Christian Boltanski, Parigi, 6 settembre 1944 - 14 luglio 2021: un’anima immortale, che trasformò la Memoria in Arte. Pittore, fotografo, scultore e filmaker raccontò ansie, emozioni e ricordi, trasformandoli in “specchi per chi guarda”. Nacque a Parigi, pochi giorni dopo la Liberazione. Il periodo dell’occupazione nazista divenne centrale per la sua formazione e, più tardi, per la sua arte, nonostante non l’avesse vissuto direttamente: il padre, medico ebreo, per sfuggire alla deportazione fu nascosto dalla madre, la scrittrice cattolica Marie-Elise Ilari-Guérin, in una botola sotto il pavimento di casa, dopo che lei stessa aveva chiesto il divorzio per simulare una separazione.
Memoria, sentimento, storia, ma anche speranza: sono queste le parole che hanno segnato Christian Boltanski, uno dei maggiori artisti francesi contemporanei, sicuramente uno dei più celebri. Padre di origine ucraina e madre corsa, fratello del sociologo Luc Boltanski, sposato con Annette Messager, artista anche lei con la quale saltuariamente collaborava, Boltansky dopo aver sperimentato, da autodidatta, la pittura, con il cortometraggio La vie impossible (1968) iniziò un percorso di ricerca che aveva come motivo centrale la memoria, personale e collettiva. Combinando frammenti di realtà e immaginazione, attraverso l’uso e l’accumulo di materiali e oggetti diversi e, soprattutto, di fotografie, elaborò assemblages e installazioni. La questione della memoria, del tempo e della testimonianza attraverso le immagini e gli oggetti furono centrali per la formazione di Boltanski e per la sua arte. Cominciò a dipingere da adolescente, poi abbandonò la pittura e si dedicò soprattutto alle grandi installazioni che lo resero famoso.
La domanda che mi faccio nel mio lavoro è legata al fatto che credo all’importanza di ogni essere umano perché ogni essere è unico, ed è molto importante. Ma allo stesso tempo siamo anche fragili: veniamo dimenticati subito. Ci ricordiamo del nostro nonno ma non del nostro bisnonno. C’è quindi una specie di contraddizione: ognuno è importante e unico, ma allo stesso tempo scompare in modo velocissimo. Quel che ci costituisce è prezioso perché siamo qualcuno, ma tutto questo sarà presto dimenticato. Tutta la mia vita, tutto il mio lavoro sono un fallimento perché sono stati una lotta contro la dimenticanza; ho cercato di salvare dall’oblio, ma questo non è possibile. All’inizio della mia vita volevo provare a conservare la piccola memoria. C’è la grande memoria e la piccola memoria: la piccola memoria è la conoscenza che ognuno ha della propria vita… è una storia, un sentimento. Ho provato a conservarla per ogni persona ma non è possibile: ho conservato i battiti del mio cuore, ho raccolto i battiti del cuore di migliaia di persone e li conservo in un’isola del Giappone. Ma non serve a niente: tutto questo non basta a far sopravvivere la persona.
Si può comunicare solo quello che si conosce. Parlo di cose che sono davvero universali, quindi tocco molta gente. Però ognuno le ritraduce col proprio vissuto; l’opera d’arte è una specie di stimolo che ognuno completerà. Ognuno completa l’opera d’arte con la propria vita, i propri ricordi.
E, tuttavia, ognuno si ricorda solo del proprio male.
Per fortuna le opere non hanno un solo significato, ma offrono un significato diverso per ognuno. Ognuno ci vede ciò che ha voglia di vedere. Ognuno può leggerle come vuole, in modo diverso, in relazione alla propria esperienza. Un bambino troverà una mia opera gioiosa perché non sa niente della Shoah, quindi vede qualcosa di gioioso; ma un adulto non la troverà tale.
Non ho mai lavorato direttamente sulla Shoah, ma sono nato nel 1944, e molto presto, da molto giovane, ho sentito i racconti dei sopravvissuti, degli amici dei miei genitori che erano sopravvissuti, che sono ritornati, che hanno raccontato davanti a me. Che avevo tre, quattro anni… Ciò che hanno raccontato mi ha segnato profondamente, e per sempre. Tuttavia, non ho mai voluto parlare direttamente della Shoah. Ho fatto molte opere a proposito degli svizzeri morti, mai a proposito degli ebrei morti: ma in francese suonano in modo simile, suisse / juif. Dicevo che avevo scelto gli svizzeri morti perché non avevano proprio nessuna ragione storica di morire, e quindi erano universali. Mi facevo un sacco di domande: come si può uccidere il proprio vicino di casa? Si può esser buoni e cattivi allo stesso tempo? Si può abbracciare un bambino la mattina e ucciderlo il pomeriggio? Tutte queste domande mi vengono da ciò che ho sentito durante quel periodo dell’infanzia: ho sentito dire che gente molto gentile poteva denunciare i propri vicini di casa e farli così uccidere. Tutto ciò mi ha molto colpito, ma non ho mai parlato direttamente della Shoah.
Volevo esprimere tutto ciò non attraverso una lente nostalgica: pensavo piuttosto a tutto quel che doveva accadere e che non è accaduto, che è stato interrotto. Trovo molto commovente, in questa tragedia, che queste persone oggi avrebbero circa quaranta, cinquanta, sessant’anni e avrebbero avuto una vita: dei figli, dei guai… Ma tutte queste vite non sono mai esistite. Volevo parlare dell’avvenire, non del passato, ma di un avvenire che per loro non arriverà mai.
Flying Books 2012
Anime. Di luogo in luogo 2017
Crépuscule 2015
… Scatole di biscotti in latta arrugginita, lampade collegate da cavi neri e sottili, riproduzioni fotografiche su lastre di vetro di diverso formato: con questi elementi Christian Boltanski, in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio) aveva eretto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (l’opera era in prestito dal Mart di Rovereto) il suo silenzioso altare alla memoria, ancora una volta «sospeso tra equilibrio monumentale e profondo senso di intimità». “Autel Lycée Chases” (questo il titolo dell’opera) mostra volti che affiorano da un abisso che ne ha smangiato e confuso i tratti, deboli lampade illuminano e insieme cancellano i visi, bocche e occhi inghiottiti dall’oscurità, sguardi sospesi e sgranati in un buio che diviene metafora universale. E i volti sono quelli di giovani ebrei, studenti del Lycée Chases nella Vienna del 1931, prima della salita al potere del nazismo…
Installazione permanente per il Museo della Memoria di Ustica 2007