INTERVISTA A UN POLIZIOTTO
Barbara de Munari (Torino), Giornalista – Presidente e Direttore editoriale di ETICA A.C (Torino)– intervista Alessandro Yoram Nathan Scuderi – Ispettore Superiore di Polizia in quiescenza (Catania).
Non è facile presentare una personalità importante, schiva e complessa come quella di Alessandro Yoram Nathan Scuderi, Poliziotto sì, ma, prima di tutto e al disopra di tutto, Uomo.
Alessandro Scuderi, infatti, è Poliziotto, ma è anche un artista, ama la musica jazz, e non solo quella, disegna splendidamente, coltiva tutta una serie di hobby speciali e scrive, bene, anzi benissimo.
A riprova di questa sua versatilità d’ingegno, come scrittore Alessandro Scuderi appare per la prima volta in veste di co-autore nel 2018, collaborando con due scritti preziosi e delicati: “Le mura vuote” e “Le Rose di Terezin” all’Opera collettiva Un mondo che non dimentica. La Shoah, di Cesare Israel Moscati, ©ETICA, Torino, 2018.
Nel 2021 cura, con rara sensibilità, intuito e intelligenza, la Prefazione al libro La Storia di Hannah, di Emanuele ben Israel Moscati e Barbara de Munari, ©ETICA, Torino, 2021.
Nel 2020, compare come protagonista ed estensore della Postfazione al libro A un passo da Provenzano, (di Giampiero Calapà, ©UTET, Torino, 2020 – anche in Audiolibro, © 2021 Storyside ), di cui parleremo più avanti nel corso di questa intervista, dedicato alla sua attività di Ispettore della Squadra Mobile di Catania, negli anni oscuri seguiti agli omicidi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.
Il suo curriculum vitae è rilevante e ammirevole:
Nel 1980, nei ranghi della Marina Militare, consegue il brevetto di Demolitore Ostacoli Antisbarco del Btg. San Marco.
Nel 1985 consegue il Brevetto di Paracadutismo-Abilitazione lancio da velivolo G222.
Dal 22 maggio 1986 al 31.12.1987 e fino al 9.1.1991, presta servizio di volontariato presso il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana.
Dal maggio 1988 all’aprile 1992 svolge servizio presso la Questura di Palermo - Squadra Mobile, nelle Sezioni 3^ (Antirapina/Falchi) e 6^ (Catturandi), facendo contestualmente parte del Nucleo Eliportato di Pronto intervento, con la qualifica di Agente.
Dal maggio 1992 è assegnato alla Questura di Catania, Ufficio Servizi – Reparto Scorte.
Dal maggio 1992 a settembre 1992 svolge servizio presso la Squadra di P.G. del Commissariato P.S. “Centrale”.
Dal settembre 1992 all’ottobre 1993 svolge servizio presso la Squadra Mobile di Catania - Sezione 2^ (Omicidi), con la qualifica di Agente.
Dal 18.08.1993 al 04.07.1994 svolge servizio presso il Centro Operativo D.I.A. di Catania, con la qualifica di Agente Scelto e Vice Sovrintendente.
Dal maggio 1994 all’ottobre 1998 svolge servizio in qualità di Coordinatore, presso la Squadra Mobile di Catania, Sez.2^ (Omicidi) e 3^ (Antirapina), con la qualifica di Sovrintendente, Vice Ispettore ed Ispettore.
Dall’ottobre 1998 al novembre 2005 svolge servizio in qualità di Coordinatore presso la Squadra di P.G. del Commissariato P.S. “Borgo-Ognina”, con la qualifica di Ispettore ed Ispettore Capo.
Dal 7 novembre 2005 al 31.10.2019 svolge servizio presso la Squadra Mobile di Catania Sez. 5^ (Antiestorsioni e Contrasto alla criminalità economica- reati contro la P.A.), in qualità di Coordinatore, con la qualifica di Ispettore Capo e Ispettore Superiore.
Ha ricevuto:
nr.3 Encomi solenni, nr.5 Encomi, nr.7 Lodi per meriti di servizio di Polizia Giudiziaria e nr.5 Premi in denaro e Parola di lode, concessi dal Capo della Polizia;
Medaglia d’Oro al merito di servizio;
Medaglia di Bronzo per merito di servizio;
Croce di Argento per anzianità di servizio;
Parola di lode del Questore di Catania;
Elogio concesso dal Sindaco di Ragalna (CT) per il servizio prestato nello svolgimento delle attività connesse all’ “Emergenza Etna” del 21 novembre 2002;
Attestato di Benemerenza concesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dip.to della Protezione Civile per il servizio svolto nell’ambito dell’“Emergenza Etna 2002”;
Assegnazione del premio “Polizia Amica – Oltre le investigazioni, vicino alle vittime” - Conferito da Confedercontribuenti ed A.N.V.U. (Associazione Nazionale Vittime Usura) in data 29 marzo 2016, presso Palazzo Chigi, Sala della Regina in Roma.
Ha svolto:
Incarico di Docente interno per i Corsi di Aggiornamento Professionale del Personale della Polizia di Stato, in ordine alla tematica: “Reati con finalità di Terrorismo – Normativa di Contrasto al Terrorismo – La Cooperazione Internazionale di Polizia per il Contrasto al Terrorismo ed all’estremismo violento” – 2017, 2018, 2019.
Lo ringraziamo dunque per avere voluto concederci questa intervista, consapevoli di cosa rappresenti per lui, abituato al silenzio, parlare un po’ di se stesso.
Barbara de Munari
La Natura ti ha messo a disposizione tutta una serie di talenti…
Eppure tu hai scelto di Essere (non di fare il) Poliziotto.
Cosa c’è all’origine di questa scelta?
Cosa ti ha spinto a decidere di entrare in Polizia?
Alessandro Yoram Nathan Scuderi
Ho sempre sentito una sorta di trasporto emotivo verso la Polizia. Indubbiamente l’Istituzione esercitava un certo fascino nella mia immaginazione in realtà; ma è stato su input di mio fratello Enrico, consapevole del fatto che non ero soddisfattissimo del mio lavoro, presso una nota compagnia di autonoleggio, nonché della delusione di non avere continuato in Marina Militare, a consigliarmi di presentare istanza di partecipazione al concorso del 1984.
“Sei nato con l’uniforme tu”, mi disse…
BdM
La tua famiglia di origine ti ha influenzato in qualche modo?
Tuo padre è stato contento della tua scelta?
Quali insegnamenti ti ha dato tuo padre prima della tua entrata nel corpo di Polizia?
AYNS
No, la mia famiglia non mi ha incoraggiato, né mi ha condizionato in alcun modo. Mia madre avrebbe preferito che andassi in Guardia di Finanza, poiché mio nonno lo era.
Mio padre era contento? Sì… però mi consigliò di leggermi “I Viceré” di Federico De Roberto. Sul momento non ne compresi il nesso; poi, a lettura finita di questo capolavoro della letteratura italiana, gli chiesi perché me lo avesse consigliato e quale fosse il collegamento con la mia scelta. Come sua abitudine, mio padre (Timoleone è il suo nome) fu lapidario… “Sappi che non è cambiato nulla”. Aveva ragione.
BdM
Tu hai scritto:
“L’unica volta in cui mi sono sentito solo, fu il giorno in cui venne a mancare mia madre. Una desolazione interiore, come una sorta di mutilazione, una lobotomia dell'anima...”.
Ti senti ancora così? Vuoi parlarne?
La madre ha spesso una valenza, conscia o inconscia, positiva o meno, fondamentale per la crescita e lo sviluppo della personalità armonica ed equilibrata di un essere umano…
AYNS
Sono molto geloso della mia sfera privata, specie degli affetti; comunque sì, mia madre (Teresa è il suo nome) è stata, al pari di mio padre, una presenza di assoluto riferimento. Ha rappresentato un universo parallelo; una sorta di bolla di protezione, ma al tempo stesso non mi ha risparmiato la crudezza e la materialità dell’essere umano. Mi mancano molto entrambi tuttora. A mio padre devo la passione per l’equitazione, a mia madre quella per la musica.
Sono stato un figlio fortunato.
BdM
Tu sei molto legato alla tua terra d’origine, la Sicilia, e qui hai svolto la tua attività.
Ti sarebbe piaciuto poterla lasciare e fare il Poliziotto altrove?
AYNS
Sì, mi sarebbe piaciuto lavorare molto di più all’estero e cimentarmi precipuamente di antiterrorismo. Comunque sia, l’impegno diuturno che mi ha “costretto” alla lotta al crimine organizzato, che sempre più spesso s’interseca con i traffici illeciti tipici delle formazioni terroristiche, mi ha consentito di maturare un’esperienza di particolare spessore. Lo dico senza falsa modestia.
Posto ciò, svolgere questa professione in Sicilia è diverso che farlo altrove, e il motivo è fin troppo semplice; è estremamente difficile farlo. La Sicilia è un microcosmo a parte, i siciliani lo siamo. Peraltro, lavorare in una Squadra Mobile come quella di Palermo e Catania, ti forgia per qualsiasi esame.
Seguire le tracce dei picciotti di Cosa Nostra, ti obbliga a seguirli ovunque, in ogni parte del mondo; è come una vera e propria battuta di caccia senza soluzione di continuità, ed il terreno di combattimento è il pianeta Terra.
Fare il poliziotto altrove non avrebbe fatto di me il poliziotto che sono divenuto.
Una parziale soddisfazione, circa il mancato trasferimento all’antiterrorismo, l’ho comunque ricevuta da una mia Dirigente che ritenne utile che facessi da Docente interno per l’aggiornamento professionale del personale della Polizia di Stato, nel contesto del “Contrasto al terrorismo nazionale ed Internazionale, odio razziale, etnico e religioso, Collaborazione tra le Forze di Polizia Europee ed internazionali”.
Condussi così tre anni di docenza (2017 – 2019) sul tema “Reati con finalità di Terrorismo - Normativa di contrasto al Terrorismo - La cooperazione Internazionale di Polizia per il contrasto al Terrorismo e all'estremismo violento”.
Anche questa è stata un’esperienza formativa e umana non comune, non ordinaria.
BdM
A tale proposito, riportiamo qui un brano del tuo “Diario di un Poliziotto” (Inedito, NdR):
“Il momento si avvicina, ed è dietro l'angolo, tra pochi mesi appenderò le manette al chiodo. Decenni trascorsi a inseguire ladri, assassini, trafficanti e mafiosi, si dissolveranno con la consegna della dotazione personale e una firma che mi risulterà essere pesantissima. Non sarà indolore, lo so bene, ma sarà giusto così; il capitolo deve essere chiuso e un altro dovrà essere iniziato.
In questi ultimi anni mi è stato dato l'onore di essere premiato in Parlamento, nel luogo simbolo della nostra Repubblica, della nostra democrazia, alle quali ho giurato fedeltà a 19 anni.
In questi ultimi anni mi è stata data la possibilità di essere docente di una materia delicata come la discriminazione razziale e il terrorismo, inclusa la lotta ad esso in tutte le sue forme, e di ciò sono molto grato ai miei superiori.
Mi auguro di avere dato tutto ciò fosse nelle mie possibilità e ancora per pochi mesi lo farò. Se mi guardo indietro e volgo lo sguardo al mio passato di poliziotto, di uomo dello Stato, provo emozioni contrastanti. Luci, ombre, squarci di gioia, ma anche dolore struggente.
Vedo me esultare per un successo e vedo me piangere.
Vedo i miei colleghi e i loro abbracci, come ci esaltavamo alla cattura di un assassino e come cantavamo felici nelle cene, appositamente organizzate.
Ma quanti amici mi sono lasciato dietro?
Tanti, troppi, ragazzi e ragazze come me, che hanno creduto in ideali chiari, forti, indiscutibili, granitici.
Difendere la gente, difendere lo Stato.
Tra tutti mi tornano spesso in mente, in notti insonni e tra incubi che si perpetuano, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Rivedo me in lacrime su un divano, sui piedi del letto o sotto la doccia.
Il tempo di riprendere fiato e sullo specchio mi vedo osservare da Agostino Catalano. Emanuela Loi, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina...
Quando al mattino trovo il tempo di radermi e non so come affrontare una giornata che sarà durissima, penso ai miei figli ed all'esempio che devo dargli, che gli ho dato e che sempre gli darò...
Ma minchia se è stato duro e difficile.
Mi viene in mente il caro Filippo Raciti e quelle parole che risuonarono sinistre, quel maledetto pomeriggio..."Se torniamo".
Penso anche a tutti quei mentecatti, venduti e vili, che hanno offeso il sacrificio di tutti noi e le vite dei meno fortunati, che hanno tradito indossando un’uniforme che non meritavano nemmeno di toccare.
Tra essi mi scorrono i nomi di questi bastardi, che probabilmente finiranno i loro giorni nei loro letti, ma li tengo per me ed i miei improperi...
Verrà dunque il giorno in cui mi dovrò ancora sedere dinanzi ad una Corte e riferire in qualità di Ufficiale di P.G. in quiescenza, ciò che ho visto, ciò che ho fatto.
Tra pranzi saltati, panini consumati sul cofano di una volante o su di un tetto o magari in attesa ai piedi di un carrubo.
Notti lunghissime, giorni consumati tra la tensione stretta nei denti e tanta paura; panico mai.
Non ci è mai appartenuto.
Scorro le pagine di questo diario e vedo le macchie del caffè e la cenere dei miei sigari; vedo la traccia di una lacrima e il sorriso di mia moglie alla quale sarò sempre debitore per l'amore e l'incoraggiamento donatomi, nei momenti bui, nei momenti più tristi, nei momenti...
Adesso tutto mi appare più chiaro, netto, dai contorni precisi e stagliati sullo sfondo di un’avventura meravigliosa, di una lotta senza quartiere, di una Sicilia ora assorta e stanca, ora orgogliosa e fiera.
Vedo, adesso vedo cose che prima non notavo.
I veri amici, i veri poliziotti, i veri magistrati, i veri uomini, le vere donne.
I miei occhi raccolgono dati e informano il mio cervello che distribuisce ricordi al cuore, alla mente, allo stomaco. Questi occhi hanno visto tanto, forse anche troppo, ma hanno visto la verità.
Ecco, la verità; per essa mi sono battuto, e non è andata sempre bene, lo so.
Ma come mi disse una volta un mio istruttore alla Scuola Incursori del Varignano, quando ero un leone alato del S. Marco, "O si vince o si impara. Non si è mai sconfitti".
Beh, grazie a quelle parole non ho mollato mai la presa. Qualche volta mi è rimasto solo un drappo tra le dita, ma ci ho riprovato senza sosta...
Se vi ho annoiato, abbiate considerazione di un vecchio soldato che vede, sente e prova sensazioni a egli estranei e parla e racconta, per tutte le volte che è dovuto rimanere in silenzio.
Ma avrebbe voluto urlare a squarciagola che ‘la dignità non è negoziabile’ (papà docet) ...”.
Una grande, bella, potente dichiarazione di amore per la tua terra, per la tua professione, per il tuo prossimo e per i tuoi “brothers in arms”.
Spesso le cose non sono andate come sarebbero dovute andare, come era logico e si sperava che andassero: hai visto la Morte in faccia, hai visto il Male incarnato, cosa ti senti di aggiungere a circa due anni da questo scritto?
AYNS
In verità, a novembre sono tre anni dal mio congedo…
Cosa mi sento di aggiungere?
Direi proprio nulla; non vorrei peccare di presunzione, ma credo stia tutto scritto in questo estratto del mio Diario.
Ho visto molte volte la morte e molte volte il male, in tutte le loro tragiche varianti; ma nonostante tutto il buio attorno, non abbiamo mai spesso di cercare anche una fioca sorgente di luce.
Non si esce indenni da decenni di lotta alla mafia, è impossibile; quindi sto cercando di disintossicarmi ancora oggi.
Certo, l’amore per la mia terra aiuta, lenisce un po’ il dolore patito, ma non fa scomparire le cicatrici.
BdM
Tu vivi sulle pendici di un vulcano (l’Etna) – la Montagna – come si dice dalle vostre parti… A pochi passi da quella che fu la casa di Franco Battiato, che tu ami moltissimo. Questa vicinanza ti ha in qualche modo influenzato, anche nello stile di scrittura?
Quanto ti sei sentito idealmente vicino a lui negli anni trascorsi in un contatto ideale tra la lava e le ginestre piegate dal vento?
Hai detto che Il Bardo di Franco Battiato ti rappresenta moltissimo.
Perché proprio Il Bardo? Vuoi parlarne?
Esistono altre sue musiche e testi alle quali ti senti legato o dalle quali ti senti rappresentato?
AYNS
Cercherò di spiegare il fortissimo legame che ci obbliga, l’Etna e me, ad appartenerci fatalmente e fisiologicamente.
Quando marinavo la scuola, lo facevo quasi esclusivamente per correre sulle sue pendici, con ogni mezzo disponibile. Amo il suo vento, i suoi tremori, le sue esplosioni, il suo borbottio, il suo fuoco uscire dal suo ventre e, a volte, il suo silenzio ancestrale. Da casa mia ho la fortuna di vedere da sud est il mare e da nord ovest a Muntagna… Lancio una sbirciatina e mi faccio il caffè con la moka, mi sento soddisfatto, è tutto lì dove l’ho lasciato ieri, e sono pronto a un nuovo giorno.
Battiato? Eh, avrei tanto da dire e da raccontare, ma, come ho già detto, istintivamente alzo una sorta di muro tra ciò che mi sta a cuore (e significa qualcosa per me) ed il mondo esterno. La musica, ma non solo, di Franco Battiato, ammettiamolo, non è per tutti. Cercherò di spiegarmi meglio; amo i brani meno conosciuti tra tutti; scruto l’animo più interiore dell’artista.
Il documentario e il libro Attraversando il Bardo: sguardi sull’aldilà prodotti e curati entrambi da Battiato, non interessano a chi “sventola bandiera bianca”… Non so se mi sono saputo spiegare.
Credo in ciò che lui afferma in quasi ogni suo brano; sono un convinto assertore della geometria frattale del cosmo attorno a noi e dentro di noi. Punto di riferimento culturale, raffinatissimo, radioso, disarmante per semplicità e complessità insieme.
Mi ha condizionato? Mi ha ispirato? Credo sia evidente, o almeno lo spero; mi è servito da ispirazione, mi ha invitato alla meditazione, all’ascolto dell’anima, la propria e l’altrui.
Con assenza assoluta di tristezza, esattamente come egli stesso amava ripetere, sto imparando lentamente, al passaggio. Lo ritengo necessario.
BdM
Recentemente hai scritto:
“La ricerca della propria identità, almeno spero, dovrebbe essere la principale motivazione di ogni giovane uomo o giovane donna che inizia il proprio percorso di crescita.
Nutrirsi di sapere e di conoscere, induce a una ricerca certamente non più veloce, ma più selettiva.
Il progetto che fu anche mio, quando da ragazzo di belle speranze mi affacciavo nel mondo, era quello di raggiungere uno stato di soddisfazione e di felicità che fosse concepibile e in equilibrio con la società che mi circondava e della quale ero parte.
A volte il percorso si complica a causa di avvenimenti che non vorremmo succedessero, come i lutti o le malattie, oppure i trasferimenti forzati; a volte, altri avvenimenti aiutano a procedere senza intoppi.
Durante tutto il tragitto ci si pone un’infinità di domande, un interrogativo segue l'altro, procurandoci spesso delle insicurezze, dei dubbi, delle perplessità. I giovani, oggi come ieri, hanno pure il diritto di sbagliare, di cadere, di inciampare, di ferirsi…”.
Cosa ti senti di insegnare, cosa vorresti dire, spiegare e narrare ai giovani di oggi, resi probabilmente confusi e incerti di fronte a un futuro certamente non costruito da loro e per loro?
AYNS
Grazie a D-o non ho alcuna presunzione a riguardo; non ho una preparazione tale da indicare soluzioni o consigli ai giovani; potrei tuttavia mostrare loro il metodo da me usato, quindi esattamente le parole di cui sopra… nutrirsi di sapere, ciò potrebbe immunizzarli da falsi miti e da miraggi pericolosi.
Ma devono andare con i propri mezzi, a tentoni, ma sempre con i propri mezzi; devono disilludersi e incantarsi, devono ferirsi e produrre balsami miracolosi per se stessi.
È la vita, devono percorrerla, sia in sentieri tortuosi e insidiosi, sia in autostrade veloci, e altrettanto pericolose.
Ma se proprio dovessi dare un consiglio (ma uno solo), è quello che ho dato ai miei figli. Due paletti, due azimut: etica e morale, ma che sia la loro etica e la loro morale, sia chiaro.
BdM
Hai scritto:
“Non mi vergogno, mi sono commosso ed ho pianto.
È accaduto in almeno due occasioni in cui sono stato invitato per parlare di mafia e terrorismo.
Per un irrazionale senso di colpa che mi porto dietro da decenni, mi chiedo come sia stato possibile che sia uscito fisicamente indenne da quel segmento di vita operativa in cui mi sono ritrovato dalla fine degli anni '70 a poco meno di due anni fa... Quando cedo al ricordo delle giovani vite spezzate dei miei colleghi e dei miei commilitoni, mi si soffoca un singhiozzo in gola, senza riuscire a trattenere almeno una lacrima.
Una vita di asprezze e di durezze non è riuscita a impermeabilizzare il mio cuore dal dolore.
Ci dovrò convivere per sempre; credo di meritarmi almeno questa debolezza...”.
È un po’ come il senso di colpa dei sopravvissuti… in generale a qualche evento luttuoso, in particolare ai campi di sterminio nazisti.
Con queste parole ti concedi la debolezza (forse l’unica) del ricordo e del dolore.
Vuoi commentare?
AYNS
Come accennato poc’anzi, il dolore si può lenire con il tempo, ma anche con l’introspezione e la meditazione. Le cicatrici rimangono, come è giusto che sia, atteso che è accaduto ciò che le ha procurate e nulla accade per caso.
Ma quando l’occhio cade sulla carne, o il pensiero sullo spirito o la memoria ferita sul passato nefasto, il dolore riemerge. È del tutto inutile cercare di soffocarlo; deve essere compreso, tollerato, confortato esso stesso. Questo è il mio modo di conviverci. È il solo modo con il quale riesco a metabolizzarlo ed esorcizzarlo. Anche il dolore va porto con delicatezza…, scrissi da qualche parte.
Il senso di colpa di essere sopravvissuto ai tuoi amici e commilitoni, ancora mi accompagna; non voglio più reprimerlo come ho tentato per tanti anni, prima…
Un giorno anche questo mi verrà svelato. Nessuno mi ha costretto ad andare in prima linea, se non il senso del dovere. Mai avuto ripensamenti, quindi di che dovrei lamentarmi? Se mi scappa la lacrima, con lo stesso decoro con cui l’ho lasciata scorrere, ne asciugherò la traccia.
La rabbia piuttosto, di cui non mi è stato chiesto nulla, quella è la scheggia impazzita dei miei pensieri neri. Essere stato mandato in un campo minato, dove le mine le avevano messe, anche, indegni esseri con la mia stessa uniforme, ma non con i miei stessi ideali, evidentemente. Ed anche per questo ringrazio D-o di essere arrivato qui, fisicamente indenne.
BdM
Hai scritto:
“Solenne e silenzioso si avvicina un altro Santo Shabbat.
Coglierà qualcuno di noi pronto ad accoglierlo e qualcun altro distratto, ma il Santo giorno giunge puntuale per tutti.
Vorrei dedicare giusto un pensiero a coloro che lo trascorreranno senza preghiera, senza candele accese, senza challah, senza vino, senza Kiddush tra le labbra.
È successo anche a me, per varie ragioni, di non aver potuto accogliere Shabbat degnamente, così come i padri dei padri dei nostri padri ci hanno tramandato; è successo più volte, ma non avrei voluto.
Mi sono sentito in colpa ogni volta e non sapevo darmi pace, finché ho creduto di avere risolto il travaglio interiore con un pensiero.
Sì, un pensiero.
Quando ho ritenuto che voi tutti foste attorno alle vostre tavole, ho chiuso gli occhi ed ho ripercorso tutte le fasi della Santificazione dello Shabbat.
Non avevo candele, non avevo challah, non avevo vino.
Ma le mie labbra erano impercettibilmente mosse dalla sacra benedizione...
La fede era in me e questo mi bastava per essere meno infelice. Shabbat Shalom le kullam”.
È molto bello e non è stato facile, certamente, essere Ebreo osservante e contemporaneamente essere Poliziotto.
Ce ne vuoi parlare?
AYNS
La mia sfera religiosa è blindata. Sono Ebreo, punto. Ciò che ho scritto, in una data occasione, sullo Shabbat (e sopra illustrato), esprime perfettamente tutto. Ma è limitato a un particolare contesto, e sono consapevole che il suo significato ed il suo messaggio intrinseco, siano comprensibili sino in fondo, solo ad altro Ebreo.
Per non sembrare troppo “ispido”, in realtà sono solo geloso e riservato, nonché estremamente discreto a riguardo; uso la definizione che il mio Morè utilizzò in una occasione simile:
“… posso dire che lo Shabbat è come Natale per i Cristiani, solo che noi lo festeggiamo ogni settimana…”.
Aggiungo brevemente che ho avuto il pregio di collaborare con Cesare Israel Moscati (zl”) con due testi, che, come tema, hanno la Shoah e con Barbara de Munari che mi ha reputato degno (chissà perché) di pubblicare il suo libro con la mia Prefazione; ciò non fa di me che un semplice amico, ammiratore di entrambi, su un tema che certamente mi coinvolge emotivamente. Tutto qui.
BdM
Concludiamo tornando alla nota di apertura, con la quale ti abbiamo presentato anche come scrittore e come protagonista di un libro che parla di te: A un passo da Provenzano di Giampiero Calapà.
In questo libro, dalla stagione più oscura del braccio di ferro fra Stato e mafia, quella che seguì gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, seguendo piste ormai abbandonate, si dipana una vicenda contraddittoria, lungo trent’anni di storia italiana, fra uomini senza pietà, complesse operazioni di polizia, depistaggi e trattative, in una Sicilia rurale votata al sangue, nelle cui masserie si nascondono criminali inseguiti da decenni...
Si tratta di una storia che ha rischiato di rimanere nell'oblio, mentre costituisce un altro tassello di quel terribile mosaico costituito dagli anni novanta, tra le stragi e la trattativa Stato - mafia, un mosaico che dopo più di vent'anni attende ancora di essere decifrato nella sua interezza.
Si parla di Bernardo Provenzano, detto “ ’u Tratturi” dai nemici, “zu Binnu” dai sottoposti, “il Ragioniere” dagli inquirenti, è un uomo con molti nomi e quasi senza volto, capace di restare nell’ombra per quarant’anni e, nell’ombra, in grado di comandare.
Prima del suo arresto, avvenuto nel 2006, pochi conoscono la sua faccia, nessuno vuole descriverla, tutto ciò che si ha, è una vecchissima foto.
Eppure tu, Alessandro Scuderi, ispettore della squadra mobile di Catania, hai in mano un identikit, di una fedeltà impressionante, sin dal 1997.
Lo hai ricavato seguendo le indagini sull’omicidio di Luigi Ilardo, un collaboratore di giustizia che aveva portato il R.O.S. a un passo dal numero uno di Cosa Nostra.
Com’è possibile che il volto fantasma di Provenzano fosse stato descritto e disegnato quasi dieci anni prima della sua cattura? Perché nel 1995 il R.O.S. non agì per arrestare Provenzano?
Perché, pochi anni dopo il ritratto ottenuto da te, Scuderi, quella pista tratteggiata con perspicacia e duro lavoro, non fu ritenuta credibile?
Il libro ricostruisce la storia di come il poliziotto Scuderi si sia districato seguendo piste ormai abbandonate, mettendo insieme un quadro complesso d’indizi, fino a identificare il volto del nemico, e di come, storia nella storia, la sua microstoria, con le sue vicende professionali, si incroci e si leghi con la macrostoria delle vicende di Cosa Nostra.
La storia di questo sbirro, dei misteri in cui s’imbatte, della caparbietà con cui li affronta e delle porte in faccia che riceve, è un pezzo di storia italiana.
Cosa vuoi ancora dire, completare, riaffermare a questo proposito?
AYNS
Il libro che Giampiero Calapà (bontà sua), mi ha voluto dedicare tratta di tre episodi fondamentali e storici, circa la lotta la mafia (quella vera, non quella da rotocalco per intenderci), che mi hanno visto protagonista mio malgrado: l’arresto di Totuccio Contorno, il tentato attentato contro Giovanni Falcone all’Addaura e l’indagine, soffertissima, sull’omicidio di Luigi Ilardo.
Molti non si rendono conto dell’importanza di questo omicidio eccellente, ossia di quanto esso sia collegato alla c.d. “Trattativa Stato-Mafia”.
Nessuno sa che già dal 1996 avevo in mano, disegnato da me stesso, l’identikit di Bernardo Provenzano, del tutto somigliante al truce personaggio e completamente diverso da quello diffuso pubblicamente.
Strano, vero?
Mi chiedete perchè il R.O.S., nonostante le precisissime indicazioni dell'infiltrato Luigi Ilardo, non abbia arrestato Bernardo Provenzano. Beh, ci sarebbe anche da chiederci perché il R.O.S., ovvero sempre gli stessi uomini del R.O.S., non abbiano proceduto alla perquisizione di Riina Salvatore (mi riferisco al covo da dove lo hanno visto uscire...), e sarebbero gradite anche alcune spiegazioni circa il mancato arresto di Nitto Santapaola a Terme Vigliatore, esempio macroscopico di negligenza investigativa.
E perché no, meriterebbe un approfondimento la nebulosissima vicenda del riferito suicidio del Maresciallo Antonino Lombardo (Comandante della Stazione Carabinieri di Terrasini), e guarda caso sempre la stessa squadra del R.O.S., in qualche modo presente.
E comunque io risalirei al rapporto sul riferito “incidente sul lavoro” occorso a Peppino Impastato, rimasto ucciso, secondo tale informativa, dall'ordigno che egli stesso stava collocando sui binari della tratta Cinisi-Palermo, importantissimo obiettivo strategico del povero fondatore di Radio Aut.
C'è un – nemmeno tanto sottile – filo tragico che lega un manipolo di Ufficiali del R.O.S. a tutti gli episodi testé ricordati.
Ne scrive dettagliatamente il P.M. Pasquale Pacifico, all'epoca Sostituto Procuratore della D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Catania, in seno alla lunga e dettagliata requisitoria del citato omicidio Ilardo.
Lo scrive dettagliatamente l'ex P.M. Di Matteo, della D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Palermo, in seno alla requisitoria della c.d. “Trattativa Stato-Mafia”.
Beh, un giorno, in Corte di Assise a Catania, m’intrattenni pochi minuti con un Questore, mio vecchio amico, e gli chiesi...: “Ma secondo te, se tutte queste stronzate le avessimo fatte noi due, che fine avremmo fatto?” . La risposta del Questore non posso riferirla alla lettera, ma in buona sostanza mi disse che saremmo stati sodomizzati e messi alla gogna.
Concludo con un brevissimo racconto, di quella volta che accompagnai il fotoreporter Francesco Nicosia in un tour siciliano alla scoperta dei covi dei latitanti di Cosa Nostra (vedi numero 46 di aprile-giugno 2021 della rivista "il Reportage"). Incoraggiai Nicosia a recarsi presso il covo in località Contrada Fodacazzo (Mezzojuso - PA) che fu di Provenzano (ed anche del boss Benedetto Spera, arrestato nel medesimo sito il 30 gennaio 2001!); bene, sappiate che vi riuscì senza alcun aiuto da parte mia, sebbene fossi presente, ma solo con le indicazioni che il Colonnello Riccio (cui Ilardo si affidò per le sue preziose rivelazioni) ricevette da Ilardo, tratte dalle memorie dell'ex Ufficiale che si trovano in rete. Laddove il R.O.S. di cui sopra fallì, riuscì un bravo fotoreporter...
Ora, vedete voi, fate delle ricerche, e vedrete che i nomi sono sempre quelli. Badiamo bene, sono stati tutti assolti dalle accuse del dott. Di Matteo, e le sentenze vanno accettate e rispettate. Io sono tra quelli, e siamo tanti, che, pur accettandole e rispettandole, non ci credono affatto. Anche perché, nonostante tutti gli strafalcioni operativi sopra riportati, tutta questa linea di comando del pur prestigioso Reparto dell'Arma, transitarono "per punizione" ai Servizi Segreti, così come puntualmente indicato dal P.M. Pasquale Pacifico, nella requisitoria che permise alla Corte di Assise di Catania di comminare ben quattro ergastoli, convalidati in Appello e Cassazione, contro mandanti ed esecutori dell'omicidio di Luigi Ilardo.
Grazie all’aiuto di pochissimi colleghi e del P.M. Pasquale Pacifico, siamo riusciti a fare comminare la pena dell’ergastolo a quattro mafiosi di rango, responsabili sia come mandanti sia come esecutori materiali dell’omicidio, senza una pacca sulla spalla… e con tanto amaro in bocca.
In verità, e per onestà intellettuale, mi è stato riconosciuto l’encomio solenne, rifiutando di conferirmi la promozione per meriti speciali, perché “non ho corso pericoli per la vita”. Contraddicendo tale tesi, il Questore di Catania ha ritenuto che da pensionato mi fosse concesso il porto d’armi da difesa, proprio perché soggetto ritenuto sotto potenziale rischio di vendette e ritorsioni.
BdM
Il tuo racconto, rapido e senza entusiasmi, porta in scena personaggi e vicende che sono state raccontate poco o mai, prima d'ora, con i personaggi "minori", spesso gli emarginati o i puniti, o gli sconosciuti, spesso gli eroi di una lunga contesa che dura intatta.
Il libro di Calapà paga anche molti debiti agli eroi quasi sconosciuti dell’ininterrotta e spesso non trionfante lotta alla mafia, ma non registra entusiasmi e non proclama vittorie, mentre la guerra continua, con i suoi tempi e i suoi luoghi, con i suoi personaggi e i loro intrighi, tra i pentiti, con i loro immensi rischi e le loro incurabili ambiguità, e lo Stato.
E alla fine della tua Postfazione al libro “A un passo da Provenzano” scrivi:
“… Come non poter chiedere scusa per tutte le assenze e le mancanze, e tutti i baci e gli abbracci sottratti ai miei figli? Hanno avuto un padre poco presente forse, ma di cui non doversi vergognare mai. «La dignità non è negoziabile»: queste poche e granitiche parole mi sono state scolpite nella mente da mio padre. Indelebilmente”.
A questo punto, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
AYNS
Programmi futuri? Coltivare finalmente le mie passioni e stare finalmente accanto alla mia famiglia; però mi piacerebbe pubblicare una raccolta di miei disegni e di miei scritti, così, tra una raccolta di funghi, una seduta in poligono e una passeggiata a cavallo.
Così, appunto.
Drammatico e disarmante.
Schivo, Dignitoso e Umano.
Un Poliziotto Siciliano.