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I rabbini europei choccati dalle parole di Papa Francesco sul genocidio: «Aumenterà l'antisemitismo»
Martedì 19 Novembre 2024, IL MESSAGGERO, di Franca Giansoldati
La Bibbia insegna (anche al Papa) «che le persone prudenti tengano a freno la propria lingua». Il crescente antisemitismo violento «conferma tristemente che ogni parola emessa da un importante leader ha conseguenze immense». Le parole di Papa Francesco sulla guerra a Gaza da lui ravvisata come un possibile «genocidio» al punto da aver chiesto alla comunità internazionale di indagare in tal senso, stanno scavando solchi profondissimi e inediti con il mondo religioso ebraico. Una crisi del genere non si ricordava da tempo. La Conferenza dei rabbini europei (CER) ha risposto al pontefice con parole durissime ricordando che è Hamas che «sta violando ogni norma del diritto internazionale» usando i civili come scudi umani, tenendo prigionieri ostaggi israeliani da oltre un anno e dopo aver massacrato, nel modo più bestiale, 1200 persone nel pogrom del 7 ottobre.
«Siamo profondamente turbati dall'affermazione di Papa Francesco secondo cui le azioni delle forze di difesa israeliane a Gaza dovrebbero essere attentamente studiate per determinare se si adattano alla definizione tecnica di genocidio come formulata da giuristi e organismi internazionali».
I rabbini sottolineano in un articolato comunicato che «Israele sta combattendo una guerra difensiva contro un nemico barbaro, una guerra certamente non provocata e posta al di fuori di qualsiasi codice di legge o guerra occidentale. Sta anche combattendo per il ritorno di 101 ostaggi che sono ancora detenuti da Hamas nelle condizioni più disumane. Nonostante la sfida difficilissima di combattere un esercito di terroristi che opera intenzionalmente all'interno dei centri abitati civili, non si può affatto dire che Israele sta portando avanti un genocidio. Il sostegno del Papa a questa pericolosa proposta conferisce credibilità alla narrativa insidiosa propagata dall'Iran e dai suoi delegati attraverso le organizzazioni internazionali» si legge nel documento.
I rabbini rammentano, inoltre, che quando la civiltà occidentale è sotto attacco da parte delle dittature, la leadership del Papa dovrebbe essere «chiamata a difendere la libertà e la democrazia». Quanto all'azione militare dell'esercito israeliano viene anche ribadito che mentre i militari dell'Idf sono impegnati alla difesa del diritto umanitario, «Hamas sta violando ogni norma di quella legge».
I rabbini sono concordi nel ritenere che «Il termine genocidio è ora lanciato come un dispositivo di propaganda surrettizio, spostando la responsabilità dal colpevole alla vittima, dalle organizzazioni terroristiche allo Stato di Israele. L'omicidio di massa da parte di Hamas, come intensamente espresso nel loro Patto del Movimento di Resistenza Islamica già dal 1988, dimostra che a differenza di Israele, gli aggressori intendono assolutamente, così come hanno tentato e continuano a tentare, il genocidio» degli ebrei.
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L’accusa di Ruth Dureghello: «Papa Francesco alimenta l’antisemitismo».
L'ex presidente della Comunità ebraica romana: mi chiedo come mai tanta debolezza verso i regimi autocratici.
Novembre 2024 - Alba Romano - OPEN
Ruth Dureghello ha guidato la Comunità ebraica di Roma dal 2015 al 2023. Ha incontrato spesso Papa Francesco. Ed è rimasta colpita dal libro sul Giubileo in cui Bergoglio chiede di determinare se a Gaza sia in corso un genocidio. Anzi, «delusa. Il Papa conosce l’effetto delle sue parole, soprattutto se messe per iscritto. La diplomazia vaticana è famosa per la sua cautela, quindi siamo di fronte a una scelta meditata e a una strategia chiara. Mi chiedo come mai tanta debolezza verso i regimi autocratici come Russia, Cina e Iran e così tanta determinazione verso uno Stato più piccolo della Lombardia che è sotto costante attacco dei vicini. L’unico nell’area dove i cristiani hanno eguali diritti e dignità».
Dureghello, che parla in un’intervista a La Stampa, aggiunge che le parole del Pontefice «sono insidiose, perché legittimano una propaganda anti-israeliana basata su una campagna d’odio che ha effetti reali sull’aumento dell’antisemitismo». Mentre l’ambasciata di Israele che parla di genocidio è legittimata: «È la campagna filo-Hamas sul genocidio che ha lo scopo di delegittimare la memoria della Shoah paragonandola a una guerra, che per quanto atroce, come tutte le guerre, è ben lontana dal poter essere definita genocidio secondo le norme internazionali. L’intento di eliminare un popolo, al contrario, è di chi ha messo in campo l’attacco del 7 ottobre, che ricordo non era un semplice attentato, ma una dichiarazione di guerra cui il giorno successivo si sono aggiunti Hezbollah e Houti con la regia del regime iraniano».
E nel colloquio con Luca Monticelli Dureghello rigetta anche la tesi di Edith Bruck, secondo la quale il Papa non si è reso conto della gravità dell’affermazione: «Io penso che per formazione e caratura il Papa sappia bene il significato delle parole anche perché non è la prima volta che le pronuncia. Quando incontrò i famigliari degli ostaggi, organizzò subito dopo un incontro con i parenti dei detenuti palestinesi e nell’incontro privato emerse che utilizzò la parola genocidio, salvo poi arrivare il saggio tentativo del segretario di Stato Parolin di mediare. Ma come si fa a paragonare civili rapiti, donne stuprate e bambini sgozzati con chi ha commesso crimini e viene arrestato?». Mentre è vero che il Papa ha condannato l’antisemitismo, ma non quello di oggi «che mette in pericolo il futuro degli ebrei di domani».
Infine, secondo l’ex presidente della Comunità ebraica romana «il dialogo interreligioso è prerogativa dei rabbini e spetta a loro valutare come procedere. Mi permetto di dire che per dialogare bisogna essere in due e in buona salute. Se l’Iran, Hamas e Hezbollah provano a distruggere Israele e in Europa gli ebrei subiscono pogrom come quelli di Amsterdam il rischio che corriamo è che non ci sia nessuno con cui dialogare un giorno».
Mentre che le dichiarazioni dell’erede di Pietro siano strumentalizzate «è un fatto. Un certo mondo arabo ha subito colto la palla al balzo e utilizzato le parole del Papa per fare campagna antisemita. A questo aggiungiamo il fatto che il Pontefice è il punto di riferimento per milioni di persone e le sue parole permeano nel tessuto sociale, nelle case delle persone, tra i giovani, tra i fedeli, senza sottovalutare che il Papa quando parla lo fa anche rivolgendosi agli altri capi di Stato, considerata la sua funzione».
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Genocidio c'è stato, ma è fallito: era la scelta di Hamas quando ha attaccato il 7 ottobre, uccidere tutti gli ebrei
Il Papa, mentre tutto il mondo fronteggia la crescita violenta di un antisemitismo senza precedenti dalla seconda guerra mondiale, col suo nuovo libro La speranza non delude mai, Edizioni Piemme, fornisce legna per questo fuoco. Una linea è subito diventata titolo di testa in tutte le lingue: suggerisce che debba essere indagato un presunto, possibile, fors'anche opinabile genocidio compiuto da Israele sui palestinesi a Gaza. Il sottinteso è l'intenzione genocida, ed essa altro non può essere che criminale, e quindi la guerra di Gaza, in realtà una indesiderata guerra di necessità dopo un attacco spaventoso, sia compiuta con un'intenzione maligna, eventualmente anche meditata. Forse il Papa è stato mal consigliato da chi immagina che il mondo cui egli parla sia intriso di pietismo populista, folle che ormai marciano sulle città del mondo con violenza, in nome di un fronte in cui la democrazia e la libertà non hanno cittadinanza. Io non vedo così il mondo cristiano della gente normale, amica degli ebrei nel mondo democratico, che capisce invece che il termine «genocidio» porta sugli ebrei di tutto il mondo oggi un'ulteriore ondata di antisemitismo, disegna i cartelli su cui la Stella di David viene sostituita con la svastica mentre intorno folle inconsulte urlano «Free Palestine», si assomma alla sovrapposizione di ritratti di Hitler con quelli di Netanyahu mentre Erdogan urla ai media che sono uguali, è il titolo di al Jazeera o del Manifesto o persino del Guardian, tutti i giorni.
Tornare a quell'accusa incrementa la moda imbrogliona di aggredire Israele e gli ebrei per compiacere il terzomondismo dell'Onu, soddisfare l'Iran, Putin, i cinesi... di certo i social e i talk show impazziscono di gioia. E questa esortazione del Papa ha una ragione concreta d'essere? Nessuna. Non solo i numeri dei morti a Gaza non sono certificati, dato che la fonte, inverificabile, è sempre solo rimasta quella del ministero della Salute di Gaza: l'Onu, che pure ci ha balbettato sopra parecchio, ci ha dato un quarto dei 40mila morti che in genere vengono menzionati: accertati sarebbero 8.200. Invece l'unica cifra realistica, quella degli armati uccisi fornita da Israele, intorno ai 20mila, ci dice che la proporzione di civili uccisi, sarebbe uno a uno, la più bassa della storia. Israele, come nessun altro Paese ha fornito aiuti militari e sanitari a tonnellate, ha cercato di non colpire la popolazione civile con accorgimenti di ogni tipo, mentre le condizioni di guerra rispecchiavano le parole di Sinwar: il sangue dei loro civili (mai rifugiati nelle gallerie usate, come gli ospedali e le scuole, solo per la guerra) è servito come scudo e per suscitare solidarietà ai combattenti di Hamas.
Genocidio c'è stato, ma è fallito: era la scelta di Hamas quando ha attaccato il 7 ottobre, uccidere tutti gli ebrei. Il termine è stato coniato nel 1944 da Raphael Lemkin per descrivere le atrocità della Shoah e adottato nella legge internazionale del 1948 per criminalizzare «atti commessi con l'intento di distruggere un gruppo etnico raziale o religioso» e mai è stato usato per stigmatizzare Fatah e Hamas che promettono «la costruzione di una stato islamico e palestinese al posto di Israele». Al contrario, è difficile immaginare che Israele abbia mai avuto intenzioni simili avendo accettato la partizione territoriale sin dal 1948 e via via da Camp David (1978) al 1995 (Oslo). Altra cosa, e sarebbe frivolo il pensarlo, è sanzionare che Israele combatta per la sua sopravvivenza contro il terrorismo. E comunque la presenza araba in Israele è cresciuta del 1.182 per cento, mentre la presenza ebraica nei Paesi arabi è calata del 98,87 per cento. Là, sì, c'è stata la pulizia etnica. A Gaza la popolazione dal 1948 poi è cresciuta verticalmente, e solo dall'inizio della guerra è cresciuta di 130mila unità circa.
Il professor Robert Wistrich, il maggiore storico dell'antisemitismo, l'ha spiegato a fondo: l'«Holocaust inversion», il rovesciamento che fa degli ebrei i nuovi nazisti e dei palestinesi i nuovi ebrei, è la strada maestra nata con l'Urss e che dura fino a oggi. Sarebbe tragico che la Chiesa imboccasse questa strada. Il consiglio di una giornalista ebrea qualunque: quella riga sarebbe meglio rivederla.
Il Giornale, 18 novembre 2024
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BREVE STORIA DEL GHETTO DI VENEZIA
Per centinaia di anni, gli ebrei furono confinati in un piccolo quartiere della città, dando origine al termine “ghetto”.
Di Harry Freedman
Traduzione dall’inglese a cura di Barbara de Munari
Venezia non fu la prima città a confinare i suoi Ebrei in un unico quartiere, ma fu la prima a rinchiuderli di notte. Dal 1516 al 1797 gli ebrei di Venezia furono costretti a vivere in una baraccopoli umida, sovraffollata, squallida e traballante. Eppure, nonostante la povertà, le difficoltà e la disperazione che caratterizzavano la vita nel Ghetto di Venezia, la città prigione divenne il cuore globale della cultura ebraica nel corso dei secoli XVI e XVII; il centro ebraico più vivace d’Europa.
I primi prestatori di denaro Ebrei a poter operare sul territorio veneziano arrivarono nel 1298. I Veneziani concessero loro una licenza per prestare denaro, addebitarono loro una commissione per il privilegio, determinarono il tasso di interesse che potevano applicare e li limitarono a risiedere in Mestre, nella terraferma veneziana. Permettevano loro di entrare nella città di Venezia per non più di 15 giorni consecutivi. Tuttavia potevano entrare in città in qualsiasi momento se la loro vita fosse stata in pericolo a causa di un'invasione nemica.
Nel 1509 la Repubblica di Venezia fu invasa dagli eserciti della Lega di Cambrai. Gli Ebrei di Mestre, in pericolo di vita, fuggirono attraverso la laguna ed entrarono nella città di Venezia.
Ora che erano in città, il Senato veneziano decise che era più conveniente permettere agli Ebrei di restare. Le agenzie di pegno ebraiche detenevano dozzine di pegni depositati dai loro clienti in cambio di prestiti; era molto più logico che restassero in città con i loro depositi piuttosto che farli tornare a Mestre dove correvano il rischio di essere saccheggiati in caso d’invasione di un altro esercito. Inoltre era più conveniente per i poveri della città poter prendere in prestito denaro sul posto, piuttosto che sopportare le spese e il fastidio di viaggiare fino a Mestre. Il Senato addebitò alla Comunità ebraica 14 000 ducati per il privilegio di poter soggiornare. Nel 1511 imposero agli Ebrei una tassa di 5 000 ducati in cambio del diritto di residenza in città.
Da quel momento in poi la vita ebraica a Venezia fu regolata da statuti e tasse. Le licenze davano agli Ebrei il diritto di vivere e prestare denaro in città, le tasse che pagavano portavano fondi nel tesoro della Repubblica. Le licenze erano rinnovate frequentemente e il livello di tassazione doveva essere rinegoziato ogni volta, così come il tasso di interesse che gli Ebrei potevano addebitare sui loro prestiti. Poiché non vi era mai la garanzia che una licenza in scadenza sarebbe stata rinnovata, la vita ebraica a Venezia fu sempre insicura.
La Chiesa non era contenta della presenza di tanti Ebrei in città. I predicatori iniziarono a chiedere la loro espulsione. Non volendo rinunciare alla comodità di avere i propri prestatori di denaro a portata di mano, il Senato decise, nel 1516, di limitarli a una piccola area della città. Accantonarono una vecchia fonderia di rame, ai margini della città, nella quale tutti gli Ebrei furono obbligati a vivere. Circondata da canali, li avrebbe tenuti confinati e avrebbe potuto essere ulteriormente sigillata con un ponte levatoio e cancelli. La zona divenne nota come ghetto, corruzione della parola veneziana geto, che significa fonderia. Il nome ghetto fu adottato da altre città quando anch'esse confinarono la popolazione ebraica in aree ristrette. Il mondo deve la parola ghetto a Venezia.
Il ghetto era costituito da quattro file di case, costruite in un quadrato attorno ad un ampio spazio chiuso o campo. Durante il giorno gli Ebrei erano liberi di lasciare il ghetto mentre i Cristiani potevano entrarvi, ma di notte i cancelli venivano chiusi. Gli Ebrei erano responsabili del pagamento degli stipendi delle quattro guardie cristiane alle porte. Le uniche persone autorizzate a lasciare il ghetto una volta chiusi i cancelli erano i medici ebrei. Come tutti gli altri, i medici erano immediatamente riconoscibili come Ebrei, poiché erano obbligati a indossare caratteristici copricapo gialli: cappelli per gli uomini, quadrati di stoffa o cuffie per le donne. Con il tempo, le case divennero troppo poche per ospitare comodamente tutti. Sebbene gli ebrei di Venezia all'epoca fossero solo poche centinaia, la densità di popolazione del ghetto era almeno doppia rispetto a quella del resto della città. Quasi subito dopo essersi trasferite, le famiglie iniziarono a suddividere i loro minuscoli appartamenti per garantirsi la massima privacy possibile. Utilizzarono tramezzi in legno per ridurre al minimo il carico sul sottosuolo acquoso. Con il tempo, non potendo estendere le loro proprietà verso l'esterno a causa della mancanza di spazio, costruirono verso l'alto, creando strutture torreggianti, imponenti e vacillanti, alte sette o otto piani.
Il sovraffollamento era tale che i piccoli appartamenti potevano ospitare dieci o più persone e molte abitazioni non avevano latrine né caminetti. Il campo stesso non era asfaltato; c'erano fango, terra ed escrementi ovunque, il fetore veniva descritto come insopportabile.
Il ghetto era un luogo di lavoro e una città prigione. Banchi di pegno e negozi di seconda mano occupavano i piani inferiori delle case, con la porta di entrata aperta sulla piazza. Vi erano strette macellerie, un fornaio e un'osteria, nonché spazi per la preghiera, nonostante il decreto del Senato secondo cui non dovevano essere costruite sinagoghe nel ghetto (la cosa poi cambiò).
Gli Ebrei organizzarono come meglio potevano la loro vita nel ghetto. Quando il tempo era bello, il campo fungeva da centro comunitario; era l'unico posto dove lo spazio era gratis. Gli insegnanti tenevano lezioni, i giudici della Corte ebraica giudicavano le controversie, i barbieri tagliavano i capelli, i venditori ambulanti vendevano le loro merci, un artista di strada suonava sperando di guadagnare abbastanza per un pasto, i mendicanti erano onnipresenti. Nonostante le restrizioni sui lavori ufficialmente autorizzati a svolgere, i venditori del campo fornivano la maggior parte delle necessità di cui una famiglia poteva aver bisogno per la vita quotidiana. C'erano bancarelle di frutta e verdura, commercianti di vino, formaggio e pasta, un sarto, un cappellaio, perfino una libreria.
Il ghetto fu ampliato due volte per accogliere immigrati e mercanti la cui presenza, secondo il Senato, avrebbe aiutato la prosperità della città. La prima nuova area, inaugurata nel 1541, detta ghetto vecchio, fu costruita su un'area vuota compresa tra due canali, e collegata da un ponte al ghetto esistente. La seconda zona, aggiunta nel 1633, fu il ghetto nuovissimo. Apparentemente costruito per ridurre il sovraffollamento nel ghetto, il suo vero scopo era di consentire l'ingresso di più Ebrei e quindi aumentare le entrate fiscali.
Nonostante lo squallore e il sovraffollamento, il ghetto di Venezia fu un luogo straordinario. La presenza di così tanti Ebrei che vivevano fianco a fianco incoraggiava un'atmosfera di erudizione e creatività. Sebbene segregati, Ebrei e Cristiani a Venezia convivessero molto meglio che nella maggior parte degli altri luoghi d’Europa.
Venezia era il centro preminente della stampa di libri ebraici; David Bomberg, un Cristiano, stampò la prima edizione completa del Talmud e la prima Bibbia rabbinica. Fu assistito e guidato da studiosi del ghetto.
Sara Copia Sulam, la principale poetessa italiana del XVI secolo, teneva un salone letterario nel ghetto, al quale partecipavano Cristiani da tutta la città. Anche nobili e chierici cristiani venivano ad ascoltare i sermoni del noto rabbino Leon Modena. Elia Levita, David de Pomis e Simone Luzzatto sono solo alcuni degli altri studiosi e filosofi che vissero e lavorarono nel ghetto. E quando Enrico VIII d'Inghilterra stava cercando di divorziare dalla sua prima moglie, Caterina d'Aragona, inviò un inviato a Elijah Halfon per chiedere una sentenza talmudica. Tra i visitatori del ghetto ci furono il profeta di Shabbetai Zevi, Nathan di Gaza, l'avventuriero David Reuveni e il falso messia, Solomon Molcho.
Le porte del ghetto di Venezia furono definitivamente abbattute quando Napoleone conquistò la città nel 1797. Ma la zona continua ancora a funzionare come centro della vita ebraica, poiché è dove si trovano le sinagoghe.
Quando i nazisti entrarono a Venezia nel 1943 ordinarono al Presidente della Comunità ebraica Giuseppe Jona di consegnare i nomi di tutti gli Ebrei della città. Gli furono dati due giorni per farlo. Egli trascorse questo tempo distruggendo ogni singolo documento che riuscì a trovare, relativo alla Comunità ebraica. Avvertì tutti gli Ebrei di scappare se potevano, altrimenti disse loro che avrebbero dovuto nascondersi. Quando ebbe fatto tutto ciò che riteneva di dover fare, scrisse il suo testamento e si tolse la vita. I Tedeschi non ebbero mai la lista dei nomi. Due giorni dopo, quando i nazisti fecero irruzione nel ghetto, trovarono poco più di 100 persone. Giuseppe Jona si era tolto la vita per salvarne più di 1 000.
Harry Freedman è autore di sette libri, tra cui Shylock’s Venice: The Remarkable History of the Venice Ghetto (Bloomsbury Continuum), 2024.
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Edith Bruck: «Francesco si sta sbagliando. A Gaza è una tragedia, ma è solo Hamas che vuole distruggere un popolo»
Edith Bruck ha quel tipo di grazia che soltanto il dolore vero può regalare, lei che nei suoi libri i campi di concentramento li ha raccontati in prima persona. È sopravvissuta allo stermino nei forni ed è nella geografia delle sue rughe che si può ripercorrere l’orrore della sua storia. Sorride e tossisce: «Ho poca voce». La userà tutta per rispondere alle nostre domande.
Ha sentito le parole del Papa? Ha chiesto di fare indagini per capire se a Gaza è in atto un genocidio.
«Non approvo».
Cosa non approva?
«La frase del Papa. Non l’approvo. Il genocidio è un’altra cosa».
Non ritiene sia un genocidio quello che Israele sta perpetrando ai palestinesi nella striscia di Gaza?
«Il genocidio è altro, ripeto. Quando vengono bruciati milioni di bambini si può parlare di genocidio».
E quello che sta succedendo nella striscia di Gaza che cos’è secondo lei?
«Una tragedia. Una tragedia che ci riguarda tutti. Ma non si sta distruggendo tutto il popolo palestinese. Questa è una cosa che vuole fare Hamas».
Hamas vuole fare un genocidio?
«Ha detto che vuole distruggere gli ebrei di tutto il mondo».
Ma allora secondo lei perché il Papa ha usato la parola genocidio?
«Perché non sente il peso della frase che pronuncia. E per questo la pronuncia con troppa facilità».
Cosa intende?
«Non ha il controllo di quello che dice: non è italiano, per questo penso che forse la frase gli è scappata. È già successo».
È già successo?
«Sì, che al Papa sfuggisse una frase. Ricordiamoci quando ha detto “frociaggine”. Certo nella Chiesa quella è una realtà, ma sicuramente Francesco non voleva usare quel termine. Però non vorrei essere fraintesa».
Fraintesa?
«Io sono molto legata al Papa, non voglio avercela con lui. È anche venuto a trovarmi a casa».
Sì, è venuto da lei più di tre anni fa.
«Ma questo non basta».
Cosa non basta?
«È venuto a casa mia a chiedere perdono per tutto quello che era successo agli ebrei. Però non basta».
Cos’altro dovrebbe fare Papa Francesco?
«Deve occuparsi un po’ di più di antisemitismo».
E non occuparsi invece dei palestinesi?
«Sì ovviamente, la guerra è un orrore indicibile, ogni vita vale l’altra. Dobbiamo batterci per la pace».
Quindi?
«Quindi non bisogna uccidere né i palestinesi né gli israeliani. Però è un rischio se il Papa usa la parola genocidio con troppa facilità».
Qual è il rischio che si corre, secondo lei?
«Di sminuire la gravità dei veri genocidi, usando la parola quando non è appropriata. I genocidi sono altri».
Quali?
«Genocidio è stato quello degli armeni. Genocidio sono stati il milione di bambini bruciati nei forni di Auschwitz, insieme agli altri cinque milioni di ebrei, bruciati sempre nei campi di concentramento».
La situazione in Medio Oriente è una polveriera che è già esplosa, ma che potrebbe incendiare tutto intorno, da un momento all’altro.
«La situazione è molto grave, gravissima per tutti. Vanno avanti a fare la guerra e non si riesce a trovare una soluzione».
La soluzione è trovare una pace che sia duratura. Nelle nostre piazze i ragazzi fanno molte manifestazioni per la pace.
«Vedo tante manifestazioni soltanto per la Palestina. Sono tante e disorganizzate».
Perché dice così?
«I ragazzi che partecipano alle manifestazioni non sanno nemmeno quello che stanno facendo».
Ma sono ragazzi che davvero manifestano perché vogliono la pace.
«Allora perché vanno in piazza sventolando soltanto la bandiera palestinese? A Bologna hanno fatto così».
Intende all’ultima manifestazione?
«A quella di Bologna come a tutte le altre manifestazioni. Se davvero vuoi la pace devi portare in piazza tutte e due, la bandiera della Palestina e quella di Israele».
Corriere della Sera, 18 novembre 2024
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DA ISRAELE – ULTIMA ORA, a cura di Joseph Kalowski, 05 giugno 2024
3 000 poliziotti, mischiati ai manifestanti, a Gerusalemme per Yom Yerushalaim sono sfilati, più o meno visibili, durante la manifestazione delle bandiere.
Scontri, ieri, tra ebrei e arabi, sono stati sedati dalla polizia.
Ricordiamo che il 68 per cento della popolazione di Gerusalemme è forza lavoro.
Il 32 per cento non lavora.
Il 46 per cento è haredim.
Il 37 per cento è costituito da religiosi tradizionali.
Il 17 per cento da laici....
Netanyahu in visita al nord:
"Siamo pronti per un'azione forte contro Hezbollah".
Approvato l'aumento dei riservisti a 350.000 fino a fine Agosto
Si sale da da 300 a 350mila (+ 50mila).
Hurfeish, villaggio druso tra Meron e Maalot, colpito da un drone di Hezbollah che ha provocato 11 feriti di cui 2 gravissimi. Per ora dichiarato morto 1 soldato ferito dal drone, Rafael Kauders, che era un riservista di 39 anni.
Appello alla comunità internazionale del presidente Herzog sull'aggressione che Israele sta subendo dal Libano: il mondo deve svegliarsi e Israele il diritto di difendere i propri cittadini.
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