IN DIASPORA

 

 

Eccomi qui di nuovo, dopo quasi un mese di assenza, a commentare gli ultimi tragici avvenimenti in terra d'Israele; con una differenza sostanziale rispetto a tutti i miei articoli precedenti: da qualche settimana non mi trovo in Israele ma in Italia , a Roma.

Tutti i miei racconti precedenti sono stati scritti in Israele, con il corpo e l'anima lì.

Adesso che sono temporaneamente fuori da Israele vedo come stia continuando senza sosta il tentativo di colpirlo per realizzare il sogno mai nascosto di distruggere " l'entità sionista".

Tentativo che purtroppo trova terreno ideologico fertile anche nel mondo democratico occidentale, rovesciando totalmente il rapporto causa-effetto dell'attuale conflitto.

Questa premessa non è fine a se stessa: in queste settimane, in Italia, non ho avuto idee, ispirazione e voglia per scrivere nuovi racconti e testimonianze. È un caso? In realtà non credo che sia una semplice coincidenza. Le notizie da Israele le continuo a ricevere dalle stesse fonti: nulla è cambiato, tecnicamente.

La differenza sostanziale è il "mood", l'umore, lo stato d'animo, la disponibilità interiore di chi scrive.

Sono queste le variabili che creano la differenza, la divisione, tra lo scrivere in Israele o fuori da Israele.

Ho sempre pensato, e continuo a pensarlo, che non bisogna necessariamente vivere in Israele per esprimere opinioni sull'operato della sua classe politica, ma ho realizzato però che si possono capire fino in fondo  alcune dinamiche politiche e sociali solo “vivendo” la società israeliana.

" Vivere Israele" è una sensazione non facile da spiegare e può essere intercettata e capita solo da chi condivide la stessa esperienza. Da lì, da Israele, tutto appare in una prospettiva diversa, più critica e più veritiera: si esprimono opinioni senza doversi sentire in un bunker per difendersi da un antisemitismo ormai dilagante in Europa e non solo.

In Israele assumo posizioni in totale assenza di pressioni esterne, di solito strumentali nei confronti dello Stato Ebraico.

Per queste ragioni mi ero ripromesso di ricominciare a scrivere al mio ritorno in Israele, ma quanto accaduto a Tel Aviv con il drone yemenita caduto nel centro della città e la strage dei bambini drusi mentre giocavano a calcio per opera di un missile lanciato da Hezbollah dal Libano, mi ha spinto a riprendere subito" la penna in mano".

Ci sono voluti 12 bambini morti e decine di feriti per fare dichiarare finalmente al nostro ministro Tajani che Hezbollah deve rispettare la risoluzione 1701 dell' ONU e ritirarsi dal confine israeliano.

Nonostante che anche gli USA sostengano la paternità di Hezbollah riguardo al missile sulla città drusa Majdal Shams nel nord d'Israele, alcune testate giornalistiche prendono sul serio i tentativi libanesi di attribuire a Israele la responsabilità della strage dei fratelli drusi.

Scrivendo dalla diaspora prevale il senso di difesa e di rabbia, dovuti alla mistificazione e al rovesciamento della realtà dei fatti.

Continuiamo a scrivere, a fare sentire la nostra voce, a esporre le nostre idee e le nostre ragioni, a patto di rendersi conto che farlo da Israele è un "mestiere” diverso, alimentato da una sensibilità e da un approccio differente nei confronti della nostra amata Terra di Israele.

Il nostro sionismo, in Diaspora, fatica a ritrovarsi nei discorsi di quanti rivendicano questo stesso amore per Israele o per il sionismo e accade che risuonino voci apparentemente inconciliabili.

Conosco tutte le loro resistenze e i loro avvertimenti.

Conosco tutte le voci, comprese le più critiche.

E so cosa pensano: Israele è minacciato, e non può permettersi il lusso di essere indifeso, fallibile e vulnerabile, oppure… siamo tragicamente condannati a ripetere uno scenario catastrofico?

  Nel cuore dell'oscurità del mondo che ci circonda, facciamo dunque in modo, ovunque ci troviamo, di lasciare passare un po' di luce, attraverso di noi, attraverso i nostri dubbi e le nostre convinzioni.