È incontestabile il fatto che l’Autore conosca perfettamente questo argomento. Egli ha potuto intrecciare numerosi contatti negli Stati Uniti, da un lato in quanto diplomatico di carriera e, sotto un altro aspetto, cosa ancora più difficile, come massone. Membro a vita della Scottish Rite Research Society (Giurisdizione Sud degli Stati Uniti), è stato per molto tempo venerabile di una loggia affiliata al GODF, la Loggia Lafayette 89 all’Oriente di Washington, quasi una scommessa – tenuto conto dell’assenza di relazioni ufficiali tra la massoneria anglo-sassone e la massoneria latina dal 1877, data alla quale il GODF ha soppresso dalle sue “Constitutions” l’obbligo di credere nell’ “immortalità dell’anima” per esaltare la libertà di coscienza.
L’autore traccia anzitutto un affresco storico della massoneria americana, citandone i padri fondatori, Benjamin Franklin ed in modo particolare George Washington, e dunque l’inizio dello scozzesimo, il che lo conduce ad affrontare la figura emblematica di Albert Pike: può dispiacere un eccesso di benevolenza nei confronti di questo artefice superiore del rito scozzese che tuttavia rifiutò senza il minimo scrupolo le logge nere di Prince Hall: il contesto segregazionista del XIX secolo non giustifica tutto… Ma non è questo l’essenziale, perché l’argomento del libro sono le dinamiche in gioco della massoneria contemporanea negli Stati Uniti, con qualche accenno al Québec. L’Autore le affronta in profondità e con grande finezza.
Egli inizia con il descrivere la specificità delle Gran Logge americane, studiandole con una prospettiva geo-politica e ponendole a confronto con la massoneria francese. Ricordando l’alleanza franco-americana durante la Rivoluzione d’America, incarnata dall’amicizia leggendaria dei due massoni Washington e de Lafayette, celebrata quest’anno grazie all’ “Hermione”, narra con lucidità le relazioni tumultuose tra le obbedienze francesi e americane. Ci ricorda che fino al 1859 i Supremi Consigli delle Giurisdizioni Nord e Sud degli Stati Uniti mantenevano relazioni con il Grand Collège des Rites del GODF. Queste relazioni iniziarono a degradarsi quando il GODF ed il Supremo Consiglio di Francia incoraggiarono la creazione degli organismi degli alti gradi a New York e soprattutto in Louisiana nel 1832, dunque molto prima della rottura ufficiale del 1877. Le grandi idee (nel caso specifico l’obbligo di credere in Dio) mascherano a volte considerazioni molto più terra terra, cioè problemi di concorrenza in materia di affiliazione, sempre che non si tratti anche di politica imperialista.
L’Autore spiega bene le specificità della massoneria americana, molto sorprendenti per i massoni francesi: il divieto fatto da Anderson nelle sue celebri “Constitutions” di parlare di religione o di politica è interpretato alla lettera e, spinto alle sue estreme conseguenze, rende di fatto impossibile qualsiasi scambio di opinioni in loggia, qualunque sia l’argomento affrontato. L’anti- massonismo del quale sono state vittime tutte le logge americane in seguito all’ “affaire Morgan” del 1826 ha ulteriormente accentuato l’estrema prudenza e la diffidenza dei fratelli. Nelle logge americane non si discute in merito al concetto di società, né in merito a concetti filosofici o simbolici. È il concetto stesso di scambio di opinioni che pone problemi. Da qui discende, riportando una formula esplicita dell’Autore, una sorta di mancanza di sincronicità delle logge in rapporto alla società civile. Questo disinteresse per i problemi della società spiega in gran parte l’invecchiamento della massoneria americana. Gli argomenti di riflessione sono inesistenti, i lavori si svolgono secondo “una liturgia perfettamente collaudata”, solo le agapi permettono scambi un po’ meno asettici tra i fratelli. I giovani sono sempre meno attirati dalle logge, senza contare che metà della popolazione ne è comunque esclusa: le donne non sono tuttora ammesse dai fratelli americani. Statistiche alla mano (più di quattro milioni di membri negli anni 1960 contro circa un milione e mezzo attualmente – vedere le tavole sinottiche annesse), l’Autore analizza le cause del declino, oltre ai due fattori precedentemente citati. Per molto tempo le logge, nella tradizione americana dei “club service”, hanno sostenuto finanziariamente ospedali e case di riposo per anziani. A causa della diminuzione dei loro effettivi, e dunque dei loro mezzi finanziari, ma anche per il miglioramento delle prestazioni mediche grazie ad Obama, questa dimensione caritativa ha rivestito minore importanza. Inoltre, le logge continuano a rimanere sostanzialmente impermeabili ai nuovi flussi migratori, essenzialmente costituiti da popolazioni latino-americane.
La presenza massonica francese, per quanto discreta, non fu trascurabile. Ebbe la sua inaugurazione con la loggia “L’Atlantide”, fondata nel 1900 a New York dal GODF. L’esistenza della “George Washington Union”, obbedienza mista sin dalla sua costituzione, ben prima del GODF con il quale aveva firmato una convenzione, membro del CLIPSAS (e dunque aderente totalmente al principio di laicità), stabilita attualmente a Washington ma anche a San Francisco, dimostra che la massoneria liberale ha un certo potere di attrazione per alcuni Americani. Da parte femminile, la GLNF non è riuscita a stabilirsi in maniera durevole, contrariamente alla “Grande Loge Féminine de Belgique”.
Ancora attualmente, le Gran Logge americane, come la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, considerano le obbedienze francesi, ad eccezione della GLNF, come “irregolari”. Così come, in nove Stati, le Gran Logge nere di Prince Hall non sono sempre riconosciute. Tuttavia l’Autore intravede, a ragione, alcune evoluzioni. I riavvicinamenti si operano soprattutto, molto progressivamente, per il tramite della ricerca universitaria. Così, la Gran Loggia della California finanzia il centro di ricerche di Margaret Jacob, storica della massoneria mondialmente riconosciuta, come chi scrive queste righe ha potuto constatare di persona. Inoltre la Gran Loggia di California introduce nelle sue logge determinati argomenti di riflessione sulla società, preoccupandosi di “instaurare uno spirito civico” al di fuori del Tempio. Forse è questo il motivo per cui, contrariamente alle altre Gran Logge, i suoi effettivi sono attualmente in continuo aumento. Infine, non è certo un caso che il suo già Gran Maestro, John L. Cooper, che si è battuto per il riconoscimento della massoneria nera nel suo stato, sia il redattore della postfazione di quest’opera.
La lettura del Libro Le Défi maçonnique américain è indispensabile per tutti coloro i quali si interessano alla massoneria americana. Lo sguardo che le rivolge Alain de Keghel non è né freddo né compiacente. L’autore non si interessa unicamente alle istituzioni massoniche, ma anche ai suoi attori. Questa visione equilibrata permette al lettore di giudicare in maniera libera ed autonoma.
Incontestablement l’auteur connaît parfaitement son sujet. Il a pu nouer de nombreux contacts aux Etats Unis, d’une part en tant que diplomate de carrière, et d’autre part, ce qui était encore plus difficile, en tant que franc-maçon. Tout en étant admis membre à vie de la Scottish Rite Research Society (Juridiction sud des Etats-Unis), il a longtemps été vénérable d’une loge affiliée au GODF, la Loge Lafayette 89 à l’orient de Washington, ce qui relevait de la gageure compte tenu de l’absence de relations officielles entre franc-maçonnerie anglo-saxonne et franc-maçonnerie latine depuis 1877, date à laquelle le GODF a supprimé de ses Constitutions l’obligation de croire en « l’immortalité de l’âme » pour prôner la liberté de conscience.
L’auteur brosse tout d’abord un tableau historique de la franc-maçonnerie américaine, en évoquant les pères fondateurs, Benjamin Franklin et George Washington plus particulièrement, ainsi que les début de l’écossisme, ce qui l’amène à aborder la figure emblématique d’Albert Pike : on peut regretter un excès de tendresse à l’égard de cet artisan majeur du rite écossais qui rejeta cependant sans l’ombre d’un scrupule les loges noires de Prince Hall : le contexte ségrégationniste du XIXe siècle n’excuse pas tout… Mais là n’est pas l’essentiel car ce sont les enjeux de la franc-maçonnerie contemporaine aux Etats-Unis, avec quelques incursions au Québec, qui sont au cœur du livre. L’auteur les aborde en profondeur et avec une grande finesse.
Il s’attache à montrer la spécificité des Grandes Loges américaines, qu’il met en perspective d’un point de vue géo-politique en les comparant à la franc-maçonnerie française. Rappelant l’alliance franco-américaine pendant la Révolution d’Amérique, incarnée par l’amitié légendaire des deux francs-maçons Washington et de Lafayette, célébrée avec faste cette année grâce à l’Hermione, il évoque avec lucidité les relations tumultueuses entre les obédiences françaises et américaines. Il nous rappelle que jusqu’en 1859 les Suprêmes Conseils des Juridictions Nord et Sud des Etats Unis maintenaient des relations avec le Grand Collège Des Rites du GODF. Les relations commencèrent à se dégrader lorsque le GODF et le Suprême Conseil de France encouragèrent la création d’organismes des hauts grades du rite écossais à New York et surtout en Louisiane en 1832, donc bien avant la rupture officielle de 1877. Les grandes idées (en l’occurrence l’obligation de croire en Dieu) masquent parfois des considérations beaucoup plus terre à terre, à savoir des problèmes de concurrence en matière de recrutement, à moins qu’il ne s’agisse de politique impériale.
L’auteur montre bien les spécificités de la franc-maçonnerie américaine, fort surprenantes pour des maçons français : l’interdiction faite par Anderson dans ses célèbres Constitutions de parler de religion ou de politique est interprétée au pied de la lettre et, poussée à l’extrême, rend impossible tout débat en loge, quelque que soit le sujet abordé. L’anti maçonnisme dont ont été victimes toutes les loges américaines suite à l’affaire Morgan de 1826 a encore accentué l’extrême prudence et la méfiance des frères. On ne discute pas de sujet de société dans les loges américaines, ni même de sujet philosophique ou symbolique. C’est l’idée même de débat qui pose problème. D’où, pour reprendre la formule très explicite de l’auteur, le « décrochage » des loges par rapport à la société civile. Ce désintérêt pour les problèmes de société explique en grande partie le vieillissement de la franc-maçonnerie américaine. Les sujets de réflexion sont inexistants, les travaux se déroulent selon « une liturgie parfaitement huilée », seules les agapes permettent des échanges un peu moins aseptisés entre les frères. De moins en moins de jeunes sont attirés par les loges, sans compter que la moitié de la population en demeure exclue : les femmes ne sont toujours pas admises par les frères américains. Statistiques à l’appui (plus de quatre millions de membres dans les années 1960 contre un million et demi environ de nos jours, voir les tableaux en annexe) l’auteur analyse les causes du déclin, outre ces deux facteurs. Pendant fort longtemps les loges, dans la tradition américaine des clubs services, ont soutenu financièrement des hôpitaux et des maisons de retraite. En raison de la diminution de leurs effectifs, et donc de leurs moyens financiers, mais également d’une relative amélioration des prestations médicales grâce à Obama, cette dimension caritative revêt moins d’importance. D’autre part, les loges restent imperméables aux nouveaux flux migratoires, essentiellement composés de populations latino-américaines.
La présence maçonnique française, aussi discrète soit elle, n’est pas négligeable. Elle fut inaugurée par la loge l’Atlantide, fondée en 1900 à New York par le GODF. L’existence de la George Washington Union, obédience mixte dès le départ, bien avant le GODF avec lequel elle a signé une convention, membre du CLIPSAS (et donc souscrivant totalement au principe de laïcité) implantée de nos jours à Washington mais aussi à San Francisco, prouve que la franc-maçonnerie libérale est attractive pour certains Américains. Côté féminin, la GLFF n’est pas parvenue à s’implanter durablement, contrairement à la Grande Loge Féminine de Belgique.
Aujourd’hui encore les Grandes Loges américaines, à l’instar de la Grande Loge Unie d’Angleterre, considèrent les obédiences françaises, à l’exception de la GLNF, comme « irrégulières ». De même, dans neuf Etats les Grandes Loges noires de Prince Hall ne sont toujours pas reconnues. Cependant l’auteur entrevoit avec raison certaines évolutions. C’est notamment par le biais de la recherche universitaire que des rapprochements s’opèrent très progressivement. Ainsi la Grande Loge de Californie finance le centre de recherches de Margaret Jacob, historienne mondialement reconnue de la franc-maçonnerie, comme l’auteur de ces lignes a pu également le constater. Par ailleurs la Grande Loge de Californie introduit dans ses loges certains sujets de réflexion sur la société, se préoccupant de « restaurer l’esprit civique » en dehors du Temple. C’est peut être ce qui explique que, contrairement aux autres Grandes Loges, ses effectifs soient aujourd’hui en progression. Enfin ce n’est pas un hasard si son ancien Grand Maître, John L. Cooper, qui combattit pour la reconnaissance de la franc-maçonnerie noire dans son état, est le rédacteur de la postface de cet ouvrage.
La lecture du Défi maçonnique américain est indispensable pour tous ceux qui s’intéressent à la franc-maçonnerie américaine. Le regard que lui porte Alain de Keghel n’est ni froid ni complaisant. L’auteur ne s’est pas intéressé aux seules institutions maçonniques, mais également aux acteurs. Cette vision équilibrée permet au lecteur de juger par lui-même.