OltreMare di Giuseppe Kalowski, corrispondente da Tel Aviv
Sono sul lungomare di Tel Aviv, e mi concedo una pausa prima di partire per Gerusalemme, in compagnia di un bicchierone di cappuccino e di due rugelach, oziosi e invitanti.
Il mare è agitato, questa mattina, e una lieve foschia si appoggia all’orizzonte. Lo guardo – questo mare – e mi viene da pensare quanto sia in realtà breve questo tratto d’acqua che ci separa, alla sua estremità orientale, dai confini sud dell’Europa: poco più di tre ore di volo, poco più di mille miglia nautiche e, invece, la distanza, in questi giorni mi appare siderale.
Lottiamo per confutare le bugie che in questi mesi hanno descritto e descrivono il conflitto in corso, ma cosa accade veramente in Israele? Noi per primi cerchiamo di capire, e di porci delle domande, per non subire l’onda della propaganda, ascoltando e leggendo le notizie che quotidianamente ci riguardano e non è sempre facile.
Il governo arranca a seguito degli avvenimenti degli ultimissimi giorni e la popolazione è arrabbiata e affranta allo stesso tempo, soprattutto dopo avere visto il filmato del 7 ottobre delle giovanissime osservatrici in TV. Bisogna precisare che quelle povere 5 ragazze sono le uniche sopravvissute... e che altre 15 erano già state uccise poco prima senza pietà... Quel video è un peso enorme sull’anima e si fa fatica a respirare, guardandolo.
Che cosa fare? Questo è quello che si chiedono tutti, qui.
È impossibile avere il polso della situazione perché ci sono molte, troppe opinioni al riguardo.
Una cosa è sicura, secondo il mio parere: il governo che arranca, che prende tempo sull'attacco a Rafah, riflette esattamente il mood della gente, cioè divisione, indecisione, rabbia, paura.
Dopo la visione del filmato fa ancora più rabbia la delirante accusa del procuratore dell'Aja ed ex avvocato del figlio di Gheddafi che chiede l'arresto di Netanyahu e di Gallant.
La conclusione del procuratore è, di fatto, un premio ad Hamas e all'Anp, che non ha mai preso posizione contro lo scempio del 7 ottobre e che all'80 % appoggia Hamas...
Addirittura il giorno dopo, l'Irlanda la Norvegia e la Spagna si accingono a riconoscere la Palestina come stato sovrano, autonomamente. Ma dove è – oggi – questo stato-from-the-river-to-the-sea, chi è il suo capo di stato, dove ha sede la sua capitale?
Viviamo tutto come una beffa, un oltraggio, dopo aver visto il filmato delle ragazze rapite, e mentre apprendiamo che i corpi di altri 3 ragazzi – che erano stati rapiti, da morti – sono stati recuperati dall’IDF e riportati in Israele.
In tutto questo, Israele, con il suo governo, deve prendere delle decisioni, per quanto dolorose possano essere; ma l'unica cosa che non può fare è rincorrere gli avvenimenti.
Il Corriere della Sera del 22 maggio 2024, a proposito dell’avvocato britannico Karim Khan, il Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale dell’Aja, che chiede l’arresto del Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu, del Ministro della Difesa di Israele Joav Gallant e di tre appartenenti di Hamas, rileva che, come avvocato, difese l’ex dittatore liberiano Charles Taylor, distintosi per il ricorso ai bambini soldati, agli stupri e alle uccisioni di massa; che è stato consulente di Sauf al -Islam, figlio di Gheddafi, tornato alla ribalta grazie ai mercenari della Wagner; che “il vero capolavoro giuridico è stata la sua assistenza legale a William Ruto” dittatore e Presidente del Kenya, accusato di massacri, il quale Ruto “si è dimostrato molto riconoscente, perché nel 2021 il nome dell’avvocato britannico è apparso un po’ all’improvviso nella lista dei candidati alla presidenza della Corte Penale Internazionale”. E sarebbe arrivato all’Aja per indagare su personalità esterne all’Africa e al Global South, come per esempio Benjamin Netanyahu. Ha battuto, per il posto che occupa, la concorrenza di Italia, Irlanda e Francia.
Intanto, da Torino, tempio della laicità, mi raccontano che nella cornice di manifestazioni quotidiane e di atenei occupati da oltre dieci giorni dall’«intifada studentesca» dei pro Palestina, è esploso il caso della presenza dell’Imam Brahim Baya a Palazzo Nuovo, tra le sedi occupate nell’Università di Torino.
Ad ascoltarlo una trentina di manifestanti e fedeli, molti di origine straniera. Il video è stato interamente pubblicato su internet con il titolo “Cosa ci insegna la Palestina” e ha suscitato posizioni di condanna da parte di alcuni professori che hanno parlato di un «inno alla Jihad». Mi scrivono che le sue parole stanno facendo discutere, in Italia, e che «l’imam in preghiera all’Università di Torino è un altro triste capitolo della “cancel culture” e di quel sentimento di “cupio dissolvi” in cui trovano rifugio una parte delle nuove generazioni».
E io, che cerco la Vita nelle cose che accadono, io, Ebreo praticante, leggendo che a un Imam è stato concesso di elevare la sua preghiera nei locali dell'Università di Torino, mi permetto di ricordare che, anni fa, a Joseph Ratzinger fu impedito di pronunciare una lezione all’Università La Sapienza di Roma, con la motivazione che l'università è laica.
Ma tant’è…
La foschia sul mare sembra, per una frazione di secondo, essere calata anche su di me: mi sembra di vedere mio padre, Abram, seduto sul lungomare, vicino a me, che mi guarda, in silenzio.
Vorrei dirgli: - Vedi, cosa è successo. Vedi, cosa sta succedendo…
Vorrei chiedergli cosa ne pensa… Lui, sopravvissuto al ghetto di Łódź e al campo di sterminio di Auschwitz.
Ma Abram tace, come ha taciuto per tutta la sua vita, mentre mi guarda con occhi colmi di amore e poi scompare nella foschia.
Già, l’amore.
Mi raccontano che, a Gaza, come qui, in Israele, le persone continuano a innamorarsi, a sposarsi, a mettere al mondo dei bambini.
E sì, non faccio fatica a crederlo.