Nel Convegno Internazionale di Milano [organizzato a cura di Eticaedizioni.it] si è ragionato su QUALE FUTURO per QUALE EUROPA. Le ombre sono già ampiamente presenti e visibili.

Qui di seguito, un Estratto dell’Intervento di Alain de KEGHEL (traduzione dal francese a cura di Barbara de Munari).

[Ph.: Sala Lucio Fontana, Museo del Novecento, Milano]

 

A Milano, siamo oggi qui riuniti per riflettere insieme sul contributo che possiamo portare in questo mondo di brutalità e di violenza, ma anche di disperazione.

L'Europa infastidisce, l'Europa delude, l'Europa divide. E allora, quale Europa vogliamo per domani?

A Bruxelles e alle sue istanze viene oggi rimproverato di non agire – dimenticando, contemporaneamente, che la Commissione Europea esegue soltanto i mandati dei Capi di Stato e dei governi, sempre frenati dall'immediatezza dei loro mandati a breve termine e dei loro interessi nazionali.

Ironia della sorte, è presentandosi come campioni degli interessi dei cittadini che i partiti degli euroscettici e dell'estrema destra hanno realizzato punteggi senza precedenti alle ultime elezioni del Parlamento europeo, nel 2014, così come anche recentemente nei Parlamenti nazionali.

Si tratta di un segnale inquietante. Si rimprovera all'Europa di essere troppo lenta, non abbastanza attiva o ancora prigioniera di una burocrazia, sinonimo di deficit democratico. Anche il ruolo dei media qui merita attenzione e dobbiamo constatare che pochi tra di essi si sono impegnati a spiegare perché abbiamo bisogno dell'Europa malgrado le sue imperfezioni, le sue debolezze, le sue lentezze, le sue disuguaglianze e anche le sue ingiustizie.

 

Troppo pochi, tra di noi, pensano in modo globale, perché non vi sono preparati nemmeno dall’insegnamento scolastico, dove la storia – almeno in Francia – è un parente povero dei programmi di studio. La generazione che ci governa non ha vissuto, così come i media che ci informano e formano l'opinione, l'ultimo conflitto mondiale. Non ha sperimentato la necessità vitale di costruire una Unione Europea solidale, sinonimo di uno spazio di pace durevole nel tempo.

Almeno, si dovrebbe auspicare una presa di coscienza delle sfide in gioco, poiché il Presidente Putin ci ha velocemente insegnato in Georgia, poi in Ucraina ed oggi in Siria, che il corso e il ricorso storico non è quello che prediceva Francis Fukuyama.

Si viveva ancora, fino alla crisi finanziaria del 2008 e poi con il recente risveglio generatosi intorno alla Crimea e all'Ucraina, nell'illusione di uno spazio di prosperità e di pace stabilizzata che durassero nel tempo. L'Europa costruita negli anni cinquanta del secolo scorso ne era e ne è rimasta la conferma.

Un ripiegamento nazionale l’abbiamo constatato, invece, durante le recenti elezioni in Grecia, in Polonia, in Francia ed altrove, con l’avanzata di nazionalismi, a fronte di una “Troika” che esalta l'austerità, anche se oggi un po’ meno oggi di ieri. Ecco ciò che domina, mentre abbiamo appena commemorato l’anniversario dell'inizio della Prima Grande Guerra mondiale europea del 1914 -1918. Sarebbe stata un’occasione, molto simbolica, per migliorare, completare e rinforzare un vero spirito europeo, allontanando il concetto di Stato-Nazione. Al contrario, assistiamo alla “preferenza nazionale” che prevale su quella europea, unica vera prospettiva, peraltro realistica, in un mondo ove prevarranno solo i grandi insiemi continentali.

La generosità, l'umanesimo, princìpi cardinali e motori fondanti della nostra Europa, hanno dimostrato velocemente i loro limiti quando si tratta di essere solidali nella difficile gestione dei flussi, non soltanto migratori, ma di masse considerevoli di rifugiati che fuggono, per ragioni umanitarie e di sicurezza, dai luoghi di combattimento. Lo tsunami anti-europeo trova una sua manifestazione anche in Gran Bretagna, ma non si tratta solo di questo. È un segnale di usura di un modello di società democratica, di condivisione, di solidarietà che pone la giustizia sociale al proprio centro. È un modello che viene a essere messo in discussione. Dunque una fonte d’inquietudine ancora maggiore quando ci si chiede quale futuro noi vogliamo per l'Europa.

 

Il ventaglio di riflessione è ampiamente aperto, nello spazio come nel tempo, sapendo che noi poniamo sempre l’Uomo e la società al centro del nostro umanesimo ispirato dalla filosofia di Spinoza. Sotto questo punto di vista, noi abbiamo l'obbligo morale di vegliare affinché i nostri ideali e princìpi trovino eco e il più largo spazio in un’area dove si preparano, si formulano e si decidono opzioni per il divenire delle nostre società e delle generazioni future.

Dobbiamo rassegnarci? Non dimentichiamo che si deve assumere un impegno individuale nella società. Un impegno individuale che deve essere naturalmente nostro quando si tratta di difendere e di affermare il principio filosofico: "Fai ciò che devi" per riuscire a far capire a chi ci governa o a chi ci rappresenta al Parlamento europeo, le voci dell'umanesimo, del diritto e di tutto quanto rappresenta la ricchezza generosa e ambiziosa della nostra eredità. Non possiamo restare paralizzati di fronte alle immense sfide e ancor meno rassegnati, perché l'ineluttabile sarebbe la negazione stessa della nostra aspirazione al progresso delle idee e a quello della società.

Ma allora, quali prospettive considerare, quali le modalità per agire? Dobbiamo imparare a pensare globale e sul lungo periodo. Cioè, senza trascurare le questioni del momento che comunque plasmeranno anche il futuro, dobbiamo puntare sull'insegnamento, mirare anche sulle élite di domani.

Nulla permette oggi di affermare che questo slancio condotto da pochi permanga nel tempo. Tuttavia possiamo osservare questo movimento attuale con un soffio di speranza.

Non possiamo accrescere la portata di tutto ciò se non coinvolgendoci, ciascuno di noi, con più forza, con più concretezza, con più convinzione e con più costanza.  Ma anche prendendo coscienza di tutta l’importanza di perpetuare tutto ciò nel tempo.

La nostra riunione odierna mi suggerisce un’ulteriore riflessione. Piuttosto che sempre e soltanto denigrare, deplorare, contestare la giustezza delle scelte, il nostro futuro per un’Europa migliore domani potrebbe prodursi anche per il tramite di “think tanks”. Questi contenitori di idee, questi laboratori per pensare il futuro che, nella misura in cui siano vicini ai nostri ideali o permeabili ad essi, potranno aiutare la  trasposizione e l’affermazione nel mondo reale e nelle nostre società delle istanze europee.

 

Tutto ciò passa necessariamente anche attraverso una definizione dei ruoli e delle prerogative di ciascuno, poiché l'eccesso di centralizzazione è paralizzante, mentre quello di delegare il potere senza legittimità, è contestabile.

Ci troviamo in questo periodo in una fase di costruzione lenta, mentre l'Europa continua ad andare avanti e altri attori compaiono sulla scena, ovviamente senza aspettarci. La sfida che ci è posta per contribuire a costruire l'Europa di domani è certamente di grande spessore. Ma è anche esaltante, perché ci offre uno spazio eccezionale per l’affermazione di princìpi, in un universo in cerca di riferimenti.

 

L'Europa istituzionale, quella nata nel 1957 dai Trattati di Roma successivi a quelli della CECA nel 1951, anche se al di fuori di quest’ambito, deve ricevere tutta la nostra attenzione poiché è portatrice di valori che sono i nostri e che abbiamo contribuito a difendere durante i dibattiti che hanno costituito il preambolo della costituzione europea. Da essa inizia a strutturarsi lo sviluppo del nostro spazio comune globale, culturale e di pace, le cui tendenze geopolitiche recenti ed i movimenti tellurici ricorrenti ci ricordano la fragilità.

Qui si tratta di vivere insieme. E di vivere bene. Di vivere in Pace.

Ma si tratta anche di una prosperità distribuita in maniera disuguale tra uomini e donne.

Figli di culture vicine tra loro ma pesantemente gravate dall’eredità della storia nazionale di ciascuna, i cittadini del nostro Vecchio Continente stanno imparando solo da poco tempo a vivere insieme.

L'Euro, uno degli ultimi avatar, testimonia di questa volontà così difficile da mettere in atto, cioè quella di coniugare il privilegio di stampare moneta, in precedenza soltanto nazionale, senza tuttavia sapersi distaccare dalla fiscalità delle economie nazionali.

Ma non è forse giunto il momento di operare riforme anche a questo riguardo? E di cambiare le mentalità?

A mio avviso, noi potremo avanzare solo con l’approfondimento di colloqui informali ma costruttivi, con l’impegno alla ricerca e allo sviluppo, con la prospettiva dell'insegnamento e dell'istruzione.

Si invita dunque ad un serio esame di coscienza sui nostri limiti, poiché tocca a noi tutti smuovere questo stato di cose.