In Russia l'intero panorama dei media è distrutto.
Intervista con Katerina Abramova, responsabile della comunicazione presso Meduza.
Meduza è un media in lingua russa con sede a Riga (Lettonia).
Ha ricevuto il Premio di giornalismo franco-tedesco nella categoria “Premio speciale” nel luglio 2022.
Fondazione Robert Schuman, Intervista dall’Europa n°118, 12 settembre 2022.
Intervista realizzata da Stefanie Buzmaniuk.
[A cura di Barbara de Munari].
Quale ruolo giocano i media nell'informare la popolazione russa sulla guerra in Ucraina?
Nessun problema può essere risolto finché i cittadini non sono consapevoli dell'esistenza di questo problema. Se i media e i giornalisti indipendenti smettessero di dire la verità su ciò che sta accadendo in Ucraina, alcune persone sarebbero soddisfatte della propaganda di stato, altre non saprebbero nulla. Il governo russo pensava che la guerra non sarebbe durata più di sei mesi. Ma è ben lungi dall'essere breve e vittoriosa come Mosca aveva sperato, quindi la gente inizia a farsi domande. Alcuni analisti affermano che durante l'autunno alcune conseguenze si faranno sentire per i cittadini russi. Ad esempio, quando preparano i figli all'inizio dell'anno scolastico, devono pagare di più a causa dell'inflazione e delle conseguenze delle sanzioni. Per i media, è molto importante dare alle persone la possibilità di sapere ciò che veramente accade.
Perché hai scelto la Lettonia come luogo di esilio di Meduza?
Abbiamo lanciato Meduza in esilio otto anni fa, perché già allora era chiaro che il giornalismo indipendente non era il benvenuto in Russia. Per tutti questi anni, ci siamo preparati allo scenario peggiore. All'inizio non ci sentivamo in esilio: eravamo ancora liberi di andare e venire e alcuni reporter e giornalisti, che non volevano trasferirsi, vivevano ancora in Russia. Era come se avessimo semplicemente scelto di fondare un'azienda in un paese europeo per motivi come la sostenibilità, ad esempio. Anche la vicinanza ha contato molto nella scelta del luogo. Inoltre, è stato conveniente lavorare a Riga perché è una città di lingua russa: il 40% dei cittadini parla o almeno capisce il russo. Se uno dei nostri giornalisti non parla inglese, per lui è più facile adattarsi alla vita qui. È un posto molto carino in cui vivere, piuttosto che in una grande metropoli.
Otto anni fa, ritenevi che la libertà di espressione in Russia fosse limitata?
È stata limitata dopo che Putin è divenuto presidente. Dapprima il potere ha iniziato a emettere leggi contro i canali televisivi, poi contro altri media indipendenti. Il settore è stato limitato lentamente, passo dopo passo. Ciò è divenuto ancora più evidente dopo l'annessione della Crimea e dopo l'inizio della guerra nell'Ucraina orientale.
Ora che sei a Riga, puoi scrivere liberamente? La censura russa ti impedisce di fare il tuo lavoro?
Otto anni fa credevamo che le leggi repressive russe non avrebbero influenzato i media europei. Ma, ovviamente, tutto è cambiato. L'anno scorso siamo stati designati come "agenti stranieri" e abbiamo perso tutti i nostri contratti pubblicitari in Russia perché le società avevano paura di essere associate a qualcosa di politico e indesiderabile. Dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina, Mosca ha imposto la censura sull’argomento guerra. Non siamo autorizzati a fare reportage in Russia. La nuova legge riguarda tutti. Molti media internazionali, ad esempio BBC e Deutsche Welle, hanno trasferito i loro team fuori dalla Russia. La questione non è più dove sei registrato. La cosa più spiacevole è essere etichettati come “organizzazione indesiderabile”. Questo può avvenire per qualsiasi fondazione, qualsiasi media, internazionale o russo. Per i media russi, questo significa che qualsiasi giornalista indipendente, qualsiasi esperto che faccia un commento, non necessariamente sulla guerra o su un tema politico, ad esempio chi scrive di architettura, sia considerato membro di un'organizzazione indesiderabile. E ciò può essere
classificato come un reato penale. Non è ancora successo, ma sappiamo che potrebbe succedere. Questo va a toccare tutto il nostro lavoro e, più in generale, la nostra struttura. Certo, siamo russi, abbiamo passaporti russi, i nostri genitori, famiglie e amici sono all'interno del paese. Ciò ci colpisce molto da vicino.
Anche questo fa parte della guerra ibrida condotta dalla Russia?
Questo fa certamente parte della guerra condotta contro i media indipendenti. Oggi, in Russia, l'intero panorama dei media è distrutto. Ci sono giornalisti che continuano a fare il loro lavoro e a resistere, ma se parliamo del mercato dei media in generale, esso è distrutto.
Potresti dirci qualcosa di più sull'attuale panorama dei media russi?
Il 4 marzo il Parlamento russo ha approvato una legge che prevede una pena detentiva fino a quindici anni per la diffusione d’informazioni "false" sull'esercito. Da allora, il Ministero della Difesa è l'unica fonte considerata affidabile per quanto riguarda la guerra in Ucraina. Per i media indipendenti, era la fine. Da quel momento in poi le organizzazioni hanno preso varie decisioni: alcune hanno deciso di andare in esilio e continuare il loro lavoro; altre hanno deciso di fare lo stesso, ma hanno smesso di pubblicare per un po', perché non solo hanno dovuto trasferire il proprio personale, ma anche ricostruire la propria struttura, trovare denaro e mezzi di diffusione. Ad esempio, Novaya Gazeta ha cessato di pubblicare a marzo e la sua licenza è stata revocata... la scorsa settimana. Il team ha lanciato un nuovo media, Novay Gazeta Europe. Per i canali televisivi è ancora più complicato, perché le trasmissioni richiedono molte apparecchiature e sono quindi molto costose. Alcuni giornalisti hanno deciso di non scrivere o di non scrivere più sulla guerra in sé, ma sul suo impatto sociale o su altri argomenti correlati, per continuare il loro lavoro all'interno del Paese. Ognuna di queste decisioni è difficile e non esiste una risposta ideale poiché le circostanze di ciascuna organizzazione sono diverse. Trovo incoraggiante che molti giornalisti e reporter continuino a svolgere il proprio lavoro, a volte nell’anonimato.
Ci sono ancora voci dissenzienti in Russia?
Sì, ci sono giornalisti che hanno deciso di restare nel Paese e fare il loro lavoro.
Funziona?
È difficile e il rischio di essere arrestato è molto alto. Abbiamo anche esempi simili con politici indipendenti.
Quali sono le tecniche utilizzate da Meduza per dire la verità in Russia sulla guerra in Ucraina?
Prima di tutto, abbiamo reporter in Ucraina e lavoriamo con giornalisti indipendenti anonimi in Russia. Ci sono ancora giornalisti ucraini disposti a collaborare, ma ci sono anche russi che vogliono sostenerci e lavorare con noi. Siamo ancora molto legati alla Russia e siamo fortunati che i mezzi di comunicazione online siano così diffusi ai nostri giorni. Inoltre, prestiamo molta attenzione al giornalismo d’inchiesta, al controllo dei dati e alle inchieste basate sui dati. La guerra in Ucraina è un caso unico, perché è particolarmente digitale: tutto è disponibile sui social network, ci sono molte informazioni, foto scattate dallo spazio, etc.. Ovviamente è difficile distinguere tra ciò che è falso e ciò che non lo è. Ma abbiamo accesso a una grande quantità di dati. Ad esempio, la ricostruzione del massacro di Bucha, minuto dopo minuto, passo dopo passo, è un'esperienza che noi giornalisti non avevamo mai fatto prima.
La guerra va avanti da più di sei mesi: pensi che la popolazione russa sia divenuta più ricettiva alle informazioni al di fuori della propaganda russa?
Alcuni esperti dicono che i russi guardano meno la televisione. Ma non sono sicura che sia uno dei motivi per cui la gente non crede alla propaganda. Penso che sia principalmente a causa dell'estate e perché la gente è stanca delle notizie legate alla guerra. Come giornalisti, lo percepiamo. Lo vediamo anche nel nostro pubblico. Le persone che vogliono conoscere la verità in Russia, che hanno accesso alle informazioni, sono esauste. Allo stesso tempo, rispetto alle prime settimane e mesi di guerra, la gente non crede più che tutto sia vittorioso.
Molte persone hanno contatti con profughi, alcune riviste pubblicano testimonianze di soldati. Ascoltano le loro storie, ma, anche dopo, alcuni di loro pensano ancora che sia propaganda. Gran parte della popolazione pensa ancora che la Russia stia cercando di salvare gli Ucraini. Ci sono anche persone che non credono per nulla nei media. Era lo stesso durante la pandemia di Covid: non è che non credono ai media indipendenti e credono alla propaganda, o non credono alla propaganda e si fidano dei media indipendenti. Semplicemente non si fidano più di nessun tipo di media e di informazione.
Qual è la tua impressione sulla copertura mediatica europea della guerra in Ucraina?
Ci sono molti sondaggi di qualità. Molti giornali hanno squadre eccellenti che lavorano sull'argomento e fanno reportage sul campo. Tutto ciò che vediamo, è molto professionale. È molto più complicato con la copertura della situazione interna russa. All'inizio della guerra, con la copertura mediatica sulle sanzioni economiche, molte voci dicevano che con insistenza e un po' di pressione i Russi avrebbero capito che qualcosa non andava, che avrebbero fatto una rivoluzione per fermare la guerra. Ma non funziona così. La situazione interna della Russia è molto più complessa.
In che modo i cittadini russi sono colpiti dalle sanzioni e come ne parlano i media russi?
Tutti i media russi parlano molto delle sanzioni. I media indipendenti si concentrano principalmente sulla situazione economica in Russia. Ma, a dire il vero, le conseguenze non sono ancora molto visibili. I prezzi sono sempre più alti e alcuni prodotti sono scomparsi. È sgradevole, ma non brutale e le persone sopravvivranno. Le vere conseguenze si faranno sentire in seguito.
Come si possono tutelare il giornalismo e la libertà di espressione in tempi di guerra e di conflitto?
È una buona domanda. Non so come si possa tutelare la libertà di espressione in Russia. È un po' tardi e, per il momento, non si tratta di proteggerla, ma di "giocare a nascondino". Se parliamo di soluzioni diverse, essendo tutto così digitalizzato e avendo chiunque accesso a Internet, ci deve essere una soluzione digitale in modo che le persone in Russia che vogliono ricevere informazioni dispongano di strumenti più sofisticati per questo scopo. Si tratta anche di supporto internazionale, di ciò che stanno facendo i cittadini dei diversi paesi europei. C'è molto sostegno per le persone che lasciano il Paese, per coloro che cercano di continuare il loro lavoro in esilio. E penso che sia anche saggio utilizzare le informazioni provenienti dai media russi, a condizione, beninteso, che si tratti di fonti affidabili.
La solidarietà europea era molto visibile all'inizio della guerra, ma con le sfide legate alla situazione economica e all'approvvigionamento energetico, il sostegno potrebbe indebolirsi. In che modo pensi che il giornalismo possa aiutare a mantenere la solidarietà?
Questa non è la vocazione del giornalismo. Il problema è complesso. La gente è stanca della guerra. C'è meno entusiasmo nel sostenere l'Ucraina. Le persone vogliono essere informate su altri argomenti. I giornalisti dovranno trovare un modo per mantenere le persone interessate alla guerra, perché è assolutamente chiaro che durerà a lungo.
Hai l'impressione che la propaganda russa stia prendendo piede anche nelle società europee?
Dipende molto da paese a paese. Per illustrare come opera la propaganda russa attraverso l'industria dei media, posso prendere l'esempio della Lettonia, dove c'è una popolazione di lingua russa. Dopo l'indipendenza del paese, l'attenzione si è spostata sulla creazione di contenuti in lettone, il che è del tutto comprensibile. Ma i cittadini di lingua russa si sono sentiti abbandonati e hanno iniziato a guardare a ciò che stava accadendo in Russia. Non perché avessero un interesse particolare per il Paese, ma perché volevano avere anche contenuti in russo da leggere. A poco a poco si sono persi nella televisione russa, poi nella propaganda russa, e ora ci vuole molto tempo per recuperarli. Come giornalisti, dobbiamo impegnarci a produrre un contenuto di qualità per tutti, a trovare le parole, il linguaggio e le forme appropriate, a preparare i cittadini a fronteggiare la propaganda russa.
Che cosa riserva il futuro per il panorama dei media russi?
Nulla cambierà per molto tempo. Saremo sempre in esilio e i prossimi anni non saranno molto piacevoli. E poi, con un po' di fortuna, avremo l'opportunità di ricostruire tutto da capo. Sarà un viaggio lunghissimo per l'intero paese. La cosa più importante, e anche la più pericolosa, è non perdere il contatto con ciò che sta accadendo all'interno della Russia. Perché rischiamo di scrivere di qualcosa che non conosciamo o non capiamo più. Per noi è molto importante rimanere in contatto: i mezzi di comunicazione digitali e il fatto che il mondo sia molto più connesso ci aiuteranno in questa missione.