SUKKOT IN GUERRA A TEL AVIV

di Giuseppe Kalowski, Tel Aviv, 19 ottobre 2024

 

 

Sukkot, che stiamo celebrando questa settimana, o Festa delle Capanne, è una delle tre festività ebraiche che comportavano il pellegrinaggio a Gerusalemme come a Pesach e a Shavuot.

Ha anche un significato agricolo, di ringraziamento ad Hashem per l'abbondanza del raccolto; ma simboleggia anche la molteplicità dell'intero popolo ebraico che mai come quest'anno rende attualissimo l'antichissimo significato di Sukkot.

Il Lulav (palma), l'Etrog (cedro), l'Aravà (salice) e il Hadas (mirto) simboleggiano l'unità della natura con il popolo ebraico pur nella sua diversità e molteplicità.

Ma Sukkot innanzitutto commemora i 40 anni di peregrinazione nel deserto dopo l'uscita dall'Egitto, punizione divina comminata agli ebrei perché si realizzasse così un ricambio generazionale e nascesse in loro un sentimento di dipendenza e comunione con Hashem.

Questo periodo ha avuto anche la funzione di trasformare il popolo, rendendolo una comunità, un'entità coesa e stabile.

In questi 40 anni gli ebrei vissero in Capanne protette solo da Hashem. Perciò costruire oggi Capanne, simboleggia pienamente la protezione divina anche in condizioni come quella in cui si trova in questo tragico periodo il popolo d'Israele.

È di queste ore la notizia dell'eliminazione di Sinwar, capo di Hamas e ideatore del genocidio antisemita in Israele il 7 ottobre 2023.

Mai come quest'anno la Sukkah (Capanna) richiama la fragilità dell'esistenza umana: mai come quest'anno il popolo d'Israele ha temuto, e ancora teme, per la propria continuità e per la propria esistenza…

In un attimo tutto è diventato in apparenza illusorio; paradossalmente questa situazione ci deve incoraggiare a essere più umili e più uniti, apprezzando le conquiste sociali e culturali del piccolo stato ebraico.

La Palma, il Cedro, il Salice e il Mirto simboleggiano tutti gli ebrei con i loro dubbi e diversità ma con la comune aspirazione al benessere interiore, condizione che oggi più di ieri deve stimolare una condivisione quale fondamento identitario della società israeliana

C'è anche una presenza profetica in questa festività, un tratto che oggi sembra irrealizzabile vista la situazione in cui non solo Israele, ma tutti gli ebrei si trovano: tutte le nazioni del mondo celebreranno insieme questa festa come segno di pace e di unità.

È nostra prerogativa, anche dopo un anno di guerra terribile, invitare tutti a una riflessione sulla relazione tra l'uomo e l'aspetto divino.

Sukkot è un invito all'unità e alla fiducia nella presenza divina, esattamente come nei 40 anni di peregrinazione nel deserto.

Sukkot deve stimolare e ricordare a tutti noi, ma soprattutto ai nostri troppi nemici, i valori fondamentali dell'esistenza e della coesistenza umana.

L'anno che abbiamo passato ci ha lasciato una sensazione di precarietà, la stessa sensazione trasmessa da una costruzione fragile e temporanea come la Sukkah.

Per celebrare l'abbondanza dei raccolti nei campi e l'opportunità che Hashem ci ha dato di andare in Israele la Torà ci comanda di gioire ed esultare: durante questa festività gli ebrei nell'antichità offrivano sacrifici come espiazione per tutti i popoli e si pregava per la pace universale.

Noi non dobbiamo dimenticare questo precetto soprattutto adesso, quando la pace sembra impossibile; Sukkot ci impone di trasformare l'umanità per ottenere la pace per tutto il genere umano, a dispetto dell'antisemitismo dilagante nella parte politica cosiddetta democratica e progressista, nel mondo occidentale,  da parte di quella fetta di società teoricamente più avanzata - che ci fa pensare che la storia non cambia al di là delle apparenze.

Sostenere oggi un concetto così alto può sembrare un atteggiamento irrealistico e illusorio, invece è un’aspirazione dalla quale noi non possiamo e non dobbiamo mai separarci.

 

HAG SUKKOT SAMEACH