Intervista dall'Europa #117 18 luglio 2022
INTERVISTA ESCLUSIVA A PAOLO LEVI
Corrispondente a Parigi per l'agenzia di stampa italiana ANSA
Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari
A RIVEDER LE STELLE
Sei cresciuto a Roma e vivi a Parigi da diversi anni, sei italiano e decisamente europeista. Come conciliare queste diverse identità?
Le mie tre identità, romana, perché nel mio paese sei prima legato alla tua città, ma anche italiana ed europea, sono assolutamente complementari. Queste sono le stesse radici, la stessa cultura che trovo ovunque. A Parigi tutto mi parla di Roma e a Roma tutto mi parla di Atene; quando vedo la Chiesa della Madeleine penso al Partenone e ai templi che furono poi eretti in Italia. Esistono, certo, differenze tra noi, ma queste differenze sono la nostra ricchezza, poggiano su una base di valori comuni. È lo stesso movimento di civiltà che iniziò con Platone e che è giunto fino a noi, non si possono cantare le lodi di Rabelais senza conoscere Dante, non si possono cantare le lodi di Kant senza conoscere Platone. Ho avuto la possibilità di viaggiare molto in Europa e ho potuto constatare che ciò che ci univa era molto più importante di ciò che ci divideva. Sta a noi trasmettere il messaggio di Simone Veil che, dopo aver vissuto l'orrore dei campi, ha scelto la riconciliazione franco-tedesca e la speranza europea. Con la guerra di Putin, l'ideale dell'Unione Europea - "mai più guerra" - è in pericolo. Non possiamo rimanere indifferenti: spetta a tutti difendere i valori che ci costituiscono. Le 12 stelle dell'Unione Europea devono indicarci la strada.
Cosa metti in questa base di valori comuni?
La Libertà, l’Uguaglianza, la Fraternità, i valori dell'Illuminismo che si sono irradiati ben oltre i confini europei, le nostre radici giudaico-cristiane. Aggiungerei la laicità, il pluralismo, la parità di genere, la difesa delle minoranze e la democrazia, che è il nostro bene più prezioso. Le nuove generazioni che ci sono nate, che ci sono cresciute, devono sapere che nulla è mai acquisito. È come l'aria che respiriamo: ci rendiamo conto di quanto sia vitale quando inizia a mancarci. Questa base di valori comuni riguarda anche una certa “arte di vivere”. La cultura della condivisione, il gusto del dibattito, lo spirito critico sono parte di una tradizione europea. I caffè, le piazze, le strade a misura d'uomo, il nostro paesaggio così ricco e mutevole in così poco spazio, l'attenzione alla qualità piuttosto che alla quantità, tutto questo ci definisce e forgia la nostra identità. Questa coscienza europea deve risvegliarsi: non riconoscerla è come negare una parte di noi stessi. E dobbiamo garantire che il progetto europeo sia accessibile a quante più persone possibili, attraverso l'istruzione, la scuola, gli scambi, l'Erasmus o il servizio civico europeo. Umberto Eco diceva: "È pazzesco, quando vado a New York, in Giappone, in Cina, mi trattano come europeo, l'unico posto dove non mi riconoscono come tale è l'Europa!". Il problema viene anche da chi usa l'Unione Europea come capro espiatorio. È un meccanismo che può avere un interesse politico a breve termine. Ma, alla lunga, ci stiamo sparando sui piedi, a beneficio delle altre grandi potenze.
L'Unione europea spesso rimane poco percepita o fraintesa. Come promuovere il senso di appartenenza dei cittadini?
A un certo punto abbiamo smesso di essere noi stessi, magari facendo entrare paesi che, come il Regno Unito, non condividevano pienamente il nostro approccio e ci siamo persi lungo la strada.
Dagli anni '70 e '80 e fino al 2014 abbiamo costruito un'Europa liberale ispirata a un modello anglosassone che non corrispondeva del tutto al nostro progetto iniziale, abbiamo compiuto un cammino enorme. Tuttavia, il progetto europeo non può essere solo economico. Accanto a un mercato, abbiamo bisogno di uno spazio politico, di una dimensione spirituale e culturale. Per riaccendere la fiamma europea, dobbiamo riconnetterci con lo spirito originario dei Padri Fondatori. L'Europa è la culla dello Stato sociale, uno Stato in prima linea nella riduzione delle disuguaglianze. Ma lo Stato non può fare tutto, spetta anche alla società civile contribuire a questa costruzione creando legami transnazionali. Con le nuove tecnologie e la democratizzazione dei trasporti, questo sta divenendo sempre più facile. L'Europa è un'orchestra formidabile in cui ogni paese è una specie di strumento: tutti questi strumenti devono accordarsi per suonare la stessa musica. Una cosa mi stringe il cuore: in rue de Verneuil a Parigi, i passanti fotografano sempre la casa di Serge Gainsbourg, ma nessuno si ferma di fronte, al numero 6, davanti alla casa di Robert Schuman. Eppure Schuman fu un genio come Gainsbourg: è stato a suo modo un musicista, ha creato armonia e concordia in Europa, ha dato il "la" con la solidarietà di fatto. 77 anni di pace ininterrotta contro 1000 anni di guerre fratricide.
La crisi che stiamo attraversando può davvero rafforzare l'Unione Europea?
La storia ci dice che ogni crisi annuncia un Rinascimento. Nonostante il periodo difficile che stiamo attraversando, rimango ottimista nel senso che la pandemia è stata un acceleratore. È come se fossimo finalmente usciti da una forma di sonnambulismo. Nasce una grande speranza. L'edificio europeo ne esce molto più solido di quanto pensiamo. L'adozione del piano di risanamento, il 21 luglio 2020, è stata un momento storico. Dopo trent'anni di tanto denigrato “ipermercato” in Europa, abbiamo finalmente gettato le basi di quella che sembra essere una nuova forma di fraternità europea. Sembra che stia emergendo un'Europa più politica, sociale e solidale. È caduto un tabù! Una cosa mi stupisce: da giornalista mi sono occupato, in questi anni, di manifestazioni contro l'austerità a Parigi, a Roma, ad Atene. Nessuna era riuscita a cambiare la situazione. Ora l'Europa è riuscita nella sua scommessa, ma nessuno le è grato. In questa fase, però, è un ballon d’essai, il piano di ripresa è legato alla pandemia; la vera sfida sarà farne uno strumento strutturale che potrà declinarsi in tutti i settori. Per l'Italia è una specie di test, perché essa ne è il principale beneficiario con 200 miliardi di euro e ha interesse a spendere bene questi soldi. I “frugali” ci tengono gli occhi addosso: se funziona, potremmo pensare di perpetuare questa nuova forma di solidarietà su scala continentale, altrimenti sarà un colpo a vuoto. Ma tutti noi abbiamo interesse a restare uniti, come hanno fatto Francia e Italia durante la pandemia. Dopo aver attraversato una delle crisi diplomatiche più gravi della loro Storia, questi due paesi fondatori dell'Unione Europea hanno agito come se formassero un'unica Repubblica, riuscendo a convincere i loro partner, Germania compresa, che era giunto il momento di porre fine a una Europa eccessivamente austera. Certo, le finanze pubbliche sono importanti ma non possono costituire la pietra angolare del nostro progetto che è, soprattutto, un progetto umanista e di civiltà.
La coppia franco-italiana può essere un'alternativa al motore franco-tedesco?
Non c'è Europa senza coppia franco-tedesca. Essa si è costruita sulla riconciliazione tra Parigi e Berlino e non è un caso che la sede del Parlamento europeo sia a Strasburgo, questa città cerniera tra due paesi che si sono tanto combattuti e che si sono riconciliati. Ma, mentre questo ingranaggio del motore europeo è fondamentale, non è tuttavia sufficiente per affrontare le sfide che questo nuovo millennio ci pone. Seconda e terza economia della zona euro, l’Italia e la Francia possono dare un impulso alla costruzione di un'Europa più empatica e più vicina ai cittadini, cercando di trovare un equilibrio con una serietà di bilancio altrettanto necessaria. La firma del Trattato del Quirinale a fine 2021 o il rilancio dello storico gemellaggio tra Roma e Parigi rafforzano questo movimento. Sottoscritta nel 1956, l'unione tra la Città Eterna e la Città della Luce anticipava di un anno i Trattati di Roma firmati il 25 marzo 1957 dall'Europa dei Sei nella Sala degli Orazi e dei Curiazi in Campidoglio. L'uscita del Regno Unito, che non ha mai voluto veramente partecipare a questo progetto politico, è una straordinaria occasione per riconnetterci con la nostra essenza profonda.
Paese fondatore, l'Italia è da tempo uno degli Stati membri più filoeuropei. Ma negli ultimi anni i suoi sentimenti europei hanno avuto alti e bassi.
L'Italia ha vissuto un ondeggiamento euroscettico nel 2013 con la crisi economica e questa sfiducia è poi andata in crescendo, con la crisi del debito, poi con la crisi migratoria, dove si è sentita abbandonata e “tradita” dai suoi alleati storici. Lei, così filoeuropea, che tanto aveva contribuito alla costruzione europea con grandi personalità come Alcide De Gasperi o Altiero Spinelli, provò una grande frustrazione, come una forma di delusione amorosa. Ciò si è riflesso alle urne con la vittoria dei populisti, ovvero il Movimento 5 stelle (M5S) e la Lega. Dopo l'adozione del piano di ripresa, gli italiani, riuniti intorno a Mario Draghi, sono in parte ridivenuti gli euro-entusiasti di un tempo. Ma tutto ciò rimane fragile. L'attuale crisi politica, con le dimissioni di Mario Draghi, subito respinte dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ce lo ricorda in modo lampante. In un contesto così delicato per l'Italia e per l'Europa, l'unità dovrebbe prevalere sui calcoli elettorali e sulla politica dei partiti, che sono un vantaggio per Vladimir Putin. Anche Matteo Salvini, che era il più antieuropeo per convenienza politica, ha drammaticamente rivisto le sue posizioni e sostiene il governo di unità nazionale. C'è da dire che i suoi elettori sono anche le piccole e medie imprese del nord Italia, i cui primi clienti sono Francia e Germania! L'unica che continua a tenere un discorso molto nazionalista è Giorgia Meloni, astro nascente dell'estrema destra, a capo di Fratelli d'Italia e convinta postfascista. Il problema è che i nazionalisti vorrebbero riportarci indietro di 70 anni: ci vendono delle nazioni in “mono” contro un'Europa ormai in “stereo”. Capisco la moda dell'usato e dei vinili: ma non si può trasformare il "vintage" in un modello di società. Piuttosto che dividere, dovremmo approfittare dei prossimi mesi per realizzare due riforme cruciali: la revisione del Patto di stabilità e crescita e la fine del veto in Europa. Non c'è autonomia europea possibile con la regola dell'unanimità, perché così si corre sempre il rischio di avere un cavallo di Troia, come Viktor Orban per esempio. Sono favorevole alle liste transnazionali alle prossime elezioni europee del 2024 per rafforzare la nostra democrazia e partecipare all'avvento di un vero dibattito pubblico europeo.
Nuove minacce incombono sulla zona euro: inflazione, rischio di recessione, aumento dei tassi d’interesse. Che cosa consigli per riformare il Patto?
Le regole attuali, 3% di deficit - che contribuiscono ad alimentare la frustrazione anti-europea - e 60% di debito, sono troppo rigide e ormai obsolete. Sono necessarie regole più flessibili, più orientate al DNA dell'Europa, che ha un urgente bisogno di liberare il suo potenziale, attraverso la crescita e gli investimenti. Questa riforma del Patto di Stabilità e Crescita e la fine dell'unanimità su diverse questioni sono una questione di sopravvivenza; o lo facciamo, oppure ogni Stato membro diverrà in pochi anni un semplice satellite degli Stati Uniti, della Cina o della Russia. È ora o mai più, nel senso che siamo davvero giunti alla fine di un ciclo. In molti ambiti si assiste a un forte ritorno dell'Europa: non c'è motivo per cui essa non debba essere una grande potenza. È il continente più ricco del mondo, un modello per molti paesi. Quando sono uniti, saldi, solidali, gli europei sono più forti. L'Unione Europea è "il più grande progetto politico nella storia dell'umanità", diceva Antonio Megalizzi, il giovane giornalista italiano morto sotto i colpi del terrorismo nel 2018 al mercatino di Natale di Strasburgo. Critichiamo molto l'Europa perché spesso la consideriamo come un qualcosa di realizzato. Ma l'Europa è un work in progress, con i suoi difetti e le sue mancanze. È un progetto in perenne costruzione. Ogni generazione può e deve fare la sua parte perché tutte le battaglie attuali, siano esse climatiche, digitali, industriali, etc., sono più efficaci su scala europea.
Lo status ufficiale di candidato all'Unione Europea è stato appena concesso a Ucraina e Moldova. Cosa ne pensi del progetto di una comunità politica europea che consenta ai paesi impegnati in lunghi negoziati di adesione di essere più strettamente associati?
L'architettura europea è complessa e a volte è un vero rompicapo capire come funziona. Quindi non c'è bisogno di complicarla ulteriormente e non sono molto convinto di questa idea di comunità politica europea. D'altra parte, è importante, ed è un segnale forte, aver concesso lo status di candidato all'Ucraina, anche se sarà importante prendere il tempo necessario per completare i 35 capitoli negoziali. Il destino europeo dell'Ucraina è iniziato prima, a metà marzo, quando il Paese si è staccato dalla rete elettrica russa e si è connesso alla rete europea. Poco dopo l'inizio dell'invasione russa, l'Ucraina e l'Europa si sono date fisicamente la mano, unendosi l'una all'altra.
Ma questo riavvicinamento non rischia alla fine di porre una sfida molto grande per l'Unione Europea?
È ovvio che non potremo avere le stesse ambizioni o raggiungere gli stessi traguardi, che si sia 27, o 33 o 35, o 6 o 12. Questo non ci impedisce di creare una comunità di valori e di destino, con le istituzioni esistenti. Ma se vogliamo sopravvivere, dovremo preparare uno zoccolo duro capace di costruire l'Europa politica, con i paesi fondatori, la Spagna, il Portogallo e la Grecia, o a livello della zona euro. Questi paesi hanno la maturità necessaria, sono pronti a fare il salto. Possono cominciare a pensare a una forma di federalismo e porsi come guide, per indicare la strada, da nuovi pionieri, riprendendo la strada indicata dai Padri Fondatori alla fine della Seconda Guerra mondiale. Gli altri Stati membri sono i benvenuti, a condizione che condividano non solo i vantaggi di questa appartenenza, ma anche i doveri e i valori, in particolare in termini di Stato di diritto e di pluralismo. Sarà inoltre necessario fare in modo che chi sta fuori non blocchi chi vuole andare avanti, perché non c'è alcun motivo per cui chi vuole una maggiore integrazione sia impedito da chi è riluttante. L'Italia è pronta a questo salto federale perché lo ha già fatto in casa propria: gli Italiani sono convinti che se siamo riusciti a mettere insieme un torinese e un palermitano, possiamo mettere insieme anche un ateniese e un parigino, un berlinese e un romano. La mia Europa ideale non è affatto una megastruttura, un mastodonte tecnocratico dove tutto si deciderebbe solo a Bruxelles: è delegare i poteri all'Unione Europea dove, insieme, possiamo essere più efficaci, ma significa anche dare più potere a territori e a regioni. Questo potrebbe contribuire a calmare le frustrazioni. Si dovrà trovare un compromesso tra le diverse culture e le diverse sensibilità.
L'Europa di giugno 2022 è molto diversa da quella di gennaio 2022, ha affermato Emmanuel Macron, a Bruxelles, durante il Consiglio europeo. Sei d'accordo?
In termini di integrazione europea, il vero cambiamento è iniziato molto prima della guerra in Ucraina. Un primo passo è avvenuto nel luglio 2012, durante la crisi economica e finanziaria, quando Mario Draghi, allora Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), si disse pronto al whatever it takes , “qualunque cosa serva”, vale a dire, per proteggere l'euro dalla speculazione internazionale. Da quel momento in poi, la moneta unica era salva. Una seconda fase di accelerazione si è verificata durante la pandemia di Covid, con il piano di ripresa NextGenerationEU e la nascita di un'Europa della Salute. Nonostante un inizio complicato, il piano di vaccinazione è stato un successo, è stato messo in atto in modo spettacolare e rapido. La terza fase è quella che stiamo vivendo ora con il ritorno della guerra nel cuore del nostro continente, che mostra come la pace non si acquisisca mai in modo duraturo, e con la consapevolezza che dobbiamo essere più uniti che mai. La difesa dei nostri valori diventa più importante di ogni altra cosa. Al momento, si decide il futuro dell'Europa per i prossimi anni: abbiamo la scelta tra superare le nostre divisioni per unirci o rischiare di romperci definitivamente.
Questa guerra segna anche il forte ritorno della NATO e dell'ombrello transatlantico, in particolare nell'Est. Il progetto di difesa europeo non è indebolito da questo?
No. Gli anni di Trump hanno dimostrato che l'America è un partner fondamentale, ma che può cambiare priorità in qualsiasi momento. Ad esempio, l'estate scorsa, quando gli Stati Uniti hanno lasciato l'Afghanistan. Sarebbe quindi miope tornare allo status quo e non creare uno zoccolo duro di difesa europea più solido. Questa è la condizione per essere una vera potenza rispettata nel mondo. Questo può essere complementare alla NATO, ma l'Alleanza atlantica non basta più, l'Europa deve uscire dall’età dell’innocenza e divenire padrona del proprio destino, anche dal punto di vista militare. In questo campo sono in gioco problematiche industriali molto complesse. Si tratta di una sfida da raccogliere.
Questo è un tema che è spuntato come un serpente di mare dopo il fallimento nel 1954 del progetto di Comunità europea di Difesa.
L'esercito europeo non si costruirà di certo dall'oggi al domani: sarà costruito per “solidarietà di fatto”. La crisi ucraina avrà un effetto di acceleratore per la difesa europea. È già necessario razionalizzare il settore, riorganizzarlo, sviluppare le sinergie, evitare le duplicazioni, individuare le aree in cui ogni Paese può essere più efficace. La Francia è in prima linea nel nucleare e negli aerei da caccia, l'Italia potrebbe avere altri asset, ad esempio nel settore navale. Ognuno potrebbe agire là dove è più forte e metterlo al servizio della collettività europea. Ciò consentirebbe di realizzare economie di scala e di essere più efficienti, dunque operativi. Ma ciò richiede la fiducia reciproca. Vengono regolarmente organizzate esercitazioni militari congiunte tra Francia e Italia. La fiducia dovrebbe essere la stessa tra tutti gli Stati membri.
I prossimi mesi si annunciano molto difficili, con la minaccia russa di chiudere il rubinetto del gas e il rischio di una crisi alimentare. Come rispondere?
L'Europa dovrà ancora mostrare solidarietà e unità e creare scorte energetiche comuni, per garantire la sua autonomia strategica a lungo termine. A medio termine, l'unica via d'uscita dalla dipendenza russa sarà l'importazione di gas naturale liquefatto (GNL); l'Italia è così riuscita a ridurre le consegne di gas russo dal 40 al 25%. Tutto questo si sposa perfettamente con il Patto Verde e lo sviluppo delle energie rinnovabili. La Storia ci sta inviando segnali potenti per pensare a un nuovo modello di solidarietà e sostenibilità. La mutualizzazione del debito è lo strumento più sicuro per far fronte a tutte queste turbolenze, compresa la perdita del potere d'acquisto. Poiché condividiamo gli stessi valori, non c'è motivo per non andare avanti insieme, mano nella mano; perché dividersi significa fare il gioco dei nostri rivali internazionali che non condividono i nostri valori. In tempo di guerra, dobbiamo unirci e cercare di superare le divisioni, liberarci per un momento dai nostri rispettivi ego per partecipare insieme alla costruzione di qualcosa di più forte della somma delle nostre individualità. D'ora in poi, è in gioco il nostro destino nazionale ed europeo. Qualsiasi forma di patriottismo richiede una dimensione europea. "Uno per tutti, tutti per uno", il motto dei Tre Moschettieri, non è mai stato così attuale. L'Unione Europea fa la forza. È giunto il momento di riaccendere le stelle!
Intervista condotta da Isabelle Marchais
La FONDAZIONE ROBERT SCHUMAN, creata nel 1991 e riconosciuta di pubblica utilità, è il principale centro di ricerca francese in Europa. Sviluppa studi sull'Unione Europea e le sue politiche e ne promuove i contenuti in Francia, Europa e all'estero. Provoca, arricchisce e stimola il dibattito europeo attraverso le sue ricerche, le sue pubblicazioni e l'organizzazione di convegni. La Fondazione è presieduta da M. Jean-Dominique GIULIANI.