«Sai» diceva Jean Daniel «è difficile fare buoni editoriali con posizioni sfumate. La polemica attira il lettore, la moderazione lo fa addormentare. Eppure, il più delle volte, solo la sfumatura è giusta. Questo è il mio sacerdozio».
Fiducia agrodolce di chi ha sempre cercato una forma di equilibrio, meno visibile delle frasi fatte con lo stampino. Frasi snelle e allusive, rimandi elaborati, ragionamenti duttili, Jean Daniel non scriveva con la falce, ma con il pennello, o con il fioretto, occupando le sue quattro colonne con una prosa sinuosa.
Ma, all'improvviso, sorgeva inevitabilmente la domanda che dovrebbe essere posta a tutti i professionisti del giudizio (e dell’opinione). Si sbagliava?
In realtà, mai, o quasi: il risultato della vita di un oracolo sensibile al paradosso.
Mai? Per i razzisti, i colonialisti, i petainisti, gli stalinisti, i radicali di ogni tipo, gli ultraliberali o i marxisti, egli fu sempre in errore, un errore che in realtà era il loro. Jean Daniel ha sostenuto per tutta la sua vita la causa di una sinistra umanista, estranea agli eccessi e agli impeti di collera. Un po' come Camus di fronte a Sartre. Un "pensiero di mezzogiorno", lontano da follie rivoluzionarie o da esaltazioni insurrezionali, che teneva insieme libertà e uguaglianza. Sartre il radicale si è appannato. Camus rimane.
Nella storia intellettuale di una sinistra lacerata dalla storia, Jean Daniel non ha mai deviato.
Gollista nel 1940, allergico a Vichy, impegnato nella 2°Divisione corazzata del Generale Philippe Leclerc. Rispettoso dei sacrifici comunisti durante la guerra, consapevole del ruolo decisivo dell'Armata Rossa, ma antistalinista fin dall'inizio, vicino a Léon Blum alla Liberazione, avversario dei comunisti. Anticolonialista ma legato anima e corpo all'Algeria della sua infanzia, intimo del dramma dei Pied-noir, sostenitore dei ribelli e quindi ‘bestia nera’dell'Algeria francese, tuttavia sospettoso dei metodi brutali del FLN e delle sue inclinazioni autoritarie. Gollista di nuovo dopo il maggio 1958 contro una parte della sinistra, per via della Resistenza e della capacità del Generale di uscire dalla guerra. Mendesista, molto “seconda sinistra”, ma scettico nei confronti del sogno di autogestione sessantottino, ragionevole rocardiano, mantenne legami con “l'avventuriero Mitterrand”, suggellati dalla letteratura.
Legato a Israele nella lotta per la sua sopravvivenza, ma presto critico nei confronti dei vincitori che non colsero l'occasione della vittoria del 1967 per forzare la pace, rispettato dall'opinione pubblica araba, legato alle élite magrebine e cattivo ebreo per la destra israeliana, che egli rimproverava costantemente richiamando il diritto dei palestinesi a uno Stato. Bersaglio del PCF per l’accoglienza a Solzhenitsyn e la denuncia del Gulag da parte dell’Obs, opponendosi tuttavia al conservatorismo del grande scrittore dissidente, che annunciava il ritorno del nazionalismo russo.
Laico, repubblicano, estraneo a qualsiasi pratica religiosa, ma spiritualista, amico di rabbini, vescovi o imam. Europeo, cosmopolita, ma patriota, legato alla Francia con tutte le sue fibre, antisovranista che conosce la forza del sentimento nazionale e comprende le inquietudini identitarie, universalista radicato, che rispetta la terra e i morti e tuttavia rifiuta qualsiasi confinamento identitario. Mitterrandiano dopo il 1981 – il legame con gli uomini di potere era il suo peccato minore, quasi il suo tallone d'Achille – nondimeno critico della sconsiderata politica economica della sinistra.
Sottile conoscitore delle ambiguità dell'Occupazione, ci si sarebbe aspettati che fosse indulgente nei confronti del giovane Mitterrand, che passò per Vichy prima di unirsi alla Resistenza. Scrisse invece uno dei testi più severi sull'amicizia di quest'ultimo con Bousquet, l'organizzatore della retata del Vel’ d’Hiv, proseguita dopo la Liberazione fino agli anni 80.
Fu opportunismo, morbido centrismo, pusillanime prudenza? Questo è quello che si diceva all'epoca, quando il saggio dell’Obs fu oggetto di innumerevoli e furiose polemiche.
Questo è il destino di chi sa pensare contro se stesso.
Sono accusati per il loro senso dell'equilibrio.
E ci rendiamo conto, dieci anni dopo, che i loro critici sostenevano tesi settarie e ridicole.
LAURENT JOFFRIN, Liberation
(Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari)
Jean Daniel, nato a Blida, nell'allora Algeria francese da famiglia ebraica algerina, di nazionalità francese grazie al Decreto Crémieux che, entrato in vigore all'inizio degli anni '70 dell'Ottocento, aveva conferito la nazionalità francese agli ebrei d'Algeria. Era l'undicesimo e ultimo figlio di Rachel Bensimon e Jules Bensaïd, commercianti. Molto presto Jean Daniel, il suo nom de plume, apparve meno attaccato alla sua identità ebraica che alla cultura mediterranea e alla cittadinanza francese.
Allievo del college di Blida, divenne, a quindici anni, un lettore regolare del settimanale Vendredi, un giornale della sinistra intellettuale, indipendente e favorevole al Fronte popolare. Appassionato di letteratura, il suo entusiasmo per il lavoro di André Gide lo portò a vedere l'URSS come un paradiso socialista. Per due anni si immerse nel marxismo sotto l'influenza dei libri prestatigli da un amico, Vicente Pérez. Ma nel 1936, leggere il libro di Gide Retour de URSS gli fece perdere le sue illusioni comuniste. Si ritrovò quindi in quella generazione di non comunisti segnata dall'episodio del Fronte popolare e dal socialismo di Léon Blum. Lavorò per alcuni anni al quotidiano Combat, diretto dall'amico Albert Camus. Successivamente, divenne capo del servizio politico e poi caporedattore del settimanale L'Express.
Fondò il settimanale Le Nouvel Observateur (di cui fino a giugno 2008 fu anche direttore responsabile). Fece parte del think tank della Fondazione Saint-Simon.
Intellettuale umanista, orientato politicamente a sinistra, nel libro La prison juive: Humeurs et méditations d'un témoin sostiene che gli ebrei, considerandosi il popolo eletto, si sono imprigionati. Le sue opere sono percorse dall'interrogativo sul ruolo della religione nella morale moderna. In Italia è stata pubblicata l'opera Resistere all'aria del tempo (Con Camus) [Mesogea, (2009)]
Jean Daniel è morto nel 2020, a 99 anni.