, ho raccolto i battiti del cuore di migliaia di persone e li conservo in un’isola del Giappone. Ma non serve a niente: tutto questo non basta a far sopravvivere la persona.
Si può comunicare solo quello che si conosce. Parlo di cose che sono davvero universali, quindi tocco molta gente. Però ognuno le ritraduce col proprio vissuto; l’opera d’arte è una specie di stimolo che ognuno completerà. Ognuno completa l’opera d’arte con la propria vita, i propri ricordi.
E, tuttavia, ognuno si ricorda solo del proprio male.
Per fortuna le opere non hanno un solo significato, ma offrono un significato diverso per ognuno. Ognuno ci vede ciò che ha voglia di vedere. Ognuno può leggerle come vuole, in modo diverso, in relazione alla propria esperienza. Un bambino troverà una mia opera gioiosa perché non sa niente della Shoah, quindi vede qualcosa di gioioso; ma un adulto non la troverà tale.
Non ho mai lavorato direttamente sulla Shoah, ma sono nato nel 1944, e molto presto, da molto giovane, ho sentito i racconti dei sopravvissuti, degli amici dei miei genitori che erano sopravvissuti, che sono ritornati, che hanno raccontato davanti a me. Che avevo tre, quattro anni… Ciò che hanno raccontato mi ha segnato profondamente, e per sempre. Tuttavia, non ho mai voluto parlare direttamente della Shoah. Ho fatto molte opere a proposito degli svizzeri morti, mai a proposito degli ebrei morti: ma in francese suonano in modo simile, suisse / juif. Dicevo che avevo scelto gli svizzeri morti perché non avevano proprio nessuna ragione storica di morire, e quindi erano universali. Mi facevo un sacco di domande: come si può uccidere il proprio vicino di casa? Si può esser buoni e cattivi allo stesso tempo? Si può abbracciare un bambino la mattina e ucciderlo il pomeriggio? Tutte queste domande mi vengono da ciò che ho sentito durante quel periodo dell’infanzia: ho sentito dire che gente molto gentile poteva denunciare i propri vicini di casa e farli così uccidere. Tutto ciò mi ha molto colpito, ma non ho mai parlato direttamente della Shoah.
Volevo esprimere tutto ciò non attraverso una lente nostalgica: pensavo piuttosto a tutto quel che doveva accadere e che non è accaduto, che è stato interrotto. Trovo molto commovente, in questa tragedia, che queste persone oggi avrebbero circa quaranta, cinquanta, sessant’anni e avrebbero avuto una vita: dei figli, dei guai… Ma tutte queste vite non sono mai esistite. Volevo parlare dell’avvenire, non del passato, ma di un avvenire che per loro non arriverà mai.
Flying Books 2012
Anime. Di luogo in luogo 2017
Crépuscule 2015
… Scatole di biscotti in latta arrugginita, lampade collegate da cavi neri e sottili, riproduzioni fotografiche su lastre di vetro di diverso formato: con questi elementi Christian Boltanski, in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio) aveva eretto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (l’opera era in prestito dal Mart di Rovereto) il suo silenzioso altare alla memoria, ancora una volta «sospeso tra equilibrio monumentale e profondo senso di intimità». “Autel Lycée Chases” (questo il titolo dell’opera) mostra volti che affiorano da un abisso che ne ha smangiato e confuso i tratti, deboli lampade illuminano e insieme cancellano i visi, bocche e occhi inghiottiti dall’oscurità, sguardi sospesi e sgranati in un buio che diviene metafora universale. E i volti sono quelli di giovani ebrei, studenti del Lycée Chases nella Vienna del 1931, prima della salita al potere del nazismo…
Installazione permanente per il Museo della Memoria di Ustica 2007
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 4251
La Biblioteca nazionale Universitaria, membro attivo del Comitato Dante SettecenTO, è lieta di ospitare una mostra unica nel suo genere, grazie all’esperienza del CIFT, Centro Italiano di Filatelia Tematica che ha proposto un progetto per “mettere in filatelia” la Divina Commedia e grazie al sostegno di Poste Italiane.
Presentazione della mostra lunedì 28 giugno alle ore 11.00 all'auditorium Vivaldi. L’inaugurazione della mostra il 28 giugno sarà anche occasione per l'emissione di un Annullo Postale Speciale dedicato a Dante e al suo 700°. Sarà a disposizione il giorno dell'inaugurazione presso l'ufficio postale in mostra dalle 10.30 alle 16.00 e nei giorni seguenti presso l'Ufficio Filatelia di Torino. Poste Italiane presenterà in autunno nelle città dantesche e a Torino, il francobollo realizzato in occasione del 700° anniversario.
La fortuna della Commedia di Dante nella tradizione libraria della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino ha radici antiche: già nei fondi ducali, infatti, la Commedia era presente sia in versione manoscritta sia a stampa.
La Biblioteca del Regio Ateneo torinese, istituita da Vittorio Amedeo II nel 1720 e aperta al pubblico nel 1723, che ereditò la maggior parte del patrimonio librario della biblioteca ducale, incrementò, nel corso del tempo, tale fortuna con acquisizioni di vario genere.
La mostra offrirà l’opportunità di vedere esposti alcuni testi della Commedia, manoscritti e a stampa, a partire da un’edizione del 1487 realizzata a Brescia dal tipografo croato Dobrić Dobričević, noto come Bonino de Bonini.
Il testo del poema dantesco è corredato dal commento di Cristoforo Landino: un commento fondamentale non soltanto per gli studi legati al sommo poeta, ma anche perché esso rappresenta un unicum documentario per le indagini linguistiche dell’epoca umanistico - rinascimentale.
L’edizione, in folio, è impreziosita da xilografie quasi tutte a piena pagina.
Accanto a tale esemplare, saranno esposte altre edizioni, di epoche successive.
La Biblioteca nazionale universitaria di Torino è una delle più importanti biblioteche italiane. La sede, in piazza Carlo Alberto, di fronte a palazzo Carignano, è stata interamente ricostruita tra il 1958 e il 1973. La biblioteca appartiene al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e partecipa al Servizio bibliotecario nazionale (SBN).
Le sue origini risalgono al 1720, quando Vittorio Amedeo II di Savoia creò la Regia Biblioteca Universitaria, frutto dell'unione della raccolta libraria dell'ateneo torinese e del fondo ducale sabaudo.
Tra i secoli XVIII e XIX, nell'ottica di sostegno all'attività scientifica promosso dai Savoia, alla biblioteca confluirono molti lasciti e acquisizioni, tra cui, nel 1824, quello dei manoscritti dello Scriptorium dell'abbazia di San Colombano a Bobbio.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 1848
COMMISSIONE CONTRO L'ODIO.
Pubblicato in Attualità il 22/06/2021 - 12 תמוז 5781
moked/מוקד
Costituire la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza è stato, per la senatrice a vita Liliana Segre, “un dovere personale”.
“L’ho sentito come una conclusione della mia vita, io che l’odio l’ho provato sulla mia pelle e so cosa vuol dire”. Per questo, ha spiegato, “sono commossa che si dia inizio oggi ai lavori della Commissione”.
In queste ore si è tenuta la prima audizione della Commissione con gli interventi di Nunzia Ciardi, direttore della Polizia postale, e del prefetto Vittorio Rizzi, presidente dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad).
Ciardi si è soffermata sull’odio online e sulla sua diffusione, ricordando come tra i bersagli preferiti degli odiatori in rete ci siano donne, ebrei, migranti, musulmani, omosessuali e disabili.
Ha inoltre evidenziato in apertura come a incentivare la violenza online sia la tecnomediazione: “La frapposizione tra noi e uno schermo crea una distanza dalle nostre azioni e dalle loro conseguenze. Abbiamo perso la sensorialità, non riusciamo più a vedere e percepire gli effetti delle nostre azioni con una conseguente sottovalutazione dei loro effetti dannosi”.
“C’è un allentamento consistente dei nostri freni inibitori” ha spiegato il direttore della Polizia postale, prima di fare un quadro dei soggetti da cui possono provenire attacchi d’odio.
Gruppi organizzati e politicizzati, attacchi di persone singole e/o gruppi informali che colpiscono obiettivi personali; autori di cyberbullismo; persone che assumono un atteggiamento provocatorio per creare dissenso, definiti con il termine troll.
A fare invece un quadro delle norme a contrasto del discorso d’odio in Italia e in Europa è stato il prefetto Rizzi. In Italia non esiste una definizione giuridica di crimine d’odio, ha ricordato il presidente dell’Oscad.
Per questo, ha aggiunto, in genere è utilizzata quella elaborata dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti Umani (Odihr) dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) in base alla quale il crimine d’odio è un reato, commesso contro un individuo e/o beni ad esso associati, motivato da un pregiudizio che l’autore nutre nei confronti della vittima, in ragione di una “caratteristica protetta” di quest’ultima.
Il crimine d’odio, quindi, si caratterizza per la presenza di due elementi: un fatto previsto dalla legge penale come reato (cosiddetto reato base) e la motivazione di pregiudizio in ragione della quale l’aggressore sceglie il proprio “bersaglio”.
A riguardo, il prefetto ha ricordato la collaborazione, per quanto riguarda gli attacchi antisemiti con la realtà ebraica italiana.
In riferimento al lavoro specifico di monitoraggio dell’Oscad, Rizzi ha poi evidenziato come ci sia ancora un problema di under-reporting (mancanza di denunce).
Dall’altro lato, ha aggiunto, si è comunque raggiunta una maggiore consapevolezza come dimostra il numero di segnalazioni: 27 nel 2010, 532 dieci anni dopo.
Numeri che sono poi stati oggetto di un ulteriore analisi nel corso del confronto con la Commissione, che tornerà a riunirsi il 24 giugno con le audizioni di Triantafillos Loukarelis, il direttore dell’Unar, e di Betti Guetta, responsabile dell’Osservatorio antisemitismo del Cdec.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 1816
https://www.eticaedizioni.it/joomla/pubblicazioni/6-poesia/65-poesie-venise-poesie-venezia
Che cos’ha di così speciale, Venezia?
Sembra un mare verde, di oltre cinquanta sfumature, dal verde Arlecchino al Lime, fino al Foresta, passando per il verde Caraibi. Peccato che non si possa nuotare, ma è l’unica cosa che non si può fare, e i flutti ondeggiano ai leggeri colpi di vento e allo stesso tempo pare stiano immobili a prendere il sole.
Offre silenzi e un'atmosfera rarefatta, da cui si dipartono strade e piazze, palazzi e chiese.
È la città dai cento orizzonti.
Invita alla lentezza e all’equilibrio.
Nei suoi interni, stanze dalle delicate tonalità pastello, stucchi e bassorilievi, fragili lampadari di Murano e un passato di personaggi celebri che vi hanno soggiornato, con le tante leggende che su di loro aleggiano. Figure indimenticabili che sono il simbolo di epoche successive, a dar voce a desideri e speranze, con quella straordinaria prova di resistenza di cui i veneziani furono capaci, di generazione in generazione.
A Gustav von Aschenbach, in “Morte a Venezia” di Thomas Mann, piace pensare che il male che sta vivendo Venezia sia un po' simile alla sua intima sofferenza amorosa, rigorosamente celata, per il giovane Tadzio, con la sua bellezza inesprimibile che poteva solo essere evocata.
Questa è Venezia, bella, lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, che per Thomas Mann rappresenta la cultura e la bellezza come slancio vitale e, insieme, come declino della vita: un ambiguo e stupendo fondale di eventi.
La città stessa ben si presta a rappresentare l’ambiguo connubio tra Amore e Morte: seducente erede di un passato glorioso e culla di artisti, Venezia è ormai l’oscuro fantasma degli sfarzi di un tempo.
Con le strette calli, i portici e le acque ristagnanti e la sua strana e inquietante bellezza, e l’impressione di grazia ed eleganza, crea una vera e propria ossessione, una sorta di delirio amoroso che si trasforma in Pierre Sartori in un punto di riferimento etico ed estetico – con la tensione spirituale dell’arte e dell’amore a rompere gli schemi con la poesia.
Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni e la felicità del poeta è il pensiero che può divenire totalmente sentimento, e il sentimento che può divenire pensiero e il poeta cammina insieme a Venezia, la mano nella mano, anche nel regno delle ombre…
Immagini e impressioni si approfondiscono nel silenzio, acquistano peso, si trasformano in episodio, in avventura, in fatto sentimentale. E anche una certa forma di solitudine matura l'originalità e la bellezza audace e inquietante della poesia di Pierre Sartori.
Camminare senza meta, avendo in mente al massimo una direzione verso cui tendere. Perdersi tra calli, salizzade e campielli, trovarsi all’improvviso di fronte ad angoli pittoreschi e inaspettati, percorrere un sottoportego senza incontrare nessuno, tra una corte e un ponte, un pozzo e un portone, aumenta un’impressione di perfetta casualità che cela una calcolata armonia e perfezione.
“Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Meraveige; un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie…”.
Con queste parole si chiude “Favola di Venezia, Sirat Al Bunduqiyyah”, storia tra le più famose raccontate da Hugo Pratt, in cui Corto Maltese, cadendo dal tetto di un palazzo in campo S.M. Domini, inizia a vagare e perdersi tra le calli della Serenissima rincorso da gendarmi, massoni e poeti.
Perché Venezia è un luogo magico, pieno di tesori nascosti – tra logge massoniche, leoni greci, simboli esoterici e misteri biblici – nella mitica città dei dogi, dove sottile è il confine tra sogno e realtà…
È un misto impronunciabile di noia, sorpresa e sbigottimento per la continua meraviglia in cui ci si imbatte, unito a un senso di malinconia…
È un mistero irrisolvibile, un dedalo di calli chiuse in una serie di labirinti che possono portare a vicoli ciechi come alla visione di inaspettate meraviglie ed è questo ciò che narra Pierre Sartori nelle sue poesie.
Hugo Pratt raccontò: “Avevo quattro o cinque anni, quando mia nonna si faceva accompagnare da me al Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo a visitare una sua amica, la signora Bora Levi, che abitava in una casa molto antica. A questa casa si accedeva salendo una vecchia scala di legno esterna chiamata ‘scala matta’ oppure ‘scala delle pantegane’, o ancora ‘scala turca’… Andavo alla finestra della cucina e guardavo giù in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quali aveva inciso il nome di uno shed, ossia di un demonio, e ogni porta si apriva con una parola magica”.
Alla fine Corto Maltese e, con lui, il suo creatore Hugo Pratt, si ritroverà a chiedersi se l’oggetto della sua ricerca non apra le porte nascoste della magia, svelando la vera natura del tempo e dello spazio in questa città di segreti, oppure non sia altro che “… la materia stessa di cui sono fatti i sogni”, nei desideri di ognuno di noi, tutti in partenza verso isole del tesoro, in un mondo un po’ più libero da schemi e confini, un luogo in cui valga davvero la pena di vivere e, se possibile, realizzare ognuno i propri sogni.
Pagina 25 di 55