RISVEGLI, di Giuseppe Kalowski, corrispondente da Tel Aviv - 26 maggio 2024

 

Sono a Ramat Ahaial, quartiere di uffici e start up e mentre in Europa – divisa e stretta nella morsa di un antisemitismo crescente e con due guerre, ai suoi confini est e nel suo mare sud orientale – si dibatte e si discute in merito alla soluzione “due popoli, due stati” (sempre che non si tratti di un semplice slogan), questa mattina, all’ora di pranzo, e dopo più di quattro mesi di pausa e di silenzio,  nuovi razzi sono stati lanciati da Rafah verso il centro di Israele. Rivendica Hamas: “Grande attacco missilistico su Tel Aviv”.

 

La raffica di razzi è stata lanciata verso il centro di Israele, attivando il sistema di difesa Iron Dome.

Sirene d'allarme hanno risuonato a Herzliya, Kfar Shmaryahu, Ramat Hasharon, Tel Aviv, Petah Tikva e in diverse comunità più piccole.

 

Dei razzi sparati da Hamas, uno solo è riuscito a sfuggire alle maglie della contraerea israeliana. Si è abbattuto su Herzliya, città sulla costa a nord di Tel Aviv. Le schegge del razzo hanno investito il tetto di una casa, ferendo leggermente una donna che era all'interno.

Il servizio di ambulanze di Magen David Adom ha invece affermato che due donne che sono rimaste leggermente ferite dopo essere cadute mentre correvano verso i rifugi antiaerei.

Molte altre persone hanno ricevuto cure per l'ansia, ma non ci sono feriti gravi.

Con la ripresa (forse) dei negoziati sul rilascio degli ostaggi e le pressioni dopo la decisione dell'Aja, Israele sta modificando la sua operazione a Rafah. Lo ha detto una fonte israeliana a Times of Israel.

L'Idf - ha spiegato - continuerà a operare ma lo farà per ora in modo relativamente contenuto.

Ci sentiamo sconcertati, per usare un eufemismo, e oscilliamo tra l’ansia e la necessità di mantenere i nervi saldi – per noi, per i nostri cari, per i bambini, che ci guardano, per i nostri soldati al fronte ed io penso che si stia vivendo il momento storico più difficile dalla nascita dello Stato d'Israele.

Mille domande trafiggono la mia anima e, per ciascuna di esse, mille risposte – o nessuna.

Intanto, ieri sera, la polizia di Tel Aviv è intervenuta per disperdere un gruppo di manifestanti che aveva organizzato un sit-in in piazza della Democrazia, bloccando il traffico sulla vicina via Kaplan.

I manifestanti, riporta Times of Israel, chiedevano un accordo sulla liberazione degli ostaggi e la rimozione del governo del primo ministro Benjamin Netanyahu. Nella serata avevano marciato lungo via Begin per unirsi alle famiglie degli ostaggi. Uno striscione recitava: 'Il governo si è arreso (sugli ostaggi). La gente li riporterà a casa'.

Domenica scorsa il ministro per gli Affari della Diaspora e la Lotta contro l'antisemitismo del governo Netanyau, Amichai Chikli, intervenendo sul palco della kermesse di Vox al palazzo Vistalegre, fra le bandiere israeliane dispiegate sullo sfondo, ha detto che “l'offensiva israeliana a Gaza è una battaglia per il futuro della civiltà occidentale” e che “Israele non ha alternativa che combattere e vincere”.

Chikli non ha lesinato elogi a Santiago Abascal, “l'unico leader di un partito che ha visitato lo Stato di Israele dopo il 7 ottobre”.

E, ha aggiunto, l'unico cosciente dei rischi che corre l'Europa “sul punto di scomparire”.

“Non abbiamo altra opzione che lottare e vincere per il bene dei nostri figli e del mondo libero”.

All’Europa e al mondo intero, ma soprattutto all’Europa, Chikli ha detto: “Non dimenticate come è iniziata questa guerra”.

 

E mentre mi chiedo e mi interrogo (anche) sul destino degli Accordi di Abramo, su dove siano finiti, due ore dopo il lancio dei razzi, i bambini sfilano per strada, sotto casa mia, per Lag BaOmer.  Cuccioli resilienti e ostinati Figli di Israele.

Tra ferite vecchie e nuove, dopo il brutale attacco di Hamas a Israele, il 7 ottobre 2023, lo schema degli Accordi di Abramo, che doveva presto culminare nella normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Israele, è entrato in crisi. Congelato, indebolito, posticipato da una guerra dai confini ancora imprevedibili.

Tuttavia, tornare sui propri passi rispetto a Israele sarebbe una sconfitta troppo grande, un segno di debolezza politica interna e regionale, poiché rimetterebbe in discussione le strategie di politica estera.

Penso che gli Accordi di Abramo siano nell’occhio del ciclone di una guerra (forse) inaspettata: rappresentavano una relazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi, Bahrein e Stati Uniti, e dunque costituivano un successo di espansione geopolitica ma anche il riconoscimento formale della sovranità di Israele.

Il nuovo conflitto scoppiato tra Hamas e Israele ha segnato un duro contraccolpo a questi Accordi, che avrebbero dovuto sancire la stabilità delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Israele.

Un tempismo tutt’altro che casuale, considerando che Hamas è un gruppo terroristico (riconosciuto come tale dall’Unione Europea e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale UE, 4 febbraio 2022, L 25) che da solo non avrebbe potuto accedere alle risorse necessarie per sferrare l’attacco e che invece assume il ruolo di “cavallo di Troia” di altri attori internazionali, tra cui l’Iran.

Non mi conforta pensare che, tempo fa, ero stato un facile profeta: gli scenari geopolitici mutano rapidamente, con la possibile conseguenza di una polarizzazione delle alleanze nella regione del Medio Oriente, dove ciascuno invoca il principio di legittima difesa collettiva.

Soldati israeliani sono stati catturati, uccisi e feriti, durante l'operazione di resistenza avvenuta sabato pomeriggio nella Striscia settentrionale di Gaza: erano stati attirati in un tunnel nel campo profughi di Jabaliya, ma, questa sera, si grida alla strage e al massacro per il nuovo raid israeliano su Rafah.

In realtà nessun luogo è sicuro, né di qua né di là, e mi accorgo che esiste davvero una espressione massima del male, che è un male banale, un male che si esercita non per avere un vantaggio diretto ma semplicemente perché non tolleri che un altro esista. Ecco, questo tipo di male secondo me è il più pericoloso che esista.

Tra informazione e contro-informazione, tra propaganda e contro-propaganda, nessuno è innocente – o, forse, l’età dell’innocenza è ormai svanita, per tutti.