VERITÀ E POST-VERITÀ
di Alain de Keghel
Traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari
Nel nostro universo con le sue sfaccettature a volte sorprendenti, anche in ciò che costituisce o dovrebbe rimanere uno spazio protetto ed eccezionale, come quello di un Ordine Iniziatico, il nostro quindi, può essere interessante occuparsi del capolavoro di George Orwell 1984, scritto nel 1949, come specchio ghignante e deforme della nostra società contemporanea. Perché è, a dir poco, rivelatore vedere a qual punto oggi i riferimenti siano a volte plastici e come le idee diventino contorte in un momento in cui i punti di riferimento ideologici ed etici sembrano confusi. Di là dal brutale totalitarismo e dalla profezia orwelliana che ci annunciava coloro che avrebbero bandito i libri, le mie osservazioni - ispirate da una nuova e recente lettura del lavoro nelle università americane - mirano a suggerire che questo libro ha veramente aperto il dibattito sulla verità. Orwell mette in discussione l'umanesimo diversamente da come aveva osato Aldous Huxley prima di lui, con Le meilleur des mondes, pubblicato nel 1932, un'altra grande distopia della prima metà del XX secolo1. L'annullamento della realtà, la sua falsificazione sistematica e permanente fa scomparire le nozioni stesse di veridicità e di verità. Così ecco la Neolingua, lingua ufficiale dell'Oceania - un derivato dell'inglese la cui grammatica e lessico sono stati distrutti per rendere impossibile esprimere pensieri sovversivi - o anche il "doppio pensiero" - questa disposizione che permette di credere una cosa e il suo opposto simultaneamente, e che rende possibile l'inversione del significato delle parole. La casistica ne è un modello per eccellenza.
Il Grande Fratello non proclama forse: "L'amore è odio" o addirittura “La libertà è schiavitù”? Troviamo qui la tradizione o il modello letterario di Jonathan Swift, autore de I viaggi di Gulliver2. Ciò che interessa Orwell e che qui appare in qualche modo nella sua dimensione umanistica, «sono i meccanismi mentali e intellettuali attraverso i quali un potere, qualunque esso sia, può catturare i pensieri degli individui e farne una caricatura». Il saggista Bruce Bégout3 rende omaggio all'umanesimo di Orwell ispirato da ciò che ha osservato durante la guerra civile spagnola con la sfiducia del Partito comunista nei confronti degli intellettuali. E da parte mia, quando si tratta di definire i rapporti tra fatalità e libertà, tema che è anche in definitiva al centro della riflessione di Orwell, mi rifaccio volentieri a un'ispirazione spinozista. E qui citerò Éric Vuillard che in L'ordre du jour4 scrive: «Ciò che sorprende [...], è la faccia tosta, per cui una cosa va ricordata: il mondo cede al bluff ».
Soffermiamoci un attimo sulla "post-verità", in inglese "post-truth", un concetto apparso surrettiziamente intorno al 2005. Tuttavia, ha preso piede solo nel 2016 grazie a due scadenze politiche, di portata prima europea e poi mondiale: la BREXIT, risultante dal referendum del 23 giugno 2016, era stata preceduta da una campagna elettorale, il vero primo campo di applicazione di un'impostura che è stata pudicamente addobbata con il termine di “post-verità”. Secondo il più che rispettabile dizionario di Oxford, questa espressione significa «relativo a circostanze in cui i fatti oggettivi hanno meno influenza sulla formazione dell'opinione rispetto all'appello alle emozioni e alle convinzioni personali». I Gesuiti potrebbero dire con falsa modestia che siamo in piena casistica. Il fenomeno è abbastanza significativo, a giudicare anche dai suoi effetti nell'elezione di Donald Trump negli Usa, l'8 Novembre 2016, e vale la pena dargli un'occhiata più da vicino. Infatti, noi stiamo assistendo proprio a una generalizzazione di questa norma della “post-verità”. Essa stravolge fondamentalmente il nostro ambiente e i valori su cui facciamo affidamento5. Alla base del lavoro di informazione ci sono i fatti che sono riportati, valutati, analizzati e presi in considerazione come tali. Nell'era dell'informazione "post-verità", la verità non è più sempre il valore di base. I fatti non sono più fondamentali. I personaggi pubblici possono ormai, come abbiamo visto nella BREXIT e nella campagna Trump, diffondere consapevolmente notizie false senza alcun riguardo per la verità e traendone profitto.
Di là dai media, quindi, l'informazione "post-verità" riguarda anche attori politici, o perché essi potrebbero essere tentati di farvi ricorso, o perché ne saranno loro il bersaglio. Essa pone una nuova sfida etica in un universo di consumo comunitario dell’informazione, attraverso "bolle cognitive", dove ognuno si rinchiude nelle sue convinzioni. La grande sfida che la “società post-verità” rappresenta in definitiva, è quella della credibilità dell'informazione che è al cuore del funzionamento democratico di fronte ai social network e al senso critico dei cittadini. Ma anche la credibilità della ricerca scientifica medica non sfugge al fenomeno dei “piccoli accordi con la verità”. Il sito americano Retraction Watch lo ha recentemente rivelato, al punto che «la frode scientifica preoccupa le aziende farmaceutiche per le quali ogni molecola rappresenta una scommessa del valore di diversi miliardi» [...] perché «anche gli scienziati onesti non esitano a prendere una scorciatoia o ad abbellire un po' i loro risultati per ottenere una pubblicazione in un grande giornale6».
Così per noi Massoni che aspiriamo ad acquisire delle verità in loggia e a diffonderle per contribuire alla vita della società civile e al progresso dell'umanità, è necessaria più che mai una riflessione sulla nostra capacità di raggiungere sempre questo obiettivo e la sua etica. Qui si pone davvero la questione dell'esemplarità, dell'integrità intellettuale e della morale irreprensibile. Siamo per la prima volta di fronte all'emergere di una sfida che nessuno aveva immaginato. Essa non ci risparmia e ci minaccia per via del mimetismo.
Quale ricerca conduciamo in Loggia? Quella della Verità.
La Verità che il Massone cerca è diversa dalla verità ricercata dagli uomini di fede, dagli uomini di scienza e dai filosofi?
Verità del Massone, verità del filosofo, dell'uomo di scienza... potremmo aggiungere la verità del giornalista, del medico, del soldato, del droghiere, del ciclista campione, che ne so.... perché la questione della verità ci pone di fronte direttamente al mito del concetto di presunta univocità della parola nel linguaggio discorsivo. Georges Lerbet ci ha lasciato le sue riflessioni su questo argomento e noi ce ne siamo appropriati avidamente. Perché l'argomento deve, per definizione, essere al centro della nostra filosofia se vogliamo conservare una credibilità.
Esiste una sola Verità o esistono tante verità quante sono le persone che pronunciano questa parola? La parola verità ha anche un significato o è solo una forma artificialmente idealizzata di un miscuglio di certezze narcisistiche, di rivelazioni, di validazioni, di probabilità, di verifiche sperimentali, di alta probabilità e di legge dei grandi numeri?
La verità potrebbe essere quindi solo un'altra nuova invenzione alla Platone? Nell'aforisma 5 del suo Crépuscule des idoles, Nietzsche scrive:
... io cerco di capire da quale idiosincrasia sia potuta nascere questa equazione socratica: ragione = virtù = felicità.
Inoltre, cosa dice Baudelaire nell'epilogo incompiuto dei suoi Fleurs du Mal, se non:
O voi siate testimoni che io ho fatto il mio dovere,
Come un chimico perfetto come un'anima santa.
Perché ho estratto la quintessenza da ogni cosa,
Tu mi hai dato il tuo fango ed io l'ho trasformato in oro.
Per lo studio di questo tema della verità, e più precisamente di essa nell'Ordine, si dovrebbe tentare di analizzare le caratteristiche delle rispettive verità della filosofia e della scienza, concentrandosi su una griglia di analisi basata sulle nozioni di linguaggio e di trasmissione. Lo spazio-tempo che ci è assegnato oggi non si presta a ciò. Peccato!
Sarà però necessario determinare la verità del massone; lo studio, ovviamente, cambierà dimensione. Non si tratterà più della verità, ma di una verità... purché sia anche quella. Non si tratterà più di concetto ma di simbolo. Sorge poi inevitabilmente la questione della generalizzazione di questa verità: la verità del Massone è solo sua e se sì, si può ancora parlare davvero di trasmissione nell'universo massonico? E che dire di quella da diffondere nella società civile? Ma ancora un'altra domanda: può la verità essere travestita dal Massone sulla base del fatto che serve a un obiettivo, il suo scopo o anche la sua stessa ambizione. Ovviamente no. Dominique Jardin ci ha illuminato a suo modo sulla lettura che egli suggerisce in merito al principio di Auctoritas.
Ma guardiamo anche alla verità scientifica. È quella del coerenza di un sistema formale iniziato da assiomi e dominato dal linguaggio della logica e della causalità, cioè dal discorso. Gli assiomi di partenza, integrati e arricchiti da un metodo, fatto di regole, teorie e teoremi conducono a un sistema complesso ma sempre logico. La verità scientifica è quindi, in questo modo, necessariamente duale. Qualsiasi discorso è sia vero sia falso. Per essere riconosciuto come vero, basta che possa essere dimostrato secondo un'equazione relativa al gioco della logica e della causalità. Per quanto complesse possano essere le dimostrazioni, esse sono solo conseguenze razionali degli assiomi originali.
E che dire della verità del filosofo?
In origine, scienza e filosofia erano una cosa sola e una sola disciplina, l'ideale greco era quello di costruire un grande sistema da cui si potessero dedurre tutte le leggi che regolano il comportamento degli oggetti empirici.
In filosofia, ancor più che altrove, le proposizioni sono organizzate in un sistema, in modo che, con ogni sistema, le parole fondamentali si colorano di sfumature diverse: quindi la parola libertà non ha lo stesso significato in Cartesio, Spinoza, Bergson o Sartre. È dalle relazioni reciproche tra i termini che questi assumono il loro significato, ed è dalla coerenza del sistema che se ne giudica la verità.
Già nel III secolo a.e.v. Eubulide di Mileto aveva posto le basi della critica del linguaggio causale dicendo: «Se il bugiardo dice 'sto mentendo', dice la verità?». Tutto dipende dal quadro di riferimento in cui ci poniamo, tutto dipende dalla mia comprensione dei termini, ogni validità causale dipende solo da ME e da me solo.
Allora dunque che dire della verità del massone?
Finora, ciò che fa rifiutare le verità della Scienza e della Filosofia è il rifiuto di obbedire a un sistema e al linguaggio che lo costituisce, è l'ambizione di non accettare, come recita l'articolo 2 della dichiarazione di principio del convento di Losanna, alcun limite alla ricerca della Verità. Abbiamo scoperto i limiti del linguaggio discorsivo lasciandoci guidare ancora da Georges Lerbet, io qui non ho fatto altro che usarlo.
Ma non è nella nostra cultura il ricorso alla via simbolica? Essa non è univoca. Il simbolo non è la concretizzazione, nella materia e nello spirito, di questo famoso numero Tre. Ciò che crea l'insufficienza del linguaggio discorsivo è che postula fin dall'inizio la dualità tra significante e significato. Il Due non è opporre la luna e il sole, l'uomo o la donna, ma è cercare di far esplodere le visioni semplicistiche, manichee e profane in una molteplicità di materie elementari, che sole permetteranno la vera costruzione del Tre.
Ecco il lavoro principale del Massone, sgrossare la pietra grezza e scoprire il Due là dove si credeva di vedere solo l'Uno. "Fare domande con un martello" avrebbe detto Nietzsche.
Tuttavia, la ricerca del Due non può accontentarsi del morbido cuscino del dubbio, come dice Montaigne, questa ricerca è un divenire, un perfezionamento.
Evocando le verità della scienza, della filosofia e poi della Massoneria, io, in perfetta malafede, ho volontariamente aggirato l’oggetto della presentazione. Esempio illustrativo di "la mia verità"... Perché ciò che unisce la verità dell'uomo di scienza o la verità dell'uomo di filosofia, non è la verità, è l'uomo.
Perché volete divenire massone? chiede il sorvegliante, Perché ero nelle tenebre e desideravo la luce, risponde l'apprendista.
Questo desiderio di luce, di ricerca della verità e della vita è ciò che Nietzsche chiama l'eterno ritorno dell'identico nel Crépuscule des idoles. Il pensiero del ritorno autorizza la trasmutazione di tutti i valori, i valori non sono eterni, non più di quanto siano passato o futuro, vivono come un presente cui un altro presente può succedere.
La tradizione non trasmette nulla, si limita a proporre.
Chiedete e riceverete [la luce],
Cercate e troverete [la verità],
Bussate e vi si aprirà [la porta del Tempio].
Questa è la tradizione; c'è qualcuno dietro la porta e il lavoro non sarà vano. Quale altra trasmissione, allora, se non quella di mantenere questa voglia di cercare, un po' come la legge fisica della conservazione dell'energia che vuole che una palla da biliardo che ne colpisce un'altra la metta in moto.
Noi siamo tutte quelle palle da biliardo che si scontrano e non ci trasmettiamo altro che questa energia di desiderio, di lavoro e di speranza.
Non è anche ciò che si chiama, tra i massoni, la Fraternità?
Un altro elemento della ricerca massonica è la trasmissione.
Quale trasmissione?
Si dice spesso che la trasmissione massonica è quella di un metodo, ma come si può pensare di volere trasmettere un metodo, quando la mia pietra è quella della parete sinistra dell'edificio e la tua è quella della chiave di volta? Quando la mia pietra è di roccia calcarea e la tua è di granito rosa? La forma è la stessa? Sicuramente no. La Massoneria non è una religione. Essa è ricca delle nostre diversità, lo sappiamo bene.
Diciamo poi che la trasmissione è quella degli strumenti, ma a cosa servono gli strumenti se non c'è voglia di usarli o se il loro uso è corrotto?
Ogni Massone conduce e persegue la propria ricerca iniziatica in Loggia. Egli sa che, sebbene una tale ricerca sia infinitamente intima e personale, non è solo. Accanto a lui, i suoi Fratelli e le sue Sorelle svolgono, ciascuno per proprio conto, una ricerca simile ma diversa. E i dibattiti regolamentati che si svolgono all'interno dell’officina permettono, in ordine e serenità, di beneficiare dei progressi che l'uno o l'altro ha potuto raggiungere. Quindi, per un Massone, l'approccio è contemporaneamente personale e collettivo. Questa è l'unicità dell'Arte Reale. A patto di non deviare dal cammino.
Questa presentazione può sembrare piuttosto astratta e richiederebbe alcune precisazioni in merito ai due concetti eminentemente scozzesi di ORDO e CHAO. Volendo descrivere in poche parole l'approccio dei Massoni e in particolare degli Scozzesi, si tratta di andare verso l'Ordine (o Cosmos, o Ordo), per liberarsi dal Chao (o Chaos). In altre parole, abbandonare la confusione del molteplice (Chao) per tendere all'unità (Ordo).
Per concludere, citerò Hölderlin: “Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”. Che si sappia come appropriarci di questo precetto facendo la scelta di vivere attenendosi a questa forma di etica del rischio e dell’interrogativo, lungi da quello che ho chiamato beffardamente, lo avrete ovviamente compreso, “l'umanesimo di Orwell”, così lontano soprattutto dalle “post-verità” che fioriscono oggi.
Note
1 Cf. « Relire 1984 à l'ère de la post-vérité », in L'été des livres, Le Monde, 21 juillet 2017. Cf. 2 2 ROSAT (Jean-Jacques), philosophe et éditeur, spécialiste de l'œuvre d'Orwell.
3 Cf. BEGOUT (Bruce), professeur de philosophie à Bordeaux-3, qui a publié De la décence ordinaire (Allia, 2008).
4 VUILLARD (Éric), L'ordre du jour, Actes Sud, Paris, 2017, Prix Goncourt 2017.
5 Cf. « Les risques de la société "post-vérité" », éditorial, Le Monde, 3 janvier 2016.
6 Cf. HECKETSWEILER (Chloé), «Recherche médicale: petits arrangements avec la vérité », Le Monde, 29/30 octobre 2017