Il Sonno della Ragione
Un pensiero di Solidarietà per il Gruppo Editoriale Betapress.it
C’è una parola, che dovrebbe appartenere al frutto acquisito della Storia, trasparente e matura, di cui oggi si fa abuso: si tratta della parola «Libertà».
Peccato che molti non stiano parlando della stessa «cosa», o meglio, che non si attribuisca a questa parola lo stesso significato, in sostanza, lo stesso valore.
Che cosa è andato storto?
Come è possibile che un improvviso velo oscuro sia calato sulle menti, ottenebrandole?
Come è possibile che quel dono fragile, umile, prezioso, ineliminabile, sia improvvisamente andato in frantumi – disperso in mille pezzi?
E fa male, è doloroso, leggere con quanta disinvoltura la parola «Libertà» sia usata, trascurandone – non si sa se volontariamente o per ignoranza – le valenze e le implicanze, perché la Libertà, come la Memoria, è «cosa» preziosa, fragile, delicata e importante.
Da Socrate e Platone in poi, si ragiona sul concetto di «Libertà».
Abbiamo capito che si tratta non di un concetto assoluto ma di un concetto relativo: esiste la «libertà da…», la «libertà di…»; abbiamo imparato che la libertà si deve eticamente rapportare con il mondo e, in questo mondo, ciascuno è, o dovrebbe essere, responsabile delle proprie scelte e delle proprie azioni.
Plotino, va oltre, e riconduce la libertà del volere non a un impulso, bensì «al retto ragionamento e alla giusta tendenza».
La libertà è, di solito e a ragione, invocata a proposito delle rivendicazioni e delle difese dei «diritti» dell’essere umano: diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, alla comunicazione, all’informazione, alla proprietà, al muoversi e all’associarsi, al difendere le proprie opinioni, al praticare il proprio culto religioso, e così via.
Meno di frequente, anzi mai, in questo periodo, la libertà è messa a confronto con la «Responsabilità»: responsabilità di fronte alle azioni compiute; responsabilità di fronte alle scelte fatte o da fare; responsabilità sulla verità di quello che si dice e sulle testimonianze che si rendono; responsabilità come dovere di rispondere delle proprie azioni, semplicemente e arrogantemente non rispondendo alle domande e alle richieste di quanti rimangono delusi, stupefatti, indignati, o rispondendo deviando, o cercando di deviare, l’attenzione su falsi problemi.
Si rimane toccati e coinvolti, o anche solo più consapevoli, attoniti di fronte alla totale mancanza di coerenza.
Ci si sente come traditi, nel profondo del nostro essere, delle nostre anime.
E assistiamo al dilagare dell’ignoranza, della mancanza di una cultura, anche minima, e dell’abuso di potere.
L’abuso dei poteri è prassi: fatti più o meno gravi sono volutamente ignorati: non se ne parla, o se ne parla il meno possibile, sperando che ci se ne dimentichi in fretta.
Se, per caso, si denunciano situazioni grottesche, ben oltre il limite del ridicolo, ci si difende dicendo: «È tutto un equivoco. Avete frainteso. Non mi avete capito».
Dobbiamo avere ben presente che la libertà è violata e impedita ogni volta che si ostacolano i diritti, e questo può essere fatto in tante forme, dalle più aperte e manifeste, a quelle più nascoste e insidiose.
A fronte di determinate situazioni e pur di preservare la propria sfera, il proprio «cortile dietro casa», spesso al singolo non interessa partecipare, preferisce rinunciare, tacere.
Ed è qui, in questa frattura, che altri si inseriscono abilmente.
Abilmente e senza scrupoli.
Il singolo è indotto a dimenticare che ognuno di noi è responsabile anche nei confronti di chi c’era prima, di chi c’è ora, e di chi ci sarà dopo.
Perché la storia non comincia da me.
Prima di me dovrebbe esserci sempre «l’altro» che mi interroga, a cui sono chiamato a rispondere.
Perché è in questa «tensione verso l’altro» che dovrebbe orientarsi l’agire umano, guidato da princìpi che, per quanto possibile, se pur relativi, tendano all’universalità.
In un libro di Hannah Arendt, «Tra passato e futuro», si considera la crisi in vari settori dell’agire umano, determinata da una lacuna (o frattura) nell’agire, che interrompe qualsiasi solco etico e morale sia stato tracciato dalla tradizione.
Hannah Arendt coglie questo aspetto, evidenziandolo con l’aforisma del poeta René Char «La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento», per indicare che il filo della tradizione si è spezzato e manca di continuità.
Ciò rappresenta un aspetto importante poiché permette di scoprire che cosa, e perché, è andato perduto nella voragine attuale, tra passato e futuro.
Negli ambiti in cui ognuno si muove e agisce, questa voragine rende ogni giorno di più qualcuno vittima e, se da questa voragine si «deve» uscire, in questa voragine, invece, qualcun altro sembra muoversi a proprio agio.
Barbara de Munari, Torino, 09 febbraio 2024