Addio Francoforte fiera senz’anima
Conformista, affogata nel politicamente corretto, chiusa al mondo.
Il bilancio amaro della Buchmesse secondo uno dei protagonisti.
Rieccoci alla Buchmesse, con l’Europa nuda davanti alle sue contraddizioni, la sua debolezza, la sua irrilevanza nel mondo. Dopo la già movimentata edizione del 2023, oggi a Francoforte noi scrittori siamo ancora più investiti dal vento freddo della storia e più soli di fronte a noi stessi, al ritorno delle frontiere e di un post-fascismo suprematista, per non dire a un collasso dell’economia e al rischio di un conflitto mondiale.
Per uno scrittore, non è più decente far finta di nulla. Specie per il figlio di un Paese come l’Italia, che è ospite d’onore di una fiera che è un riassunto del mondo. Mi si dirà che gli scrittori non dovrebbero impicciarsi di politica. Ma la politica è fatta anche di parole, e fino a prova contraria le parole sono il mestiere di chi scrive. Ebbene, mi accorgo che esiste già di fatto un’egemonia della destra sul piano verbale, un’egemonia tale che i partiti di governo sono costretti a inseguirla penosamente. Il che significa che, per vincere, la destra non ha nemmeno bisogno di trionfare sul piano politico. Victor Klemperer, nella sua analisi della lingua del Terzo Reich, ci spiega che le tempeste della storia sono annunciate sempre da una mutazione delle parole. E Karl Kraus, nella Notte di Valpurga, vede l’irruzione del totalitarismo già nella sostituzione delle parole complesse con le sigle e gli acronimi violenti del potere.
Sono tendenzialmente di sinistra. Ma non vengo alla fiera di Francoforte per accusare lo schieramento opposto. Penso che sia tempo perso. Ovunque la destra fa il suo mestiere di destra. Vorrei invece dire che cosa non va nella mia parte politica e cosa non abbiamo fatto, noi scrittori d’Europa, noi anime belle della letteratura, per evitare che questa deriva politica avvenisse. Ogni giorno mi chiedo quale arsenale di parole abbiamo fornito alla democrazia perché essa potess e esercitare una decente autodifesa. Poi constato che – salvo eccezioni – gli esempi di reale resistenza sono pochi.
È un fatto: quasi ovunque i partiti cosiddetti moderati e di governo mancano di narrazione. La democrazia è diventata il regno dello sbadiglio. Essa rischia di estinguersi da sé per assenza di emotività e impulso narrativo. I partiti di centro sembrano rifugiarsi nella gestione del potere, stile amministrazione di condominio, o in una maldestra imitazione dei proclami etno-nazionalisti. Quanto alla sinistra, la sento insuperabile nel de-costruire o partorire raffinate analisi, ma incapace di indicare una direzione maestra. Gli esponenti-tipo della sinistra sono saccenti, irritano il popolo facendo discendere su di esso le loro verità rivelate. Negli ultimi mesi, oltre che in Italia, ho viaggiato in Francia, Germania, Spagna, Belgio e altrove, per proporre al pubblico un racconto capace di rileggere la nostra alleanza federale come patria comune, e questo non con astratte filosofie, ma entrando nel mondo oscuro delle percezioni sensoriali fino a ricorrere al mito, come nel mio libro Canto per Europa. È stata una grande esperienza. Ovunque andassi, scoprivo quanto fosse facile arrivare alla gente con quel tipo di discorso, e quanto di conseguenza fosse grave il vuoto narrativo in cui la gente stessa era stata abbandonata.
Lì ho capito che il fenomeno Afd era anche il prodotto di quel vuoto e non semplicemente un ritorno dei “morti viventi”.
Discendeva dalla latitanza di un mondo democratico incapace di ascoltare le paure e le rabbie delle periferie (a partire dell’ex Ddr). Raccoglieva non solo pulsioni razziste, ma anche il voto di moderati stanchi dell’ultra-liberismo bellicista. E poiché le inquietudini dei cittadini, specie quella – comprensibile – di un pericolo islamista, anziché essere gestite, venivano rimosse come politicamente scorrette, esse finivano per essere usate dalla destra. E qui viene l’osservazione forse più interessante. Da scrittore, ho avvertito un impressionante trasloco a destra di parole-chiave. In Germania, dire Volk (popolo), Tradition (tradizione), Heimat (patria), o Identität (identità), puzza di nazismo. E così quelle parole, anziché essere “bonificate”, sono state consegnate al nemico, che ora se ne serve in esclusiva, col risultato di far apparire la democrazia nemica del popolo, della tradizione, eccetera. Persino Bruderschaft (fratellanza) è bocciata. Ma come si può fare a meno della fratellanza? Fraternité in Francia non è di sinistra? È in questo sciagurato abbandono che si inserisce la destra, appropriandosi del termine, come la destra di Giorgia Meloni che, guarda un po’, si chiama Fratelli d’Italia. L’appartenenza ai partiti democratici è spesso così scialba, opportunistica (e perciò priva di fratellanza), da spingere nell’oblio anche i termini-base della libertà. In Italia, cose come pace, lavoratori o rivoluzione. In Germania, Gleichheit(uguaglianza), Freiheit (libertà), Widerstand (resistenza), soziale Rechte (diritti sociali). Risultato? L’Afd li eredita, facendosene paladina; e a quel punto è libera di fare, nel suo programma, persino il restyling del termine nazionalsocialismo, ribattezzato socialismo patriottico. Che poi vuol dire la stessa cosa.
Le parole perdute non tornano più a casa, o, se tornano, sono passivamente riassorbite nella loro accezione di destra dalle nostre democrazie. A quel punto la deriva a destra può investire persino i nomi delle nazioni: Italia, Deutschland (Germania) o España (Spagna). Ma non è solo questione di parole. Alla destra sono stati consegnati anche pezzi dell’apparato simbolico progressista: in Germania è il caso di Erasmo da Rotterdam, a cui la Afd ha intitolato una sua fondazione, dopo che quella originale era stata lasciata esaurirsi. Come dire che il grande europeista ora è riletto come emblema del suprematismo germanico. Perché non si è impedito lo scippo? Dov’erano gli scrittori? Forse dormivano. E quando si sono accorti dello scippo, hanno alzato alte grida, ma con assoluto ritardo. È importante trovare le parole adatte a contrastare questa emorragia lessicale foriera di pericolose derive liberticide e capace di spingere l’Europa verso un nuovo feudalesimo. Bisogna fare in fretta, perché il rischio è di ridurci a un’accozzaglia di popoli uniti non da un sogno, ma soltanto dalla miserabile paura degli immigrati. Tutto questo con la prospettiva di ritrovarci con al vertice un monarca pronto a dare mano libera ai diversi paesi, in cambio di poteri illimitati per se stesso. In pratica, una riedizione dei Balcani. Se questo avverrà, non sparirà solo l’Europa, ma moriranno anche le nazioni che credevano di vivere una nuova primavera.
Cari fratelli tedeschi, nel mio Paese non fioriscono solo i limoni. È fiorito anche il primo governo post-fascista d’Europa, andato al potere senza bisogno di sangue e olio di ricino come accaduto nel 1922 quando vi abbiamo indicato, con Mussolini, la strada dell’inferno.
Questo, grazie a un’opinione pubblica in gran parte non fascista ma facilmente fascistizzabile, per la quale certi funerei rituali a braccio teso sono solo folclore. E così, il mio governo offre alle destre europee il modello di una penetrazione dolce nel ventre molle della democrazia. Senza rinnegare nulla delle sue radici, esso procede indisturbato con micidiali decreti contro la libertà, senza che questo sia avvertito dal resto d’Europa.
Siamo stanchi di analisti. Il momento richiede visionari – scrittori appunto – capaci di cogliere i segni del nostro possibile futuro. Cose come la foto che coglie l’intesa, piena di occhi dolci, tra la mia presidente del consiglio e il tycoon Elon Musk. Che c’entra, ti chiedi, la donna-simbolo della nazione con l’uomo che rappresenta al meglio il grande capitale apolide? Uno che nel cervello ha un algoritmo al posto dell’imperativo morale di Kant? Uno che non vede l’ora di mangiarsi in un boccone la nostra alleanza federale con tutti i fastidiosi ostacoli che essa mette al liberalismo sfrenato? Poi capisci. Musk dice a Meloni: honey, tu acceleri il ritorno delle nazioni e azzoppi l’Europa, e io ti metto a disposizione il mio apparato mediatico. Qualcosa, cioè, capace di addormentare la gente meglio della propaganda di Goebbels.
Post-fascismo e neo-liberismo, due modelli autoritari, che hanno bisogno uno dell’altro. È verso questo abbraccio fatale che stiamo andando?
Giornalista e scrittore italiano (n. Trieste 1947). Inviato speciale del "Piccolo" di Trieste, quindi editorialista di "La Repubblica", ha seguito gli eventi politici che a partire dagli anni Ottanta hanno prodotto profonde trasformazioni nell’area balcanica, pubblicando a seguito di questa esperienza il reportage Maschere per un massacro (1996), e successivamente ha documentato gli eventi bellici verificatisi in Afghanistan dal 2001. Appassionato viaggiatore di viaggi lenti e consapevoli, effettuati a piedi o con mezzi di fortuna, indagatore delle terre di confine e dei luoghi dimenticati, ha percorso itinerari sconosciuti al turismo di massa, soprattutto nell'Est europeo, nel profondo Nordest italiano, lungo il fiume Po. Di questo girovagare animato da ideali minimi e chiari, e degli incontri che ne sono derivati con un mondo di personaggi autentici e di territori strani e meravigliosi, ha dato conto con uno stile asciutto e fotografico, che non si compiace mai di sé stesso ma tende a restituire con immediatezza e semplicità il vissuto, in numerosi libri, tra cui occorre citare almeno: Danubio. Storie di una nuova Europa (1990); La leggenda dei monti naviganti (2007); Tre uomini in bicicletta (con F. Altan, 2008); L'Italia in seconda classe (2009); Trans Europa Express (2012); Morimondo (2013); Come cavalli che dormono in piedi (2014); entrambi nel 2015, La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna (da leggere soltanto ad alta voce) e Il Ciclope; Appia (2016); La regina del silenzio (2017); Il filo infinito (2019); Il veliero sul tetto. Appunti per una clausura (2020); Canto per Europa (2021); Una voce dal Profondo (2023); Verranno di notte (2024). Nel 2024 lo scrittore è stato insignito del Campiello alla carriera.