Da qualche giorno mi torna costantemente alla mente un ricordo, un aneddoto di qualche anno fa a Gerusalemme. Ero stata invitata dall'Università Ebraica a parlare davanti agli studenti, un pubblico di giovani Israeliani che avevano coscienziosamente preparato una serie di domande.

Uno di loro alzò la mano e mi chiese: «Come pensi che si possa essere un rappresentante religioso e difendere la laicità?». Un altro proseguì e mi chiese: «Come puoi essere sia un rabbino sia una femminista?». Poi un terzo studente pose una domanda abbastanza tradizionale: «Pensi che Israele possa essere sia uno Stato ebraico sia uno Stato democratico?».

È qui che interruppi la raffica di domande per farne una a mia volta, e invitare i miei interlocutori all'introspezione. Feci notare loro che continuavano, ognuno a modo proprio, a formulare la stessa domanda, che si potrebbe riassumere così: si può essere sia questo sia quello? Possiamo abitare contemporaneamente in un mondo e in un altro? 

O, per dirla in altro modo: i termini delle nostre equazioni ideologiche sono condannati a confrontarsi in modo così semplicistico? C'è, al contrario, una possibilità di introdurre un po' di complessità nei nostri dibattiti, di sfuggire alle letture impoverite delle nostre identità, della nostra laicità, del nostro femminismo o del nostro ebraismo, per fornirne espressioni meno caricaturali?

So perché questo ricordo mi ossessiona oggi: ne sento l'eco permanente nell'analisi degli eventi in corso in Israele. Continuo a leggere, dalla penna di molti commentatori, che lo Stato ebraico avrebbe sconfitto lo Stato democratico, che Israele avrebbe scelto l'ebraismo contro i valori liberali, la Bibbia e il Talmud contro l'illuminismo e la modernità... E ho voglia di urlare. 

Non che io non veda il pericolo in corso per la democrazia israeliana. Bisognerebbe essere molto ingenui per non riconoscere il fenomeno in atto, come uno specchio abbastanza preciso di ciò che colpisce altri paesi: l'ascesa del nazionalismo e del populismo, le ossessioni identitarie, l'attacco alle istituzioni democratiche, i media, l'indipendenza della magistratura, i diritti delle minoranze o i valori progressisti; l’ossessione nazionalista o religiosa per le identità «pure» o «autentiche»; la figura del leader intoccabile che parla in nome del popolo per rafforzare meglio il proprio potere o la propria protezione personale... Tutto ciò non è nuovo, e  piace a chi assapora la demonizzazione di Israele, a chi ama descriverne gli errori o i suoi difetti, più terribili di quelli del resto del mondo. 

Non c'è bisogno di perdere tempo a cercare di convincere questi ossessivi di qualcos'altro: faranno sempre di Israele il principale colpevole, un attore più immorale o contaminato degli altri, a pari colpa. Spiace per loro, ma la deriva nazionalista e antiliberale di Israele non è più immorale e pericolosa di quella che si manifesta altrove… O meglio, lo è altrettanto.

Resta l'altra catastrofe, a mio avviso più perniciosa, che consiste nel suggerire che la forza attiva dietro questa impresa di instabilità democratica abbia un nome: ebraismo. Ed è lì che io tremo. Mi infuria vedere questo nuovo governo alimentare una tale aberrazione, fare gargarismi sul rispetto dei valori ebraici «veri e ancestrali», ergersi a garante della purezza dell'identità e istituire ministeri a suo nome, delegittimare le voci plurali del mondo ebraico mondiale per "kosherizzare" solo una ricetta ortodossa e messianico - nazionale, per lottare contro l'uguaglianza tra uomini e donne, contro l'omosessualità, o per la supremazia etnica dei «valori ebraici».

Quindi no, lo Stato ebraico non ha vinto contro lo Stato democratico... per la semplice e buona ragione che entrambi sono i grandi sconfitti dell'attuale cambiamento. L'ebraismo è oggi l’oggetto di un sequestro ideologico, in nome di certezze messianico - nazionaliste che lo amputano di una parte di sé, di quello che potrebbe essere e di quello che potrebbe ancora essere.

Lo afferma il profeta Isaia nella forma di una famosa massima biblica: «Per Sion, io non tacerò» e la sua voce risuona oggi, per molti di noi, come una sacra ingiunzione. Per amore di Sion, dobbiamo parlare. 

Certo, so meglio di altri cosa rende complesso questo discorso, cosa a volte lo censura. L'odio antisemita, mentre fantastica sull'immancabile solidarietà ebraica, si diletta sempre delle dispute interne al popolo ebraico. L'ossessione antisionista, alla ricerca di tutto ciò che possa ledere ulteriormente il diritto di Israele a esistere, strumentalizza ogni critica, soprattutto quando è espressa da una «voce ebraica». 

Tuttavia, oggi voglio unire la mia voce a quella di tutti quegli amanti di Israele che si sentono traditi e che sanno benissimo che domani saranno accusati di essere i nemici del progetto che tanto hanno amato o nutrito.

Essendo accusata di tradimento o d’illegittimità, ho una certa abitudine in materia, e un bel po' di allenamento nell'esercizio. Negli ultimi anni ho così spesso sentito dire che non ero altro che un’imbrogliona, che il mio ebraismo non era abbastanza «barbuto» o dogmatico per essere autentico, che non esisteva una donna rabbino, che il mio sionismo di sinistra, la mia denuncia degli effetti della colonizzazione o la mia preoccupazione per la sofferenza palestinese mi hanno reso una traditrice, una ingenua o una irresponsabile.

E ho dovuto sperimentare così spesso scontri con voci conservatrici che ho finito per capire cosa ci distingueva davvero: non è, in fondo, né il nostro credo, né la nostra pratica, né il nostro attaccamento alla tradizione, né la nostra preoccupazione per il futuro del popolo ebraico. No, è qualcosa di più fondamentale: è il nostro rapporto con l'autenticità.

Molto spesso ho davanti a me qualcuno che è convinto di essere il «vero ebraismo, la «vera» tradizione, il legale rappresentante e funzionario di una fedeltà alla Storia e alle generazioni passate, un traduttore giurato della volontà di D-o, dei nostri padri o dei nostri maestri.

Di fronte a lui, e contro di lui, io affermo che nessuno di noi può avere il coraggio di dire ciò, e che io non sono il vero ebraismo più di quanto non lo sia lui, che la tradizione parla e ha sempre parlato con voci plurali, e che la storia, i suoi drammi, le sue sorprese e le sue tragedie hanno dato luogo a interpretazioni complesse e talvolta contraddittorie, ma mai illegittime.

Il libro di Ester, messaggio biblico di sopravvivenza diasporica e monito contro l'abuso del potere politico, non offre il messaggio del libro di Giosuè, la sua conquista militare e la sua passione per la sovranità. Essi parlano lingue diverse all'interno dell'ebraismo, in vari contesti e in varie geografie. 

Il messianismo ebraico ha prodotto il meglio e il peggio nella Storia, ha prodotto prodigi e catastrofi, ha suscitato speranze e falsi profeti. È stato elogiato o relativizzato, come uno slancio nostalgico per un passato che non esiste più o un'utopica promessa di giustizia a venire. Ha saputo unire o, al contrario, alimentare le divisioni.

Ha avuto molti volti, in diversi contesti storici. E la forza dell'ebraismo è stata quella di attingere dalla sua immensa biblioteca di risorse per la sopravvivenza e la resilienza, e di far risuonare questi libri attraverso le voci di uomini e donne impegnati nella loro epoca. Soprattutto, ha avuto l’occasione immensa di ascoltare le voci che gli hanno portato la  contraddizione.

L'interpretazione ebraica di un Ben Gvir è solo una voce/linguaggio di tutto ciò che l'ebraismo può parlare. Non è la mia lingua ebraica, non è quella in cui parlo ai miei figli, ai miei allievi o ai miei amici, non è quella in cui credo. Il suo messaggio esclusivo ed escludente ci impoverisce e ci condanna quando pretende di avere piena legittimità. Esso deve, in quanto tale, essere combattuto all'interno della stessa tradizione ebraica, e non solo dalle forze della democrazia moderna. Sta a noi non permettere che né il sionismo né l'ebraismo vengano rapiti da coloro che dicono esserne gli unici padroni. Sta a noi lottare per la democrazia in Israele, non contro l'ebraismo, ma con e grazie ad esso.

* Isaia 62,1

 

Mappa di Gerusalemme, Piazza Safra a Gerusalemme -  Replica in mosaico di una xilografia del 1581 (Magdeburgo)

 

Testo dal francese in italiano a cura di: Barbara de Munari

Testo dal francese in inglese e in ebraico a cura di: Natasha Lehrer

https://www.tenoua.org/dh-israel-jan2023-en/?fbclid=IwAR02pkiK892BMr_Gu7z3gAYbteF9epvhhOdB8d72WX2prIvxoGoiMWWK-5k

https://www.tenoua.org/dh-israel-jan2023-he/?fbclid=IwAR1k-Oss3Cs2xJJ1CKyfMJoYc53MszIFBHvAyQNcHRNhxQlSPf8aIljpqkQ

 

לְמַעַן צִיּוֹן לֹא אֶחֱשֶׁה*

‏רבים ביקשו זאת: הנה תרגום לעברית של המאמר של דלפין הורבילר ‏שפורסם בעיתון תנועה השבוע