- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 1136
INTERVISTA A UN POLIZIOTTO
Barbara de Munari (Torino), Giornalista – Presidente e Direttore editoriale di ETICA A.C (Torino)– intervista Alessandro Yoram Nathan Scuderi – Ispettore Superiore di Polizia in quiescenza (Catania).
Non è facile presentare una personalità importante, schiva e complessa come quella di Alessandro Yoram Nathan Scuderi, Poliziotto sì, ma, prima di tutto e al disopra di tutto, Uomo.
Alessandro Scuderi, infatti, è Poliziotto, ma è anche un artista, ama la musica jazz, e non solo quella, disegna splendidamente, coltiva tutta una serie di hobby speciali e scrive, bene, anzi benissimo.
A riprova di questa sua versatilità d’ingegno, come scrittore Alessandro Scuderi appare per la prima volta in veste di co-autore nel 2018, collaborando con due scritti preziosi e delicati: “Le mura vuote” e “Le Rose di Terezin” all’Opera collettiva Un mondo che non dimentica. La Shoah, di Cesare Israel Moscati, ©ETICA, Torino, 2018.
Nel 2021 cura, con rara sensibilità, intuito e intelligenza, la Prefazione al libro La Storia di Hannah, di Emanuele ben Israel Moscati e Barbara de Munari, ©ETICA, Torino, 2021.
Nel 2020, compare come protagonista ed estensore della Postfazione al libro A un passo da Provenzano, (di Giampiero Calapà, ©UTET, Torino, 2020 – anche in Audiolibro, © 2021 Storyside ), di cui parleremo più avanti nel corso di questa intervista, dedicato alla sua attività di Ispettore della Squadra Mobile di Catania, negli anni oscuri seguiti agli omicidi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.
Il suo curriculum vitae è rilevante e ammirevole:
Nel 1980, nei ranghi della Marina Militare, consegue il brevetto di Demolitore Ostacoli Antisbarco del Btg. San Marco.
Nel 1985 consegue il Brevetto di Paracadutismo-Abilitazione lancio da velivolo G222.
Dal 22 maggio 1986 al 31.12.1987 e fino al 9.1.1991, presta servizio di volontariato presso il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana.
Dal maggio 1988 all’aprile 1992 svolge servizio presso la Questura di Palermo - Squadra Mobile, nelle Sezioni 3^ (Antirapina/Falchi) e 6^ (Catturandi), facendo contestualmente parte del Nucleo Eliportato di Pronto intervento, con la qualifica di Agente.
Dal maggio 1992 è assegnato alla Questura di Catania, Ufficio Servizi – Reparto Scorte.
Dal maggio 1992 a settembre 1992 svolge servizio presso la Squadra di P.G. del Commissariato P.S. “Centrale”.
Dal settembre 1992 all’ottobre 1993 svolge servizio presso la Squadra Mobile di Catania - Sezione 2^ (Omicidi), con la qualifica di Agente.
Dal 18.08.1993 al 04.07.1994 svolge servizio presso il Centro Operativo D.I.A. di Catania, con la qualifica di Agente Scelto e Vice Sovrintendente.
Dal maggio 1994 all’ottobre 1998 svolge servizio in qualità di Coordinatore, presso la Squadra Mobile di Catania, Sez.2^ (Omicidi) e 3^ (Antirapina), con la qualifica di Sovrintendente, Vice Ispettore ed Ispettore.
Dall’ottobre 1998 al novembre 2005 svolge servizio in qualità di Coordinatore presso la Squadra di P.G. del Commissariato P.S. “Borgo-Ognina”, con la qualifica di Ispettore ed Ispettore Capo.
Dal 7 novembre 2005 al 31.10.2019 svolge servizio presso la Squadra Mobile di Catania Sez. 5^ (Antiestorsioni e Contrasto alla criminalità economica- reati contro la P.A.), in qualità di Coordinatore, con la qualifica di Ispettore Capo e Ispettore Superiore.
Ha ricevuto:
nr.3 Encomi solenni, nr.5 Encomi, nr.7 Lodi per meriti di servizio di Polizia Giudiziaria e nr.5 Premi in denaro e Parola di lode, concessi dal Capo della Polizia;
Medaglia d’Oro al merito di servizio;
Medaglia di Bronzo per merito di servizio;
Croce di Argento per anzianità di servizio;
Parola di lode del Questore di Catania;
Elogio concesso dal Sindaco di Ragalna (CT) per il servizio prestato nello svolgimento delle attività connesse all’ “Emergenza Etna” del 21 novembre 2002;
Attestato di Benemerenza concesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dip.to della Protezione Civile per il servizio svolto nell’ambito dell’“Emergenza Etna 2002”;
Assegnazione del premio “Polizia Amica – Oltre le investigazioni, vicino alle vittime” - Conferito da Confedercontribuenti ed A.N.V.U. (Associazione Nazionale Vittime Usura) in data 29 marzo 2016, presso Palazzo Chigi, Sala della Regina in Roma.
Ha svolto:
Incarico di Docente interno per i Corsi di Aggiornamento Professionale del Personale della Polizia di Stato, in ordine alla tematica: “Reati con finalità di Terrorismo – Normativa di Contrasto al Terrorismo – La Cooperazione Internazionale di Polizia per il Contrasto al Terrorismo ed all’estremismo violento” – 2017, 2018, 2019.
Lo ringraziamo dunque per avere voluto concederci questa intervista, consapevoli di cosa rappresenti per lui, abituato al silenzio, parlare un po’ di se stesso.
Barbara de Munari
La Natura ti ha messo a disposizione tutta una serie di talenti…
Eppure tu hai scelto di Essere (non di fare il) Poliziotto.
Cosa c’è all’origine di questa scelta?
Cosa ti ha spinto a decidere di entrare in Polizia?
Alessandro Yoram Nathan Scuderi
Ho sempre sentito una sorta di trasporto emotivo verso la Polizia. Indubbiamente l’Istituzione esercitava un certo fascino nella mia immaginazione in realtà; ma è stato su input di mio fratello Enrico, consapevole del fatto che non ero soddisfattissimo del mio lavoro, presso una nota compagnia di autonoleggio, nonché della delusione di non avere continuato in Marina Militare, a consigliarmi di presentare istanza di partecipazione al concorso del 1984.
“Sei nato con l’uniforme tu”, mi disse…
BdM
La tua famiglia di origine ti ha influenzato in qualche modo?
Tuo padre è stato contento della tua scelta?
Quali insegnamenti ti ha dato tuo padre prima della tua entrata nel corpo di Polizia?
AYNS
No, la mia famiglia non mi ha incoraggiato, né mi ha condizionato in alcun modo. Mia madre avrebbe preferito che andassi in Guardia di Finanza, poiché mio nonno lo era.
Mio padre era contento? Sì… però mi consigliò di leggermi “I Viceré” di Federico De Roberto. Sul momento non ne compresi il nesso; poi, a lettura finita di questo capolavoro della letteratura italiana, gli chiesi perché me lo avesse consigliato e quale fosse il collegamento con la mia scelta. Come sua abitudine, mio padre (Timoleone è il suo nome) fu lapidario… “Sappi che non è cambiato nulla”. Aveva ragione.
BdM
Tu hai scritto:
“L’unica volta in cui mi sono sentito solo, fu il giorno in cui venne a mancare mia madre. Una desolazione interiore, come una sorta di mutilazione, una lobotomia dell'anima...”.
Ti senti ancora così? Vuoi parlarne?
La madre ha spesso una valenza, conscia o inconscia, positiva o meno, fondamentale per la crescita e lo sviluppo della personalità armonica ed equilibrata di un essere umano…
AYNS
Sono molto geloso della mia sfera privata, specie degli affetti; comunque sì, mia madre (Teresa è il suo nome) è stata, al pari di mio padre, una presenza di assoluto riferimento. Ha rappresentato un universo parallelo; una sorta di bolla di protezione, ma al tempo stesso non mi ha risparmiato la crudezza e la materialità dell’essere umano. Mi mancano molto entrambi tuttora. A mio padre devo la passione per l’equitazione, a mia madre quella per la musica.
Sono stato un figlio fortunato.
BdM
Tu sei molto legato alla tua terra d’origine, la Sicilia, e qui hai svolto la tua attività.
Ti sarebbe piaciuto poterla lasciare e fare il Poliziotto altrove?
AYNS
Sì, mi sarebbe piaciuto lavorare molto di più all’estero e cimentarmi precipuamente di antiterrorismo. Comunque sia, l’impegno diuturno che mi ha “costretto” alla lotta al crimine organizzato, che sempre più spesso s’interseca con i traffici illeciti tipici delle formazioni terroristiche, mi ha consentito di maturare un’esperienza di particolare spessore. Lo dico senza falsa modestia.
Posto ciò, svolgere questa professione in Sicilia è diverso che farlo altrove, e il motivo è fin troppo semplice; è estremamente difficile farlo. La Sicilia è un microcosmo a parte, i siciliani lo siamo. Peraltro, lavorare in una Squadra Mobile come quella di Palermo e Catania, ti forgia per qualsiasi esame.
Seguire le tracce dei picciotti di Cosa Nostra, ti obbliga a seguirli ovunque, in ogni parte del mondo; è come una vera e propria battuta di caccia senza soluzione di continuità, ed il terreno di combattimento è il pianeta Terra.
Fare il poliziotto altrove non avrebbe fatto di me il poliziotto che sono divenuto.
Una parziale soddisfazione, circa il mancato trasferimento all’antiterrorismo, l’ho comunque ricevuta da una mia Dirigente che ritenne utile che facessi da Docente interno per l’aggiornamento professionale del personale della Polizia di Stato, nel contesto del “Contrasto al terrorismo nazionale ed Internazionale, odio razziale, etnico e religioso, Collaborazione tra le Forze di Polizia Europee ed internazionali”.
Condussi così tre anni di docenza (2017 – 2019) sul tema “Reati con finalità di Terrorismo - Normativa di contrasto al Terrorismo - La cooperazione Internazionale di Polizia per il contrasto al Terrorismo e all'estremismo violento”.
Anche questa è stata un’esperienza formativa e umana non comune, non ordinaria.
BdM
A tale proposito, riportiamo qui un brano del tuo “Diario di un Poliziotto” (Inedito, NdR):
“Il momento si avvicina, ed è dietro l'angolo, tra pochi mesi appenderò le manette al chiodo. Decenni trascorsi a inseguire ladri, assassini, trafficanti e mafiosi, si dissolveranno con la consegna della dotazione personale e una firma che mi risulterà essere pesantissima. Non sarà indolore, lo so bene, ma sarà giusto così; il capitolo deve essere chiuso e un altro dovrà essere iniziato.
In questi ultimi anni mi è stato dato l'onore di essere premiato in Parlamento, nel luogo simbolo della nostra Repubblica, della nostra democrazia, alle quali ho giurato fedeltà a 19 anni.
In questi ultimi anni mi è stata data la possibilità di essere docente di una materia delicata come la discriminazione razziale e il terrorismo, inclusa la lotta ad esso in tutte le sue forme, e di ciò sono molto grato ai miei superiori.
Mi auguro di avere dato tutto ciò fosse nelle mie possibilità e ancora per pochi mesi lo farò. Se mi guardo indietro e volgo lo sguardo al mio passato di poliziotto, di uomo dello Stato, provo emozioni contrastanti. Luci, ombre, squarci di gioia, ma anche dolore struggente.
Vedo me esultare per un successo e vedo me piangere.
Vedo i miei colleghi e i loro abbracci, come ci esaltavamo alla cattura di un assassino e come cantavamo felici nelle cene, appositamente organizzate.
Ma quanti amici mi sono lasciato dietro?
Tanti, troppi, ragazzi e ragazze come me, che hanno creduto in ideali chiari, forti, indiscutibili, granitici.
Difendere la gente, difendere lo Stato.
Tra tutti mi tornano spesso in mente, in notti insonni e tra incubi che si perpetuano, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Rivedo me in lacrime su un divano, sui piedi del letto o sotto la doccia.
Il tempo di riprendere fiato e sullo specchio mi vedo osservare da Agostino Catalano. Emanuela Loi, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina...
Quando al mattino trovo il tempo di radermi e non so come affrontare una giornata che sarà durissima, penso ai miei figli ed all'esempio che devo dargli, che gli ho dato e che sempre gli darò...
Ma minchia se è stato duro e difficile.
Mi viene in mente il caro Filippo Raciti e quelle parole che risuonarono sinistre, quel maledetto pomeriggio..."Se torniamo".
Penso anche a tutti quei mentecatti, venduti e vili, che hanno offeso il sacrificio di tutti noi e le vite dei meno fortunati, che hanno tradito indossando un’uniforme che non meritavano nemmeno di toccare.
Tra essi mi scorrono i nomi di questi bastardi, che probabilmente finiranno i loro giorni nei loro letti, ma li tengo per me ed i miei improperi...
Verrà dunque il giorno in cui mi dovrò ancora sedere dinanzi ad una Corte e riferire in qualità di Ufficiale di P.G. in quiescenza, ciò che ho visto, ciò che ho fatto.
Tra pranzi saltati, panini consumati sul cofano di una volante o su di un tetto o magari in attesa ai piedi di un carrubo.
Notti lunghissime, giorni consumati tra la tensione stretta nei denti e tanta paura; panico mai.
Non ci è mai appartenuto.
Scorro le pagine di questo diario e vedo le macchie del caffè e la cenere dei miei sigari; vedo la traccia di una lacrima e il sorriso di mia moglie alla quale sarò sempre debitore per l'amore e l'incoraggiamento donatomi, nei momenti bui, nei momenti più tristi, nei momenti...
Adesso tutto mi appare più chiaro, netto, dai contorni precisi e stagliati sullo sfondo di un’avventura meravigliosa, di una lotta senza quartiere, di una Sicilia ora assorta e stanca, ora orgogliosa e fiera.
Vedo, adesso vedo cose che prima non notavo.
I veri amici, i veri poliziotti, i veri magistrati, i veri uomini, le vere donne.
I miei occhi raccolgono dati e informano il mio cervello che distribuisce ricordi al cuore, alla mente, allo stomaco. Questi occhi hanno visto tanto, forse anche troppo, ma hanno visto la verità.
Ecco, la verità; per essa mi sono battuto, e non è andata sempre bene, lo so.
Ma come mi disse una volta un mio istruttore alla Scuola Incursori del Varignano, quando ero un leone alato del S. Marco, "O si vince o si impara. Non si è mai sconfitti".
Beh, grazie a quelle parole non ho mollato mai la presa. Qualche volta mi è rimasto solo un drappo tra le dita, ma ci ho riprovato senza sosta...
Se vi ho annoiato, abbiate considerazione di un vecchio soldato che vede, sente e prova sensazioni a egli estranei e parla e racconta, per tutte le volte che è dovuto rimanere in silenzio.
Ma avrebbe voluto urlare a squarciagola che ‘la dignità non è negoziabile’ (papà docet) ...”.
Una grande, bella, potente dichiarazione di amore per la tua terra, per la tua professione, per il tuo prossimo e per i tuoi “brothers in arms”.
Spesso le cose non sono andate come sarebbero dovute andare, come era logico e si sperava che andassero: hai visto la Morte in faccia, hai visto il Male incarnato, cosa ti senti di aggiungere a circa due anni da questo scritto?
AYNS
In verità, a novembre sono tre anni dal mio congedo…
Cosa mi sento di aggiungere?
Direi proprio nulla; non vorrei peccare di presunzione, ma credo stia tutto scritto in questo estratto del mio Diario.
Ho visto molte volte la morte e molte volte il male, in tutte le loro tragiche varianti; ma nonostante tutto il buio attorno, non abbiamo mai spesso di cercare anche una fioca sorgente di luce.
Non si esce indenni da decenni di lotta alla mafia, è impossibile; quindi sto cercando di disintossicarmi ancora oggi.
Certo, l’amore per la mia terra aiuta, lenisce un po’ il dolore patito, ma non fa scomparire le cicatrici.
BdM
Tu vivi sulle pendici di un vulcano (l’Etna) – la Montagna – come si dice dalle vostre parti… A pochi passi da quella che fu la casa di Franco Battiato, che tu ami moltissimo. Questa vicinanza ti ha in qualche modo influenzato, anche nello stile di scrittura?
Quanto ti sei sentito idealmente vicino a lui negli anni trascorsi in un contatto ideale tra la lava e le ginestre piegate dal vento?
Hai detto che Il Bardo di Franco Battiato ti rappresenta moltissimo.
Perché proprio Il Bardo? Vuoi parlarne?
Esistono altre sue musiche e testi alle quali ti senti legato o dalle quali ti senti rappresentato?
AYNS
Cercherò di spiegare il fortissimo legame che ci obbliga, l’Etna e me, ad appartenerci fatalmente e fisiologicamente.
Quando marinavo la scuola, lo facevo quasi esclusivamente per correre sulle sue pendici, con ogni mezzo disponibile. Amo il suo vento, i suoi tremori, le sue esplosioni, il suo borbottio, il suo fuoco uscire dal suo ventre e, a volte, il suo silenzio ancestrale. Da casa mia ho la fortuna di vedere da sud est il mare e da nord ovest a Muntagna… Lancio una sbirciatina e mi faccio il caffè con la moka, mi sento soddisfatto, è tutto lì dove l’ho lasciato ieri, e sono pronto a un nuovo giorno.
Battiato? Eh, avrei tanto da dire e da raccontare, ma, come ho già detto, istintivamente alzo una sorta di muro tra ciò che mi sta a cuore (e significa qualcosa per me) ed il mondo esterno. La musica, ma non solo, di Franco Battiato, ammettiamolo, non è per tutti. Cercherò di spiegarmi meglio; amo i brani meno conosciuti tra tutti; scruto l’animo più interiore dell’artista.
Il documentario e il libro Attraversando il Bardo: sguardi sull’aldilà prodotti e curati entrambi da Battiato, non interessano a chi “sventola bandiera bianca”… Non so se mi sono saputo spiegare.
Credo in ciò che lui afferma in quasi ogni suo brano; sono un convinto assertore della geometria frattale del cosmo attorno a noi e dentro di noi. Punto di riferimento culturale, raffinatissimo, radioso, disarmante per semplicità e complessità insieme.
Mi ha condizionato? Mi ha ispirato? Credo sia evidente, o almeno lo spero; mi è servito da ispirazione, mi ha invitato alla meditazione, all’ascolto dell’anima, la propria e l’altrui.
Con assenza assoluta di tristezza, esattamente come egli stesso amava ripetere, sto imparando lentamente, al passaggio. Lo ritengo necessario.
BdM
Recentemente hai scritto:
“La ricerca della propria identità, almeno spero, dovrebbe essere la principale motivazione di ogni giovane uomo o giovane donna che inizia il proprio percorso di crescita.
Nutrirsi di sapere e di conoscere, induce a una ricerca certamente non più veloce, ma più selettiva.
Il progetto che fu anche mio, quando da ragazzo di belle speranze mi affacciavo nel mondo, era quello di raggiungere uno stato di soddisfazione e di felicità che fosse concepibile e in equilibrio con la società che mi circondava e della quale ero parte.
A volte il percorso si complica a causa di avvenimenti che non vorremmo succedessero, come i lutti o le malattie, oppure i trasferimenti forzati; a volte, altri avvenimenti aiutano a procedere senza intoppi.
Durante tutto il tragitto ci si pone un’infinità di domande, un interrogativo segue l'altro, procurandoci spesso delle insicurezze, dei dubbi, delle perplessità. I giovani, oggi come ieri, hanno pure il diritto di sbagliare, di cadere, di inciampare, di ferirsi…”.
Cosa ti senti di insegnare, cosa vorresti dire, spiegare e narrare ai giovani di oggi, resi probabilmente confusi e incerti di fronte a un futuro certamente non costruito da loro e per loro?
AYNS
Grazie a D-o non ho alcuna presunzione a riguardo; non ho una preparazione tale da indicare soluzioni o consigli ai giovani; potrei tuttavia mostrare loro il metodo da me usato, quindi esattamente le parole di cui sopra… nutrirsi di sapere, ciò potrebbe immunizzarli da falsi miti e da miraggi pericolosi.
Ma devono andare con i propri mezzi, a tentoni, ma sempre con i propri mezzi; devono disilludersi e incantarsi, devono ferirsi e produrre balsami miracolosi per se stessi.
È la vita, devono percorrerla, sia in sentieri tortuosi e insidiosi, sia in autostrade veloci, e altrettanto pericolose.
Ma se proprio dovessi dare un consiglio (ma uno solo), è quello che ho dato ai miei figli. Due paletti, due azimut: etica e morale, ma che sia la loro etica e la loro morale, sia chiaro.
BdM
Hai scritto:
“Non mi vergogno, mi sono commosso ed ho pianto.
È accaduto in almeno due occasioni in cui sono stato invitato per parlare di mafia e terrorismo.
Per un irrazionale senso di colpa che mi porto dietro da decenni, mi chiedo come sia stato possibile che sia uscito fisicamente indenne da quel segmento di vita operativa in cui mi sono ritrovato dalla fine degli anni '70 a poco meno di due anni fa... Quando cedo al ricordo delle giovani vite spezzate dei miei colleghi e dei miei commilitoni, mi si soffoca un singhiozzo in gola, senza riuscire a trattenere almeno una lacrima.
Una vita di asprezze e di durezze non è riuscita a impermeabilizzare il mio cuore dal dolore.
Ci dovrò convivere per sempre; credo di meritarmi almeno questa debolezza...”.
È un po’ come il senso di colpa dei sopravvissuti… in generale a qualche evento luttuoso, in particolare ai campi di sterminio nazisti.
Con queste parole ti concedi la debolezza (forse l’unica) del ricordo e del dolore.
Vuoi commentare?
AYNS
Come accennato poc’anzi, il dolore si può lenire con il tempo, ma anche con l’introspezione e la meditazione. Le cicatrici rimangono, come è giusto che sia, atteso che è accaduto ciò che le ha procurate e nulla accade per caso.
Ma quando l’occhio cade sulla carne, o il pensiero sullo spirito o la memoria ferita sul passato nefasto, il dolore riemerge. È del tutto inutile cercare di soffocarlo; deve essere compreso, tollerato, confortato esso stesso. Questo è il mio modo di conviverci. È il solo modo con il quale riesco a metabolizzarlo ed esorcizzarlo. Anche il dolore va porto con delicatezza…, scrissi da qualche parte.
Il senso di colpa di essere sopravvissuto ai tuoi amici e commilitoni, ancora mi accompagna; non voglio più reprimerlo come ho tentato per tanti anni, prima…
Un giorno anche questo mi verrà svelato. Nessuno mi ha costretto ad andare in prima linea, se non il senso del dovere. Mai avuto ripensamenti, quindi di che dovrei lamentarmi? Se mi scappa la lacrima, con lo stesso decoro con cui l’ho lasciata scorrere, ne asciugherò la traccia.
La rabbia piuttosto, di cui non mi è stato chiesto nulla, quella è la scheggia impazzita dei miei pensieri neri. Essere stato mandato in un campo minato, dove le mine le avevano messe, anche, indegni esseri con la mia stessa uniforme, ma non con i miei stessi ideali, evidentemente. Ed anche per questo ringrazio D-o di essere arrivato qui, fisicamente indenne.
BdM
Hai scritto:
“Solenne e silenzioso si avvicina un altro Santo Shabbat.
Coglierà qualcuno di noi pronto ad accoglierlo e qualcun altro distratto, ma il Santo giorno giunge puntuale per tutti.
Vorrei dedicare giusto un pensiero a coloro che lo trascorreranno senza preghiera, senza candele accese, senza challah, senza vino, senza Kiddush tra le labbra.
È successo anche a me, per varie ragioni, di non aver potuto accogliere Shabbat degnamente, così come i padri dei padri dei nostri padri ci hanno tramandato; è successo più volte, ma non avrei voluto.
Mi sono sentito in colpa ogni volta e non sapevo darmi pace, finché ho creduto di avere risolto il travaglio interiore con un pensiero.
Sì, un pensiero.
Quando ho ritenuto che voi tutti foste attorno alle vostre tavole, ho chiuso gli occhi ed ho ripercorso tutte le fasi della Santificazione dello Shabbat.
Non avevo candele, non avevo challah, non avevo vino.
Ma le mie labbra erano impercettibilmente mosse dalla sacra benedizione...
La fede era in me e questo mi bastava per essere meno infelice. Shabbat Shalom le kullam”.
È molto bello e non è stato facile, certamente, essere Ebreo osservante e contemporaneamente essere Poliziotto.
Ce ne vuoi parlare?
AYNS
La mia sfera religiosa è blindata. Sono Ebreo, punto. Ciò che ho scritto, in una data occasione, sullo Shabbat (e sopra illustrato), esprime perfettamente tutto. Ma è limitato a un particolare contesto, e sono consapevole che il suo significato ed il suo messaggio intrinseco, siano comprensibili sino in fondo, solo ad altro Ebreo.
Per non sembrare troppo “ispido”, in realtà sono solo geloso e riservato, nonché estremamente discreto a riguardo; uso la definizione che il mio Morè utilizzò in una occasione simile:
“… posso dire che lo Shabbat è come Natale per i Cristiani, solo che noi lo festeggiamo ogni settimana…”.
Aggiungo brevemente che ho avuto il pregio di collaborare con Cesare Israel Moscati (zl”) con due testi, che, come tema, hanno la Shoah e con Barbara de Munari che mi ha reputato degno (chissà perché) di pubblicare il suo libro con la mia Prefazione; ciò non fa di me che un semplice amico, ammiratore di entrambi, su un tema che certamente mi coinvolge emotivamente. Tutto qui.
BdM
Concludiamo tornando alla nota di apertura, con la quale ti abbiamo presentato anche come scrittore e come protagonista di un libro che parla di te: A un passo da Provenzano di Giampiero Calapà.
In questo libro, dalla stagione più oscura del braccio di ferro fra Stato e mafia, quella che seguì gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, seguendo piste ormai abbandonate, si dipana una vicenda contraddittoria, lungo trent’anni di storia italiana, fra uomini senza pietà, complesse operazioni di polizia, depistaggi e trattative, in una Sicilia rurale votata al sangue, nelle cui masserie si nascondono criminali inseguiti da decenni...
Si tratta di una storia che ha rischiato di rimanere nell'oblio, mentre costituisce un altro tassello di quel terribile mosaico costituito dagli anni novanta, tra le stragi e la trattativa Stato - mafia, un mosaico che dopo più di vent'anni attende ancora di essere decifrato nella sua interezza.
Si parla di Bernardo Provenzano, detto “ ’u Tratturi” dai nemici, “zu Binnu” dai sottoposti, “il Ragioniere” dagli inquirenti, è un uomo con molti nomi e quasi senza volto, capace di restare nell’ombra per quarant’anni e, nell’ombra, in grado di comandare.
Prima del suo arresto, avvenuto nel 2006, pochi conoscono la sua faccia, nessuno vuole descriverla, tutto ciò che si ha, è una vecchissima foto.
Eppure tu, Alessandro Scuderi, ispettore della squadra mobile di Catania, hai in mano un identikit, di una fedeltà impressionante, sin dal 1997.
Lo hai ricavato seguendo le indagini sull’omicidio di Luigi Ilardo, un collaboratore di giustizia che aveva portato il R.O.S. a un passo dal numero uno di Cosa Nostra.
Com’è possibile che il volto fantasma di Provenzano fosse stato descritto e disegnato quasi dieci anni prima della sua cattura? Perché nel 1995 il R.O.S. non agì per arrestare Provenzano?
Perché, pochi anni dopo il ritratto ottenuto da te, Scuderi, quella pista tratteggiata con perspicacia e duro lavoro, non fu ritenuta credibile?
Il libro ricostruisce la storia di come il poliziotto Scuderi si sia districato seguendo piste ormai abbandonate, mettendo insieme un quadro complesso d’indizi, fino a identificare il volto del nemico, e di come, storia nella storia, la sua microstoria, con le sue vicende professionali, si incroci e si leghi con la macrostoria delle vicende di Cosa Nostra.
La storia di questo sbirro, dei misteri in cui s’imbatte, della caparbietà con cui li affronta e delle porte in faccia che riceve, è un pezzo di storia italiana.
Cosa vuoi ancora dire, completare, riaffermare a questo proposito?
AYNS
Il libro che Giampiero Calapà (bontà sua), mi ha voluto dedicare tratta di tre episodi fondamentali e storici, circa la lotta la mafia (quella vera, non quella da rotocalco per intenderci), che mi hanno visto protagonista mio malgrado: l’arresto di Totuccio Contorno, il tentato attentato contro Giovanni Falcone all’Addaura e l’indagine, soffertissima, sull’omicidio di Luigi Ilardo.
Molti non si rendono conto dell’importanza di questo omicidio eccellente, ossia di quanto esso sia collegato alla c.d. “Trattativa Stato-Mafia”.
Nessuno sa che già dal 1996 avevo in mano, disegnato da me stesso, l’identikit di Bernardo Provenzano, del tutto somigliante al truce personaggio e completamente diverso da quello diffuso pubblicamente.
Strano, vero?
Mi chiedete perchè il R.O.S., nonostante le precisissime indicazioni dell'infiltrato Luigi Ilardo, non abbia arrestato Bernardo Provenzano. Beh, ci sarebbe anche da chiederci perché il R.O.S., ovvero sempre gli stessi uomini del R.O.S., non abbiano proceduto alla perquisizione di Riina Salvatore (mi riferisco al covo da dove lo hanno visto uscire...), e sarebbero gradite anche alcune spiegazioni circa il mancato arresto di Nitto Santapaola a Terme Vigliatore, esempio macroscopico di negligenza investigativa.
E perché no, meriterebbe un approfondimento la nebulosissima vicenda del riferito suicidio del Maresciallo Antonino Lombardo (Comandante della Stazione Carabinieri di Terrasini), e guarda caso sempre la stessa squadra del R.O.S., in qualche modo presente.
E comunque io risalirei al rapporto sul riferito “incidente sul lavoro” occorso a Peppino Impastato, rimasto ucciso, secondo tale informativa, dall'ordigno che egli stesso stava collocando sui binari della tratta Cinisi-Palermo, importantissimo obiettivo strategico del povero fondatore di Radio Aut.
C'è un – nemmeno tanto sottile – filo tragico che lega un manipolo di Ufficiali del R.O.S. a tutti gli episodi testé ricordati.
Ne scrive dettagliatamente il P.M. Pasquale Pacifico, all'epoca Sostituto Procuratore della D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Catania, in seno alla lunga e dettagliata requisitoria del citato omicidio Ilardo.
Lo scrive dettagliatamente l'ex P.M. Di Matteo, della D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Palermo, in seno alla requisitoria della c.d. “Trattativa Stato-Mafia”.
Beh, un giorno, in Corte di Assise a Catania, m’intrattenni pochi minuti con un Questore, mio vecchio amico, e gli chiesi...: “Ma secondo te, se tutte queste stronzate le avessimo fatte noi due, che fine avremmo fatto?” . La risposta del Questore non posso riferirla alla lettera, ma in buona sostanza mi disse che saremmo stati sodomizzati e messi alla gogna.
Concludo con un brevissimo racconto, di quella volta che accompagnai il fotoreporter Francesco Nicosia in un tour siciliano alla scoperta dei covi dei latitanti di Cosa Nostra (vedi numero 46 di aprile-giugno 2021 della rivista "il Reportage"). Incoraggiai Nicosia a recarsi presso il covo in località Contrada Fodacazzo (Mezzojuso - PA) che fu di Provenzano (ed anche del boss Benedetto Spera, arrestato nel medesimo sito il 30 gennaio 2001!); bene, sappiate che vi riuscì senza alcun aiuto da parte mia, sebbene fossi presente, ma solo con le indicazioni che il Colonnello Riccio (cui Ilardo si affidò per le sue preziose rivelazioni) ricevette da Ilardo, tratte dalle memorie dell'ex Ufficiale che si trovano in rete. Laddove il R.O.S. di cui sopra fallì, riuscì un bravo fotoreporter...
Ora, vedete voi, fate delle ricerche, e vedrete che i nomi sono sempre quelli. Badiamo bene, sono stati tutti assolti dalle accuse del dott. Di Matteo, e le sentenze vanno accettate e rispettate. Io sono tra quelli, e siamo tanti, che, pur accettandole e rispettandole, non ci credono affatto. Anche perché, nonostante tutti gli strafalcioni operativi sopra riportati, tutta questa linea di comando del pur prestigioso Reparto dell'Arma, transitarono "per punizione" ai Servizi Segreti, così come puntualmente indicato dal P.M. Pasquale Pacifico, nella requisitoria che permise alla Corte di Assise di Catania di comminare ben quattro ergastoli, convalidati in Appello e Cassazione, contro mandanti ed esecutori dell'omicidio di Luigi Ilardo.
Grazie all’aiuto di pochissimi colleghi e del P.M. Pasquale Pacifico, siamo riusciti a fare comminare la pena dell’ergastolo a quattro mafiosi di rango, responsabili sia come mandanti sia come esecutori materiali dell’omicidio, senza una pacca sulla spalla… e con tanto amaro in bocca.
In verità, e per onestà intellettuale, mi è stato riconosciuto l’encomio solenne, rifiutando di conferirmi la promozione per meriti speciali, perché “non ho corso pericoli per la vita”. Contraddicendo tale tesi, il Questore di Catania ha ritenuto che da pensionato mi fosse concesso il porto d’armi da difesa, proprio perché soggetto ritenuto sotto potenziale rischio di vendette e ritorsioni.
BdM
Il tuo racconto, rapido e senza entusiasmi, porta in scena personaggi e vicende che sono state raccontate poco o mai, prima d'ora, con i personaggi "minori", spesso gli emarginati o i puniti, o gli sconosciuti, spesso gli eroi di una lunga contesa che dura intatta.
Il libro di Calapà paga anche molti debiti agli eroi quasi sconosciuti dell’ininterrotta e spesso non trionfante lotta alla mafia, ma non registra entusiasmi e non proclama vittorie, mentre la guerra continua, con i suoi tempi e i suoi luoghi, con i suoi personaggi e i loro intrighi, tra i pentiti, con i loro immensi rischi e le loro incurabili ambiguità, e lo Stato.
E alla fine della tua Postfazione al libro “A un passo da Provenzano” scrivi:
“… Come non poter chiedere scusa per tutte le assenze e le mancanze, e tutti i baci e gli abbracci sottratti ai miei figli? Hanno avuto un padre poco presente forse, ma di cui non doversi vergognare mai. «La dignità non è negoziabile»: queste poche e granitiche parole mi sono state scolpite nella mente da mio padre. Indelebilmente”.
A questo punto, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
AYNS
Programmi futuri? Coltivare finalmente le mie passioni e stare finalmente accanto alla mia famiglia; però mi piacerebbe pubblicare una raccolta di miei disegni e di miei scritti, così, tra una raccolta di funghi, una seduta in poligono e una passeggiata a cavallo.
Così, appunto.
Drammatico e disarmante.
Schivo, Dignitoso e Umano.
Un Poliziotto Siciliano.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 641
Joseph Pulitzer nasce a Makó, cittadina vicino a Csongrad (Ungheria) il 10 aprile 1847.
È figlio di un ricco mercante ebreo; la madre, di origine tedesca, è di religione cattolica. Joseph riceve un'ottima educazione e acquisisce dai genitori l'amore per la lettura e le lingue straniere. Nel 1864 emigra negli Stati Uniti. Si arruola nell'esercito federale e quando ottiene la cittadinanza statunitense nel 1867 lascia le armi per intraprendere la professione di giornalista.
La sua carriera inizia nel 1868 a Saint Louis (nel Missouri), dove, giovanissimo, lavora come reporter per il "Westliche Post", giornale in lingua tedesca, di cui acquisterà parte della proprietà nel 1871. Nel 1883, si trasferisce a New York e rileva dal finanziere Jay Gould il "New York World", portandolo ad alti livelli di popolarità e diffusione. Il "World" era considerato un "pesce piccolo" tra i tanti giornali che popolavano la metropoli ma Pulitzer riesce a trasformare il quotidiano in qualità e in stile: in breve diventerà una delle più grandi e influenti testate del suo tempo, promotrice di un'informazione libera da ogni interesse politico o aziendale e aggressiva nel perseguire la verità dei fatti, lottando contro la corruzione pubblica e privata.
Nel 1890 l’editore del quotidiano rivale "New York Sun" attaccò Pulitzer sul suo giornale, definendolo "l’ebreo che ha abbandonato la sua religione": la mossa, che aveva lo scopo di allontanare da Pulitzer i lettori di fede ebraica, aggravò la salute dell’editore, già non in ottime condizioni, e lo costrinse a lasciare la direzione del giornale, di cui mantenne, però, il controllo finanziario.
Nel 1903 donò alla Columbia University un milione di dollari per la costituzione di una scuola di giornalismo. Grazie alle ultime volontà presenti nel testamento, dopo la sua morte venne fondata la "Columbia University School of Journalism" e costituito il celebre premio a lui intitolato. Il suo lascito, pari a 20 milioni di dollari, dà origine a 12 premi che vengono assegnati ogni anno, a partire dal 1917, per altrettante categorie (che comprendono anche "disegno umoristico" e "fotografia").
Oggi il Comitato è noto come "Pulitzer Prize Board" ed è composto da editori, giornalisti, professionisti di vari ambiti e dalle cariche più alte della Columbia University.
“ |
Un'opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l'indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.
E così Democrazia e Giornalismo libero moriranno o progrediranno insieme”.
“ |
Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza.
Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via.
La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
“ |
Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile”.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 912
A PROPOSITO DELLA CORRUZIONE
di Pedro Carmelo Mazzoni
Traduzione dallo spagnolo a cura di Barbara de Munari
La corruzione nasce all'interno della società, la quale è composta di tutta una serie di abitanti (individui) la cui cultura è variabile in base alla loro educazione, insegnamento familiare, circostanze dell'epoca e altre specifiche e generali peculiarità che contribuiscono alla formazione integrale dell'essere.
Indubbiamente chi ha il mandato del popolo per governare ha una responsabilità maggiore degli altri, ma questo non esclude del tutto la responsabilità del resto della società.
La corruzione è antica quanto l'uomo stesso e solo una chiara educazione può contrastarla interiormente. E quando si parla di educazione, tutto inizia con la famiglia e lasciare tutto allo stato significa totale ignoranza, indifferenza e mancanza di amore.
Una politica educativa correttamente attuata contribuirà indubbiamente alla riduzione della corruzione, ma non sarà mai completamente combattuta perché è in qualche modo radicata nella condizione umana. Quando riconosciamo che in ognuno di noi, attraverso il famoso "conosci te stesso", c'è il seme di tutto questo, la società nel suo insieme potrà compiere una svolta sostanziale verso l'etica e i valori che devono prevalere in qualsiasi società sana.
È NOSTRO OBBLIGO PERSONALE COMBATTERE LA CORRUZIONE NEI DIVERSI AMBITI IN CUI DOBBIAMO AGIRE SE VERAMENTE VOGLIAMO RIDURLA AL MINIMO.
E qui riporto il pensiero di Miguel Seguró (Biografia. Miguel Seguró (1979), ricercatore presso la Cattedra Ethos dell'Università Ramon Llull e professore di Filosofia presso l'Università Aperta della Catalogna. Coordinatore della rivista Argumenta Philosophica. Journal of the Encyclopaedia Herder).
Scrive Miquel Seguró nella presentazione del libro Stanco della corruzione: "Siamo stanchi e vogliamo esprimerlo, in modo che nessuno ci chieda in futuro: perché non hai fatto qualcosa?
C'è molto di più in ballo che non il denaro rubato. La corruzione mette a repentaglio il futuro stesso di qualsiasi società democratica, quindi non possiamo rimanere in silenzio. La parola è l'unica arma che abbiamo. Potrà non portarci da nessuna parte; ai corrotti potranno non interessare le nostre parole, ma, per favore, almeno non rinunciamo a esse. Almeno diciamo forte e chiaro che non c'è nessun diritto alla corruzione, che basta, che siamo stanchi! (...)
Sappiamo che il problema della corruzione non è nuovo, ma chiediamoci: da dove viene? Di chi è la colpa? Si può superare? Vorrei che fossero loro, "i mandanti", l'origine di ogni male. Eppure la corruzione sembra essere qualcosa di "umano, troppo umano".
Come le due facce di una moneta: ha a che fare sia con la struttura del potere sociale e le sue ombre sia con l'ambiguità antropologica che ognuno di noi rappresenta. E l'una senza l'altra è impensabile".
La corruzione è il peccato che, invece di essere riconosciuto come tale e renderci umili, si eleva a sistema, diventa abitudine mentale e stile di vita (...).
La corruzione non è un atto, ma una condizione, uno stato personale e sociale in cui ci si abitua a vivere.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 1201
Prima dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72 persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca, nel comune di Fivizzano. Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone, mitragliate, impiccate, financo bruciate con i lanciafiamme.
Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), mentre a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime. Avrebbero poi continuato la strage con il massacro di Marzabotto.
È la scia di terrore insensato che ha già sconvolto e continuerà a sconvolgere tante comunità italiane. A Sant’Anna cala il silenzio. Resta la disperazione dei sopravvissuti per i quali la guerra non finirà mai più.
Ci vorranno 60 anni prima che inizi il processo: 20 aprile 2004, Tribunale Militare di La Spezia. Nel 1994 erano stati ritrovati casualmente a Palazzo Cesi, negli archivi della procura generale militare di Roma, 695 fascicoli sui crimini di guerra commessi dai nazifascisti dopo l’8 settembre 1943. Erano nell’ “armadio della vergogna”, faldoni portati alla luce e studiati dal formidabile lavoro di indagine di un giornalista, Franco Giustolisi.
Nell'estate del 1994, Antonino Intelisano (il procuratore militare di Roma), mentre cerca documentazione su Erich Priebke e Karl Hass, avvia un procedimento che porterà alla scoperta casuale, in uno scantinato della procura militare, di un armadio contenente 695 fascicoli «archiviati provvisoriamente», riguardanti crimini di guerra commessi da tedeschi e repubblichini. Tra questi viene trovata anche della documentazione relativa al massacro di Sant'Anna, per il quale verrà riaperta l'inchiesta che porterà a individuare alcuni dei responsabili.
Il procuratore militare di La Spezia Marco De Paolis (in seguito procuratore militare di Roma) grazie a indagini accurate riesce a individuare i responsabili di questo eccidio. È così che il 20 aprile 2004, davanti ai giudici del Tribunale Militare di La Spezia viene celebrato un processo per i responsabili di questo crimine. Sono passati dieci anni dalla scoperta dei fascicoli delle stragi "abbandonati" nell'armadio dello scantinato della procura militare di Roma, ma prima di de Paolis nessuno aveva pensato di fare indagini su questa e altra strage nazista di Sant'Anna.
Poiché tra soldati e ufficiali gli imputati sarebbero stati centinaia, fu deciso di rinunciare a processare i soldati - esecutori materiali dell'eccidio - per processare solo gli ufficiali che di quell'eccidio erano stati i veri responsabili, essendo stati loro a dare l'ordine del massacro.
Il giudice dell'udienza preliminare accolse quindi la richiesta del procuratore militare De Paolis di rinvio a giudizio per i tre ufficiali SS accusati di essere gli esecutori dell'eccidio. Tra i militari tedeschi accusati: Gerhard Sommer, 83 anni, comandante della 7ª compagnia del II battaglione del 35º reggimento Grenadieren (facente parte della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer-SS"), gli ufficiali Alfred Schöneberg, 83 anni, e Ludwig Heinrich Sonntag, 80 anni. Per altre due SS, Werner Bruß, 84 anni, e Georg Rauch, 83 anni, fu richiesto il non luogo a procedere, mentre per Heinrich Schendel, 82 anni, il Gup rinviò gli atti al pubblico ministero fissando il termine massimo di 5 mesi per ulteriori indagini.
Il 22 giugno 2005 il procuratore De Paolis chiede la condanna all'ergastolo per dieci tra ex ufficiali e sottufficiali tedeschi. Il tribunale militare di La Spezia accoglie la richiesta. Al momento della sentenza i dieci erano tutti ultraottantenni.
La ricostruzione degli avvenimenti, l'attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato l'eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare di La Spezia, conclusosi nel 2005 con la condanna all'ergastolo per dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al pubblico ministero Marco De Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due SS appartenute al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant'Anna.
L'8 novembre 2007 vennero confermati dalla Corte di cassazione gli ergastoli all'ufficiale Gerhard Sommer e ai sottufficiali nazisti Georg Rauch e Karl Gropler. La Cassazione si è espressa contro la richiesta di rifare il processo in quanto i soldati delle SS sentiti come testimoni dovevano essere considerati coimputati e quindi le loro testimonianze non valide. La sentenza rigetta questa tesi e conferma che l'eccidio è stato un atto terroristico premeditato. Su iniziativa parlamentare del deputato Carlo Carli e altri, con legge 15 maggio 2003, n. 107, viene istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una commissione parlamentare di inchiesta per indagare sulle anomale archiviazioni "provvisorie" e sull'occultamento dei 695 fascicoli (compresi quelli relativi alla strage di Sant'Anna di Stazzema) contenenti denunzie di crimini nazifascisti.
Il 1º ottobre 2012 la Procura di Stoccarda ha archiviato l'inchiesta per la strage nazista. L'organo giudiziario tedesco ha deciso l'archiviazione innanzitutto perché, secondo i magistrati, non sarebbe più possibile stabilire il numero esatto delle vittime: nella regione si trovavano anche numerosi rifugiati di guerra provenienti da altre zone. I reati di omicidio e concorso in omicidio per l'eccidio non sono prescritti; tuttavia, secondo la Procura tedesca, sarebbe stato necessario, per l'emissione di un atto di accusa, che venisse comprovata per ogni singolo imputato la sua partecipazione alla strage. E ciò non è stato ritenuto possibile dagli inquirenti tedeschi. Secondo la magistratura tedesca, inoltre, non sarebbe possibile accertare se la strage sia stata effettivamente un atto premeditato contro la popolazione civile, in quanto (sempre secondo la Procura di Stoccarda) è possibile che gli obiettivi dell'azione militare siano stati solo la lotta antipartigiana e il rastrellamento di uomini da deportare ai lavori forzati in Germania. Tale decisione, che è in contrasto con le risultanze processuali della magistratura italiana, ha suscitato incredulità e sdegno fra i sopravvissuti alla strage e prese di posizione contrarie da parte di vari esponenti politici in Italia.
Il processo sull’eccidio di Sant’Anna, portato avanti dal procuratore Marco De Paolis e da un gruppo di colleghi, carabinieri, interpreti, storici, consulenti, arriva a sentenza il 22 giugno 2005 con la condanna all’ergastolo di 10 ex appartenenti alle SS. Indagati complessivamente 24 militari, 8 le archiviazioni per morte del reo, 5 archiviazione per insufficienza di prove, 1 sospensione per motivi di salute. L’autorità tedesca non ha dato esecuzione alle sentenze. Alcuni dei condannati hanno potuto invecchiare liberi e poi sono morti, alcuni troppo malati per scontare in carcere la pena, altri condannati ma liberi.
Ecco i nomi:
Anton Galler, archiviato per morte del reo; Theodor Sasse, archiviato per insufficienza di prove; Alfred Leibssle, archiviato per morte del reo; Alfred Lohmann, archiviato per insufficienza di prove; David Pichler, archiviato per insufficienza di prove; Karl Gesele, archiviato per morte del reo; Friederich Crusemann, archiviato per morte del reo; Ernst Karpinski, archiviato per morte del reo; Rupert Lesiak, archiviato per morte del reo; Karl Segelken, archiviato per morte del reo; Kurt Osinger, archiviato per morte del reo; Otto Glanznig, archiviato per insufficienza di prove; Alfred Baumgart, sospensione della pena per malattia, poi deceduto; Horst Eggert, archiviato perché morto prima del processo; Gerhard Sommer, ergastolo; Alfred Schonenberg, ergastolo; Werner Bruss, ergastolo; Heinrich Schendel, ergastolo; Heinrich Sonntag, ergastolo; Georg Rauch, ergastolo; Horst Richter, ergastolo; Alfred Concina, ergastolo; Karl Gropler, ergastolo; Ludwig Goring, ergastolo.
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 4201
Anche il dolore va porto con gentilezza; non deve essere comunicato o condiviso come fosse una frustata, ma come un abbraccio, come una stretta di mano, come uno sguardo lucido e penetrante.
Anche il dolore merita rispetto e decoro; come un cuore che sanguina, deve essere curato; come un pianto a dirotto, deve essere confortato; come un urlo, deve essere sfogato.
Come un addio, deve essere benedetto.
Anche il dolore deve essere compreso e capito; un lamento va accolto e ascoltato; una delusione deve essere accarezzata; un tradimento va compreso.
Tutto ciò affinché il dolore resti tale, ma recluso in una bolla, che non prenda mai posto nella culla dell' anima...
©Alessandro Yoram Nathan Scuderi
- Dettagli
- Scritto da Barbara de Munari
- Visite: 1156
L’avvocato Siegel e il signor Sanden
A volte, non interpretare velocemente o correttamente un punto di passaggio storico, uno snodo di non ritorno, può essere fatale.
Nell'agosto del 1940 l'avvocato Siegel, Ebreo tedesco, e la sua famiglia, organizzano una fuga dalla Germania nazista, da cui riescono a scappare: un lungo viaggio che parte da Berlino, passando per la Russia sulla Transiberiana, attraversando Corea e Giappone. Da qui una nave li porterà in America, ma loro andranno fino in Perù.
La storia dell’avvocato Siegel inizia sette anni prima: il 10 marzo 1933. Sono passate poche settimane da quando Adolf Hitler è salito al potere. In Germania qualcosa sta cambiando. In molti guardano curiosi agli sviluppi della politica interna tedesca, senza capire bene cosa stia realmente accadendo. Assistono. I nazionalsocialisti si insediano - legittimamente - nei municipi, come a Monaco. Si sono subito messi all'opera, girando per le strade della città e prendendo di mira i negozi dei commercianti ebrei. Minacce perlopiù, ma in alcuni casi si passa alle maniere forti.
Il signor Max Uhlfeder, proprietario del secondo grande magazzino più importante della città, si avvia come ogni giorno al lavoro. Quel che trova al suo arrivo è solo distruzione: vetrine sfasciate e gli interni, gli arredi, la merce, devastati dalla furia degli uomini delle SA. Questi, non contenti, arrestano lo stesso Uhlfeder che, con altre 280 persone, è trasportato nel campo di Dachau in "custodia protettiva", come si legge nel documento redatto dagli ufficiali. Gli arrestati sono tutti Ebrei.
Il suo avvocato, il signor Michael Siegel, viene contattato dalla famiglia dell'imprenditore, e subito si attiva. Valigetta alla mano, entra negli uffici della polizia per sporgere denuncia, quell'arresto non aveva alcun senso, Uhlfeder non aveva commesso alcun reato, i suoi diritti civili erano stati ignorati. Seduti alla scrivania, però, Siegel non trova i soliti ufficiali di polizia, ma uomini in divisa che indossano camice brune. Sono gli uomini delle Sturmabteilung, un gruppo paramilitare del partito nazista.
Siegel inizia a esporre la questione, ma da dietro la scrivania partono solo risate. Risate che si trasformano in insulti. E dagli insulti si passa alla violenza. Siegel viene colpito al volto, poi viene preso di forza e portato nel seminterrato del municipio, dove viene picchiato pesantemente. Poi, tramortito, lo caricano di peso e lo portano fuori dagli uffici. Un uomo con un cartello gli si avvicina, lo costringe a stare dritto e immobile: glielo deve mettere addosso. Su questo una scritta, un monito: "Ich bin Jude aber ich will mich nie mehr bei der Polizei Beschweren (sono Ebreo ma non voglio mai più lamentarmi con la polizia)".
Siegel è costretto a camminare per le strade di Monaco, seguito da un drappello di sette uomini delle SA, che marciano baldanzosi, mentre raccolgono qualche approvazione da parte delle persone che si fermano a osservare la scena. Altri rimangono di pietra, vedendo quell'uomo ferito e pestato a sangue sfilare con quella scritta appesa al collo. Il piccolo corteo arriva fino alla stazione centrale. Siegel rimane eretto, il sangue che gli cola sugli occhi pesti, fino alla bocca. Le SA gli intimano di fermarsi, caricano i fucili, glieli puntano addosso. L'ufficiale lo schernisce, poi dice: "Jetzt stirbst du, Jud! - Ora morirai, Ebreo". Poi scoppiano a ridere, fanno dietro front e se ne vanno.
Siegel è sconvolto, vuole e deve tornare a casa dalla sua famiglia. Si incammina tra la folla, qualcuno continua a deriderlo. Tra questi, però, si trova il fotografo Heinrich Sanden. Con la sua macchina fotografica aveva immortalato quanto accaduto all'avvocato. Si avvicina a Siegel e gli chiede: "Ho il suo permesso di pubblicare le foto che le ho scattato?".
La risposta di Siegel è secca: "Sì".
Il fotografo intuisce immediatamente l'importanza di quelle foto, ma allo stesso tempo il rischio che rappresentano: se lo dovessero trovare in possesso di quegli scatti farebbe di certo una pessima fine.
Chiama un'agenzia giornalistica americana con sede a Berlino.
La redazione gli compra le foto e gli dice di inviarle appena possibile.
Le foto partono per gli USA, Washington DC. Il 23 marzo 1933 il Washington Times le pubblica. Le foto fanno il giro del mondo.
Sanden continuò la sua attività di fotoreporter, ma quell'esperienza, quella scena di quell'uomo umiliato in una pubblica piazza, non la dimenticò mai. E come lui tante altre persone. La gente cominciò a capire che in Germania qualcosa stava cambiando e che forma questo cambiamento stesse prendendo.
L’avvocato Siegel divenne, a propria insaputa, un simbolo internazionale della persecuzione antisemita in Germania e non apprese della foto fino agli anni '70.
Nonostante il clima crescente di violenza e di discriminazione antisemita, l’avvocato Siegel e la sua famiglia rimasero a Monaco. Gli fu revocato il passaporto nel 1934 e reintegrato nel 1935. Poi gli agricoltori locali avvertirono il dottor Spiegel dell'imminente Kristallnacht, il 9 novembre 1938. Fuggì in Lussemburgo e tornò alcune settimane dopo, solo per perdere la licenza legale. All'inizio del 1939 la famiglia Siegel lasciò la propria casa e trovò un altro alloggio. Il loro nuovo piano terra fungeva da sinagoga di emergenza, i nazisti avevano raso al suolo la sinagoga principale della città. Il figlio diciottenne del dottor Siegel, Peter, e la figlia quattordicenne Beate, emigrarono presto in Inghilterra.
L’avvocato Siegel e la moglie Mathilde chiesero asilo in Perù. Il cammino per il Perù iniziò nell’agosto 1940. Attraversarono la Lituania, la Siberia, la Russia e il Giappone, prima di arrivare in Perù.
Siegel iniziò a lavorare in una libreria di Lima. Negli anni del dopoguerra, lavorò per stabilire un'ambasciata per la Repubblica Federale di Germania nella capitale del Perù, Lima. Ben presto divenne rabbino della comunità ebraico-tedesca a Lima.
Nel 1953, l’avvocato Siegel poté nuovamente esercitare la professione forense in Germania, e aiutò i rifugiati ebrei tedeschi in Perù e in altre parti dell'America Latina.
Nel 1971, all'età di 89 anni, ricevette la Gran Croce al Merito della Repubblica tedesca "in riconoscimento dei suoi eccezionali servizi allo Stato e al popolo".
Accettò il premio in nome di tutti gli ebrei tedeschi a Lima e non smise mai di perseguire i casi di restituzione post-bellica.
Morì nel 1979 all'età di 97 anni.
Non portava rancore nei confronti del popolo tedesco, perché aveva conosciuto anche persone decenti.
Un giorno gli chiesero cosa stesse pensando durante il pestaggio. Senza mezzi termini la risposta dell'avvocato fu: "che sarei sopravvissuto a ognuno di loro".
Pagina 11 di 55